Giovanni Prati, Incantesimo

GIOVANNI PRATI

Poeta  del secondo romanticismo. Nato a Campomaggiore, Trento, nel 1814, morì a Roma nel 1884.

“Il Prati concepiva la poesia come il regno dei sentimenti eccezionali e delle cose non mai viste: un po’ come la concepiscono le persone semplici e gli adolescenti…” (Momigliano)

*

Metro: strofe di quattro settenari e di un endecasillabo, rimati, ad eccezione del quarto verso, che è sdrucciolo  e non fa rima.

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da “Iside”, Incantesimo

La maga entro la rena
girò, cantando, l’orma:
con frasca di vermena
m’ha tócco in sull’occìpite
ed io mi veggio appena in questa forma.

Si picciolo mi fei,
per arte della maga,
che in verità potrei
nuotar sopra diàfane
ale di scarabei per l’aura vaga.

O fili d’erba, io provo
un’allegria superba
d’essere altrui si novo,
si strano a me. Deh! fatemi,
fatemi un po’ di covo, o fili d’erba.

Minuscola formica
o ruchetta d’argento
sarà mia dolce amica
nell’odoroso e picciolo
nido che il sol nutrica e sfiora il vento.

E della curva luna
al freddo raggio, quando
nella selvetta bruna
le mille frasche armoniche
si vanno ad una ad una addormentando;

e dentro gli arboscelli
si smorza la confusa
canzon de’ filinguelli,
e sotto i muschi e l’eriche
l’anima dei ruscelli in sonno è chiusa;

noi, cinta in bianca vesta,
la piccioletta fata
vedrem dalla foresta
venir nei verdi ombracoli,
di bianchi fior la testa incoronata.

E dormirem congiunti
sotto l’erbetta molle;
mentre alla luna i punti
toglie l’attento astrologo,
e danzano i defunti in cima al colle.

I magi d’Asia han detto
che quanto il corpo è meno
più vasto è l’intelletto,
e il mondo degli spiriti
gli raggia più perfetto e più sereno.

Infatti, io sento l’onde
cantar di là dal mare,
odo stormir le fronde
di là dal bosco; e un transito
d’anime vagabonde il ciel mi pare.

Da un calamo di veccia
qua un satirin germoglia,
da un pruno, a mo’ di freccia,
là sbalza un’amadriade:
è in parto ogni corteccia ed ogni foglia.

Lampane graziose
giran la verde stanza;
e, strani amanti e spose,
i gnomi e le mandragore
coi gigli e con le rose escono in danza.

Del mondo ameno o tetro
com’è che ai sensi tardi
mi piove il raggio e il metro?
e né cornetta acustica
mi soccorre né vetro orecchi e sguardi?

Com’è che le mie colpe
non anco all’olmo e al pino
latra la iniqua volpe?
né il truculento mártoro
mi succhiella le polpe a mattutino?

Sono un granel di pepe
non visto: ecco il mistero.
L’erba sul crin mi repe,
ed è minor che lucciola
nell’ombra d’una siepe il mio pensiero.

O fata bianca, come
un nevicato ramo,
dagli occhi e dalle chiome
più bruni della tenebra,
e dal soave nome in ch’io ti chiamo;

o Azzarelina, in pegno
dell’amor mio, ricevi
questo morente ingegno,
tu che puoi far continovi
nel tuo magico regno i miei di brevi.

L’erbetta ov’io m’ascondo
so ch’è incantata anch’ella;
né vampa o furibondo
refolo o gel mortifica
lo smeraldo giocondo in ch’è si bella.

So che, d’amor rapita,
in un perpetuo ballo
mi puoi mutar la vita
o su fra gli astri, o in nitide
case di margherita e di corallo.

Sien acque, o stelle, o venti,
dove abitar degg’io,
per primo don m’assenti
il bacio tuo; per ultimo,
dei rissosi viventi il pieno oblio.

Ascolta, Azzarelina:
la scienza è dolore,
la speranza è ruina,
la gloria è roseo nugolo,
la bellezza è divina ombra d’un fiore.

Così la vita è un forte
licor ch’ebbri ci rende,
un sonno alto è la morte;
e il mondo un gran fantasima
che danza con la Sorte e il fine attende.

Vieni ed amiam. L’aurora
non spunta ancor; gli steli
ancor son curvi; ancora
il focherel di Venere
malinconico infiora i glauchi cieli.

Vieni ed amiam. Chi vive,
naturalmente guada
alle tenarie rive:
ma chi è prigion nel circolo,
che la tua man descrive, a ciò non bada.

Giovanni Prati

***

 

 

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3 risposte

  1. Mi ritrovo in qesti agili versi.
    Uno stato onirico, costante, omnicomprensivo, dove il sogno tutto pervade. La natura diviene uno scrigno ricolmo di sensazioni e di significati, di figure mitologiche che restituiscono e fanno rivivere, come in un grande e luminoso affresco per bambini, un’anima che sgorga pura e intoccata, fantastica e viva, da un tempo lontano, quando ogni cosa aveva un posto e una funzione nel vasto disegno di un animismo ubiquo e pervasivo, e dove le forze della vita albergavano nei più riposti ricettacoli delle cose e delle creature del mondo. La struttura agevole, scorrevolmente piacevole, contribuisce alla grazia di una descrizione che lega il poeta direttamente e strettamente a ciò che vede e sente, nella (apparente) ingenua purezza di un’anima tanto attenta alle manifestazioni più riposte della vita quanto sensibile a raccoglierne ed esaltarne i suggerimenti. Da tutto ciò sgorga spontanea e vera la rivelazione – quasi francescana – di una bellezza che ognuno può ritrovare se sa aprire il proprio cuore e la mente ai tanti aspetti che la natura propone. Basta un verso: “La bellezza è divina ombra d’un fiore”.

  2. A parte il linguaggio un po’ troppo arcaico anche per l’epoca, mi è piaciuta questa lunga lirica di un autore che non conoscevo. Più che un sogno questa è una dichiarazione di intenti di un idealista che nelle piccole cose scopre tutta la beltà nel mondo. Invece noi viviamo l’era dello “status symbol”: apparire per essere. Più ci si mostra ricchi, più si è potenti. Anche l’attuale Papa, dimenticate le regole francescane di Papa Bergoglio, ritorna ai vecchi principi di Fasti, di troni e compagnia bella. Il contrasto tra il prima e il dopo è stridente e mi fa apprezzare ancora di più il prima.

  3. Una poesia piacevolissima sia come contenuto che come ritmo. Un mondo onirico di fringuelli, erbetta e creature leggere e serene. La poesia ci trasporta in una dimensione perduta dove possiamo momentaneamente aggirarci per ritrovare le fonti della serenità, della fantasia e della pace delle quali questo mondo crudo e caotico ci ha fatto perdere la strada. Interessante la struttura rimica , anche per la presenza delle sdrucciole che non sono rima , ma in qualche modo lo sono perché così la metrica vuole per convenzione ragion per cui non si avverte alcuna ” stranezza”. La disposizione della misura dei versi suona al mio orecchio con l’armonia e l’originalità di una composizione in metrica barbara. E questo mi piace davvero molto.

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