Giangiacomo Amoretti, Alcune poesie

 

GIANGIACOMO AMORETTI

(Notizie biobibliografiche nel post del 27 novembre 2022)

 

***

 

I

Asincrono il passaggio sullo specchio
del riflesso e del volto, incerto l’attimo
della coniunctio, della fredda stasi.
Tra le labbra, parola o già lamento?

Silenzio, o ancora e sempre
da lui e non di lui fonia malfida?
Se il tempo non s’arresta, illude il filo
di sabbia immoto dentro la clessidra

e non ha suono più né eco il grido
che lacera la notte. Altra è la mano
che si solleva – lui lo sa – il tremito
che scuote il corpo e non dà pace – altro

lo sguardo obnubilato, ora – la voce
che chiama e non si tace.

*

II

Di patimenti greve e rughe il volto
lungo le guance e sulla fronte, avide
le labbra come ad un estremo schiuse
appetito, ma dure, mute – gli occhi

soltanto vivi di una vita ferma
nella frana che ombre e lame di
più netta luce in lui confuse e anno
dopo anno travolse – questo cupo

volto di terra e sangue
e marcescenza e osso, che perdura
nella pena, che assembra
anima e carne e in sé le stringe – effigie

di sfacelo e più strenua forza – segno
di ciò che è morte e più non sarà morte.

*

III

Mai non fu così pura,
così profondamente
e cieca e disperata
l’attesa in lui da ammutolire e spegnere

ogni voce all’intorno
e ogni parola, da
imporre con la forza
del suo non dire uno

stupefatto silenzio, a lui e al mondo.
Fu un’attesa precaria,
dubbia, slabbrata. Fu
questo attendere, nulla

d’altro da questo lungo
rispecchiarsi – già morto – in uno specchio.

*

IV

Lui solo, sempre – e accanto a lui, da sempre,
l’ovale di uno specchio: ombrosa, fonda
presenza di lui stesso a sé. Calando
un ambrato crepuscolo ora in questo

salone disadorno e antico (mobili
coperti da lenzuoli, vuote le
cornici sopra le pareti), è quasi
un farsi luce del cristallo; ed entro

i margini di questa imago stinta
un alone che indugia: le linee delle sue
labbra stesse, degli occhi, delle palpebre…
e un gesto solo, un cenno, come un tremito,

che unisce un volto a questo volto d’aria
e l’uno all’altro fa per sempre identico.

*

V

A lui la sorte è attendere –
inspirare, espirare
in silenzio, nell’ora
immobile, meriggio o mezzanotte.

È presapere attònito
che non si fa parola.
Sillabazione muta.
Solitudine altissima.

È vegliare nel sonno, come in sogno,
e risvegliarsi nudo, senza lacrime.
È volgersi dintorno ancora e ancora
e chiuder gli occhi ad ogni luce e subito

riaprirli, ansimando, come per
paura e brama e orrore di guardare.

Giangiacomo Amoretti

 

 

 

 

 

 

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6 risposte

  1. Il leitmotiv del commiato, del distacco è presenza ossessiva in noi vecchi. In questa poesia mi ci ritrovo completamente, anch’io spesso faccio “variazioni sul tema” senza però possedere la bravura magistrale di Amoretti. Un De profundis elegiaco dai toni sommessi pur nella straziante lacerazione dell’anima.

  2. Una analisi interiore. Un riflettersi costantemente in se stesso per cercare risposte. Una lacerante condizione esistenziale da cui traspare la necessità di conoscersi, ma in cui lo specchio dell’anima non rerstituisce mai immagini compiute e decifrabili. Tanta sofferenza, in versi forbiti e ricercati.

  3. La poesia proposta risente molto della condizione di sofferenza. Il non riconoscersi alla specchio è motivo di rifiuto, e la guerra interiore per l’accettazione di sé diviene fulcro dell’opera. Un tema non nuovo che, pure se sostenuto da uno stile maturo e ricercato, non trova respiro.

  4. Amoretti è uno dei miei poeti preferiti ; la sua metrica meravigliosamente moderna, con preposizioni semplici o articoli spesso in fine verso, rende il suo dire fluido, armonioso, naturale, quasi non vi fosse uno studio alle spalle. Queste poesie sono lo specchio di un’anima nella quale rivedo me stessa ; noi, tutti noi che abbiamo conosciuto ” la palude” ci riconosciamo a istinto, sappiamo come può essere difficile arrivare a sera, come può essere difficile riconoscersi in uno specchio, come può essere lunga un’ora di pena. Quel dolore che traspare da questi versi, questo male di vivere tutti possono intuirlo, tutti possono dispiacersene leggendo versi così dolenti e così belli, ma nessuno può sentire ogni parola che legge intagliarsi sulla sua pelle e rinnovare una pena che si credeva dimenticata. Nessuno tranne noi, naufraghi della palude, sopravvissuti al pantano e sempre, anche se in parte in esso immersi. Giangiacomo è un poeta raffinato, sensibile, il suo verso non è mai pesante, ma sempre fluisce lieve nonostante il piombo della disperazione. Se metto a confronto versi come questi con certi versi che piangono un amore perduto mi rendo conto più che mai di quanto possa essere superficiale certa poesia e tragicamente profonda altra.

  5. Una cappa di sconforto toglie ossigeno e rende monocorde, quasi soffocante, la poesia di Amoretti. In questo clima opprimente, senza remissione, sta il suo carattere distintivo ma anche il suo limite.
    La scrittura poetica invece è splendida e sapiente, nobile ed equilibrata: gli endecasillabi e i settenari cadenzano raffinati e impeccabili, perfettamente inseriti in ampie arcate sintattiche.
    Letterariamente, una meraviglia.

  6. Io sono sempre più affascinato dall’acutissima sensibilità di questo poeta, dalla profondità e originalità del suo sentire, dalle inconsuete immagini e visioni, dalle sue scelte lessico-sintattiche e stilistiche, ritmiche e metriche. E bene fa Lidia a definire Amoretti un “poeta raffinato”, perché la traduzione in versi dei suoi sentimenti è di una finezza assoluta.

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