GIOVANNI PASCOLI
ALEXANDROS
I
— Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo, squilla!
Non altra terra se non là, nell’aria,
quella che in mezzo del brocchier vi brilla,
o Pezetèri: errante e solitaria
terra, inaccessa. Dall’ultima sponda
vedete là, mistofori di Caria,
l’ultimo fiume Oceano senz’onda.
O venuti dall’Haemo e dal Carmelo,
ecco, la terra sfuma e si profonda
dentro la notte fulgida del cielo.
II
Fiumane che passai! voi la foresta
immota nella chiara acqua portate,
portate il cupo mormorìo, che resta.
Montagne che varcai! dopo varcate,
sì grande spazio di su voi non pare,
che maggior prima non lo invidïate.
Azzurri, come il cielo, come il mare,
o monti! o fiumi! era miglior pensiero
ristare, non guardare oltre, sognare:
il sogno è l’infinita ombra del Vero.
III
Oh! più felice, quanto più cammino
m’era d’innanzi; quanto più cimenti,
quanto più dubbi, quanto più destino!
Ad Isso, quando divampava ai vènti
notturno il campo, con le mille schiere,
e i carri oscuri e gl’infiniti armenti.
A Pella! quando nelle lunghe sere
inseguivamo, o mio Capo di toro,
il sole; il sole che tra selve nere,
sempre più lungi, ardea come un tesoro.
IV
Figlio d’Amynta! io non sapea di meta
allor che mossi. Un nomo di tra le are
intonava Timotheo, l’auleta:
soffio possente d’un fatale andare,
oltre la morte; e m’è nel cuor, presente
come in conchiglia murmure di mare.
O squillo acuto, o spirito possente,
che passi in alto e gridi, che ti segua!
ma questo è il Fine, è l’Oceano, il Niente…
e il canto passa ed oltre noi dilegua. –
V
E così, piange, poi che giunse anelo:
piange dall’occhio nero come morte;
piange dall’occhio azzurro come cielo.
Ché si fa sempre (tale è la sua sorte)
nell’occhio nero lo sperar, più vano;
nell’occhio azzurro il desiar, più forte.
Egli ode belve fremere lontano,
egli ode forze incognite, incessanti,
passargli a fronte nell’immenso piano,
come trotto di mandre d’elefanti.
VI
In tanto nell’Epiro aspra e montana
filano le sue vergini sorelle
pel dolce Assente la milesia lana.
A tarda notte, tra le industri ancelle,
torcono il fuso con le ceree dita;
e il vento passa e passano le stelle.
Olympiàs in un sogno smarrita
ascolta il lungo favellìo d’un fonte,
ascolta nella cava ombra infinita
le grandi quercie bisbigliar sul monte.
Giovanni Pascoli
da “Poemi conviviali”, in Giovanni Pascoli, Tutte le poesie, Giunti-G. Barbera, Firenze 1973.
6 risposte
Fantasia
(Raccontare un mito)
Era già l’ora in cui la notte dorme
e tutt’intorno stinge nel colore
che tutto uguaglia e intenebra le forme,
ed ogni cosa affioca nel sopore.
Pesante, il sonno, da dirute porte
un sogno riportava da lontano,
un naufrago fuggito dalla morte,
nel mare immenso d’un passato arcano.
E mi pareva d’essere sospeso
sopra una roccia in fronte a una pianura,
dove correva limaccioso e teso
un fiume di cruore e di paura.
Vidi Achille piangente, col cimiero,
le sue armi belle, con Patroclo accanto,
Aiace vidi scatenato e fiero
e il Vate assiso, nel suo dolce canto.
Ettore vidi, e Ulisse e le infinite
schiere d’eroi prestissimi e valenti,
le porte Scee, le mura alte e turrite,
e il sangue a fiumi e i colpi ed i morenti.
Vidi gli dei giocare con gli umani,
accenderli al coraggio ed al furore,
perderli in giochi misteriosi e vani,
mutargli alterni i sentimenti e il cuore.
Paride vidi e vidi il saggio Enea,
ed Elena e d’Ecuba alti i lamenti,
e Cassandra indovina, che già avea
la rovina prevista e i patimenti.
E tra le fiamme, tra le grida e i pianti
nel fumo denso, vorticoso e nero,
vidi compirsi, proprio a me davanti,
il mito antico del divino Omero.
Poi il cielo si abbuiò; tutto ad un tratto
il sogno mio fu cancellato e spento.
Com’era nato, al pari e ancor più ratto,
svanì nel nulla, cenere nel vento
Lido Pacciardi
Pascoli è Pascoli: è incommentabile. Tanto più che Alexandros è uno dei suoi poemetti maggiormente conosciuti e pertanto non rappresenta una novità. Ma Lido è una continua sorpresa; capisco perché abbia un posto d’onore nella biblioteca del suo paese. Alla sua morte gli intitoleranno una strada, una scuola o la stessa biblioteca in quanto è giusto che venga ricordato. Complimenti !!!
Ti ringrazio cara Carla per la tua affettuosa ironia. Ma spero di venire ricordato il più tardi possibile. Questo sogno omerico è una reminiscenza delle recitazioni di mio padre Ferdinando nelle veglie invernali, quando ero bambino.
Caro Lido, non c’era niente di ironico nel mio commento. Sono estremamente convinta delle mie affermazioni pronunciate in assoluta serietà.
Sei troppo… buona. Ti ringrazio nuovamente.
………
“soffio possente d’un fatale andare,
oltre la morte; e m’è nel cuor, presente
come in conchiglia murmure di mare.”
……
Nella parola pascoliana la nettezza e l’autonomia ritmico-fonetica nonché l’essenzualità sintattica, sono encomiabili. A ciò si affianca una ricercatezza lessicale che non è ostentazione ma scelta linguistica sempre opportuna, quasi cogente, tratta da un bagaglio verbale sterminato.
Ne risulta un dettato nobile, neutro,
autonomo, di straordinaria purità.
Per questo Pascoli è un maestro di poesia e bene fa il mio amico Lido a ispirarsi a lui.