Pasquale Balestriere, Cinque poesie
PASQUALE BALESTRIERE
Pasquale Balestriere (Barano d’Ischia -NA-, 1945), docente. Laureato in lettere classiche, studioso di dialetto, usi e costumi della sua isola, scrive in versi e in prosa.
Oltre che di numerosi articoli e saggi, soprattutto di argomento letterario, pubblicati su giornali e riviste, è autore di racconti e ha dato alle stampe varie raccolte di liriche: E il dolore con noi, Avellino 1979; Effemeridi pitecusane, Ischia 1994; Prove d’amore e di poesia, Roma 2007; Del padre, del vino, Pisa 2009; Quando passaggi di comete, Torino 2010; Il sogno della luce, Castel di Judica (CT) 2011, Oltrefrontiera, Fondi (LT) 2015, Glosse alla vita, The Writer Edizioni, Marano Principato (CS) 2022. In duetto poetico con Carla Baroni ha visto la luce, in edizione italo-spagnola, E a te rispondo (Y a ti respondo), Benilde Ediciones, Sevilla 2021; e, in collaborazione con la medesima Baroni, con Umberto Vicaretti e Nazario Pardini, Alma poesia – Verso la luce (Quattro poeti italiani), The Writer Edizioni, Marano Principato (CS) 2019.Per la saggistica ha pubblicato Assaggi critici (Genesi, Torino, 2018).
Parecchi critici si sono interessati della sua poesia, così come parecchi sono i premi letterari conseguiti. L’Università Pontificia Salesiana gli ha conferito nel 2015 la Laurea Apollinaris Poetica e “Lettera in Versi ” di Bombacarta gli ha dedicato il n. 68. Figura in Italian Poetry.
Partecipa ad attività e dibattiti culturali con relazioni, conferenze, presentazioni di libri, recensioni, prefazioni, collaborazioni di vario tipo con giornali e riviste.
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https://bombacarta.com/wp-content/uploads/2019/01/LiV-n.-68-PASQUALE-BALESTRIERE.pdf
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TESTI
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A S E S T E S S O
e a Pietro Ferrandino, in memoriam
Che cosa mai t’avanza della vita,
la vita che t’illuse ad ora ad ora
e che proprio perché quasi è finita
sempre più si rivela gran signora
d’inganni e di dolori? Era controra
e di Pietro hai saputo. Abbacinato
il sole, anche Pietro è andato in malora,
proprio com’altri amici spento, al lato
tuo, sul campo, ove fervono conflitti,
dove s’aprono vuoti dolorosi
e s’annullano perdite e profitti,
lì cedono gli affetti, lì pietosi
si chiudono occhi per scempio fatale.
E lì sei tu che impugni scudo e spada,
non colto ancora da punta mortale;
e, pur ferito, mentre tieni a bada
l’oste nemica, cerchi la tua strada
(se pure c’è) per qualche altra contrada.
Al vento di Sibilla, ahi, nulla toglie
che sian cadute naturali foglie!
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A L B A
Àlbica, il giorno-pecora s’avvita
appena nato al primo
clacson di bus, a gorgogli di suoni,
a fiati di caffè,
a soffi di fonemi. Incarnazioni
umane del tempo, cifre cangianti
e caduche, s’affrottano, diffusa
plebe fortuita, al rombo di corriere,
alla viltà dell’ovvio caldo e certo.
Ma l’infula dei monti
verderobusta a noi dispiega sogni,
ci guida all’attentato d’ogni iperbole
fanatica, di volgari consumi,
c’invita al lauto pranzo d’erba, ai vivi
affetti, al dolce canto, all’avventura.
Così tra segni d’ignavia vivremo
e impeti di cuore ove s’addensa
questo mesto lucore.
(Anche il sole canuto ci riporta
Elena diademata,
madre di battaglie, a danno di Troia.)
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ERA L’ETA’ DEL SAPIAS, VINA…
A martello suona il tempo che grida
la fuga irreparabile dell’ora.
Il secco scalpitare del rintocco
calato dalla torre campanaria
preme a onde la corsa della vita,
scandisce arcani dolorosi suoni,
di perdite e profitti chiede conto,
di talenti fruttuosi o sotterrati.
(Ma tu calmati, cuore!)
Ed a me stesso
adolescente ingiunsi di provare
ogni brano di questa breve corsa
per coglierne i sentori, e di allentare
le corde degli affetti. Era l’età
del sapias, vina liques, carpe diem,
dell’umanistica ebbrezza. Sapore
avevano le donne d’albicocca,
un fuoco divorava a riga a riga
le parole sul foglio della vita,
la terra sussultava sotto il cielo,
il sole rosso s’abbassava a mare,
mentre l’onda brucava la sua sabbia.
Ma quasi mai ho mantenuto fede
al mio proposito. Disse un poeta:
Confesso che ho vissuto ; e un altro: Vissi
al cinque per cento, non aumentate
la dose.
Quanto io abbia vissuto
ignoro. Ma del tempo che rimane
ruminerò con gran dolcezza il pane.
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SORTE
Non c’era alcuna prova dell’inganno
d’un dio o di maldestra creazione.
Così almeno ci parve
e perciò ci sedemmo sulla terra
e ci scambiammo le pietre di sale
sulla riva di un mare senza onde.
Di cavalcare i giorni ci fu dato,
di carezzare la cresta del sole
e di bere alla fonte dell’amore.
Che ci piovesse argento poi la notte
fu la scoperta che ci diede fede
per correre le strade della vita
con maggior cuore. Avidi attraversammo
esplose primavere, con il grido
del falco appeso nell’azzurro, fisso
alla preda lontana. E già la ruota
cominciava a piegare ad occidente
quando qualcuno spiegò che il vïaggio
non era interminabile. A galoppo
passammo per le ore, i mesi, gli anni.
Dietro le curve spalle,
grappoli fitti d’accese memorie
il passo corto dissero del tempo
-il nostro tempo!-
con seni d’ombra e fiati di preghiera.
Ora che l’orizzonte
dispiega flebili speranze e mostra
l’incerta meta, ci assale l’infanzia
con rosei gridi e vivide memorie:
quelle della famiglia e degli amici
dispersi ormai sopra e sotto la terra.
Pure, vivemmo a lungo.
Anche se questa sorte è apparsa breve.
*
DELLA TERRA
… e inoltre della terra questo so
che quel gran ventre di madre talvolta
abortisce il suo frutto ma più spesso
ci riempie il cuore di miele, ci dona
il muto fragore
e il tumido prodigio della vita,
la gioia dolceamara del precario
giorno che muore steso alla collina.
Mio padre roso dalla zolla in lagni
d’asma le perdonava
tutto con mite carezza d’argento,
in accennati solchi
depositava semi; e la falcata
madre coglieva ad uno ad uno i frutti
accendendo nel petto modeste speranze.
E infine della terra questo dico,
ora, nella chiarìa del mezzogiorno.
Ma al cuore è sempre infissa qualche spina.
Pasquale Balestriere
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