FURIO DURANDO
DI MARE E DI MEMORIA
Poesie in versi liberi, 1976-2022
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La raccolta si articola in sei sezioni con una struttura diaristica ma non diacronica «da cui emerge un costante dialogo tra l’Io e il Sé» attraverso i due fili conduttori: il mare, scenario fisico e interiore; e la memoria, Mòira e ossessione che esaspera la persistenza della conoscenza e stimola la coscienza alla retrospettiva. Scrive Loscalzo: «La poesia di Furio Durando non solo costituisce un’occasione di ripensamento, o di rivivere l’esperienza – come se fosse una sostanziale restituzione alla vita – ma conferisce anche un senso ultimo al vissuto, attraverso il rincarnarsi nella scrittura: è la fede in un kairós, un’occasione fortuita per ognuno per riscrivere e rivivere la storia personale. L’autore è un poeta-archeologo che predilige l’indagine, la rimozione degli strati superficiali che confondono le parvenze, in una ricerca poetica che è vettore di esplorazione. […] La continua rimozione porta a toccare la stratificazione ultima, incandescente, che agita al fondo le cose: ammiriamo tutti il coraggio con cui esplora, indaga, interroga il nonsenso del mondo circostante.»
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La poesia di Furio Durando ingaggia un corpo a corpo con la vita, attuato spesso attraverso recuperi memoriali in cui opera, come lievito fervido, una intensa forza creativa che si traduce in una forma artistica di rara peculiarità, allusiva e suggestiva, figurale e speculativa, euristica e talvolta solenne, sempre comunque ricca di feconda e partecipe sensibilità. (P.B.)
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da Di mare e di memoria
Della luce e del nulla
Mi fermo , e non calpesto
-come avrei fatto indifferente un tempo-
l’ape che arranca sull’asfalto nel suo stremo
di mezzo autunno. Mi somiglia.
La lascio sopravvivere nel sole
che ci scalda e passo,
passo avanti, oppresso
dall’identica sua pena:
illuminata, lei, di congenita legge naturale,
della meccanica fatale che sospende
le vite fra due nulla;
io disperato e perso, incapace di comprendere il nonsenso.
(Sarteano, ottobre 2022)
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La piscina
L’abbandono
non ha la dignità della rovina.
Degna è qui la vita vegetale
che ripullula tra fughe sconnesse
all’impiantito, una potenza
d’oleandri fino ai blocchi di partenza.
C’è un eco.
Risuona
memoria in anticamere di pena:
è l’urlo unanime dei mille e cinquecento
stretti fra luci artificiali, lampi –
fotografi, accendini, sigarette,
il mare qui vicino, il cloro
un coro d’entusiasmi e voci spente,
di maschere afferrate in un istante,
mentre attacchiamo,
e presto andate.
Ma la parabola beffarda
è là, sospesa in aria,
scagliata –e intanto arretra il centrovasca,
e ride, e scende rapida la palla.
La inchiodo fra la mano e la traversa.
Il senso è l’invisibile che resta.
(Chiavari, giugno 2020)
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Vigilia
A te, figlio, che parti domani
per altra contrada toscana
affacciata sull’acqua,
a te che porterai con i tuoi libri
una sete di mare, un’attesa silente
di vele, il tuo sogno islandese,
sia propizia la strada.
Tacerò ciò che sento, in tua assenza.
(A Corso –Montepulciano, settembre 2021)
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Elegia decembrina
Pare, il sole, irridere
una volta che al di là del vetro
si scopra con un brivido l’inganno
e si sveli come l’ordine immutato
delle cose non muti, e noi muti
si resti incapaci
di incidere sulle vite d’altri
-ben congegnato ordigno, il silenzio,
destinato com’è ad implosioni,
intruso poi che s’è nel cuore, a fondo.
Così vengono dicembre e i suoi fantasmi:
nozze da poveri, e dopo arrivo io.
Sembra sia nevicato, quella notte.
E cerco brancolando dentro al buio
il suo candore; e in un ovale irraggiungibile
Lo sguardo che accarezzi il mio dolore.
(Sarteano, dicembre 2022)
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La Colmata Persiana
Splendevano al sole
atleti adolescenti incoronati,
démoni e principi d’Olimpo, sagome
legnose di fanciulle:
agálmata, anathémata,
l’orgoglio della nostra unicità,
la cognizione nostra dell’eterno.
Ora ne seppelliscono i frammenti:
lacerti, interi brani di un’età
che non ritorna, profanata
dagli sguardi e dalle mani
degli sconfitti Persiani,
cadono dentro la fossa.
Per noi tabula rasa attende
una bellezza nuova,
e in questo sovrapporsi di marmi
e di terriccio sterile
vanno per sempre quel che fummo
e la bellezza antica;
e fra millenni basterà – a filologi romantici,
archeologi, antiquari –
la briciola, il brandello, l’incompiuto
a immaginare la bellezza antica,
all’almanacco delle integrazioni,
all’erotismo d’incolmabili lacune.
A noi, che tutto avemmo dell’intero,
nessuna gioia viene dal frammento.
Solo un intero nuovo,
intero e pari,
sa consolarci
e far dimenticare,
ridarci cognizione dell’eterno.
(Montepulciano, aprile 2016)
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Poseidonia, 480 a.C.
Il cristallo disteso dell’acqua ai miei piedi –
un attimo ancora e, bagnata dall’ultimo sole, l’anima mia
avrà il brivido, lo schianto, il breve oscuro viaggio
e un nuovo inizio immemore.
Apprenderò dal bianco dei papiri, allora,
quanto oggi seppi novità –
che il Greco vinse il barbaro due volte,
che la gloria fu per chi spogliò nemici
a Imera e Salamina;
che siamo più liberi tutti.
Forse.
Ieri ho lanciato per l’ultima volta
di questa mia vita cento volte immemore
dei cento suoi inizi
l’akòntion –
la sua bella parabola descrisse
meglio di queste pareti
gli amici, la gioia del vino una sera, l’amore,
il sesso con la piccola flautista.
Non serviranno l’olio profumato
per l’ultima lotta con Ade,
né lo strigile comprato
ai giochi di Taranto l’altr’anno.
Immemore qui dorme la mia polvere.
L’anima è protesa tutta all’acqua.
Il tuffo.
La risalita.
Potrei leggere, un giorno, queste righe
e non sapere che le scrissi io
e piangere ugualmente, e ridere di gioia
per l’uomo fortunato
che non saprò d’essere stato.
(Montepulciano, agosto 2011)
Furio Durando
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Furio Durando (Milano, 1960) scrive dal 1976 e ha condotto un’intensa attività di reading in tutta Italia, dapprima con Poetica Nova (Cremona, 1981-1985) e poi con Agatocrazia (Reggio Emilia, 1985-1994). Quest’ultima incluse l’edizione (Luzzara, 1991-1992) dell’omonimo foglio mensile di poesia e letteratura. Suoi testi e traduzioni (Catullo, Virgilio, Orazio, Tibullo, Sulpicia, Marziale, Persio, Mary Wortley Montagu, Gray, Byron, Kavafis, Karyotakis fra gli altri) sono comparsi su riviste e in rete (ne La presenza di Erato, soprattutto) fra il 1991 e il 2018. Archeologo grecista di formazione, autore di alcuni volumi di archeologia, di due manuali scolastici di storia dell’arte e di oltre cento articoli scientifici e divulgativi di archeologia e storia dell’arte, vive a Sarteano e insegna attualmente storia dell’arte, italiano, latino e storia nelle sezioni classica, musicale, economico-sociale e delle scienze umane del Liceo “Enea Silvio Piccolomini” di Siena.
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4 risposte
Dico la verità : io mi scoraggio di fronte a un poeta che non conosco quando le poesie sono tante…mi scoraggio perché cercare di penetrarle tutte vorrebbe dire leggerle e rileggerle… e pensarci …e non ho per la poesia quella passione che sarebbe necessaria a studiarla davvero. Ma qui due mi colpiscono perché sono semplici e perché ci leggo un sentimento immediato e sincero : l’ape che arranca sull’asfalto, il comune destino di morte, la naturale accettazione della stessa da parte di una creatura che non ha la nostra maledetta capacità di riflettere su questa meta inevitabile, riflessione che, bene o male ci accompagna e ci amareggia per tutta la vita…. L’uomo che il poeta è ora non la calpesta come avrebbe fatto quello di prima…c’è una compassione maggiore, frutto dell’esperienza e della reale consapevolezza di questa sorte infame a cui nessuno sfugge. E’ questa umanità che mi colpisce, questo strazio, e questa sensazione che l’ape abbia il dono di non porsi domande che mai avranno risposta. La ragione è il dono più grande e la pena più grande. E , naturalmente, mi piace molto la poesia per il figlio… le poesie per i figli sono sempre belle perché sono quelle più vere.
Un costante dialogare con se stesso in un onirico rivissuto che ritorna e si fa parola, interroga e pretende risposte, non sempre possibili. Un argomentare che si lega a reminiscenze classiche, ad un mondo e una storia che ancora permea di sé la mente dell’autore. C’è originalità, c’è vita. Sarebbe stato ancora meglio ci fosse più musicalità, che secondo il mio modestissimo parere, manca un poco. Riconosco però il valore di queste riflessioni, di questo interagire di due tempi: quello reale del presente oggettivo e quello incommensurabile e non sovrapponibile dell’essere, che si estende oltre il presente e che forma la storia. In tutto c’è poi l’amarezza di non avere risposte ad una volontà di capire l’oscuro mistero del tutto.
Andante, adagio, lento ma non troppo è il movimento di queste poesie dal linguaggio suggestivo che viaggiano tra memoria e scavo interiore nella ricerca di quella verità assoluta che è solo utopia. Molto belle.
Nella poesia di Furio Durando è persistente il dolceamaro dei giorni nutriti di consapevolezza, spugnoso è il terreno delle domande e sempre più profondo lo strato nel quale affondano le radici interrogate. Scavo dopo scavo, il poeta si trova a fare i conti con quella “cognizione dell’eterno”, in un confronto che chiede ridimensionamenti. Pure affiora intatta la meraviglia, hummus esistenziale del poeta, e l’attesa di “una bellezza nuova”, nonostante “questo sovrapporsi di marmi/e di terriccio sterile” che è nella storia dell’umanità.
Uno stile ricercato e ricco di riferimenti, con immagini che dialogano tra loro, meritevoli d’essere vissute, tutte, per un confronto partecipe e… dolceamaro.