Elsa Morante, Addio

ELSA MORANTE

da IL MONDO SALVATO DAI RAGAZZINI

ADDIO

 

(…)

Qua un giorno di primo autunno, su un ponte fremente di folla
perché c’è il passaggio del Papa,
ci si può esibire, buttandosi vestiti nel Tevere
per il salvataggio di un gattino bastardo
predestinato.
E risalire sul ponte in un trionfo, grondanti e raggianti.
Ma più tardi a casa, poi, maledire la vita
perché quel gattino rifiuta ogni cibo, e oramai
non vuole più guarire.

Qua, una notte di troppe bevute, i ragazzi ubriaconi
possono, rincasando, scatenare in un estro furibondo
l’orchestra jazz sul giradischi, spostare
a calci i mobili per la pista dei balli, spalancare
la finestra, urlando degli osanna e dei gloria irripetibili,
e al Colonnello condòmino che protesta gridare: Merda!
per poi, la mattina, alle sue successive proteste, con
[degnazione rispondere:
«Quale indecorosa gazzarra?! nel mio appartamento?!
Da me, per tutta la notte, non si è mossa nemmeno la gatta.
Secondo me, la sola dannata spiegazione, COLONNELLO,
è che lei, stanotte, dormendo, abbia avuto un incubo. Forse
aveva un poco bevuto?»

Qua ci si può raccontare le storie della propria vita:
il padre filisteo brutale. La madre maltrattata e bella
(a tre anni tu la difendevi gridando: Questa donna è mia!).
La Nonna Simpatica, grassa, malata d’ossa e gioconda
(che ha avuto quattro mariti, e all’età di settantatré anni
faceva ancora l’amore col quarto il più focoso).
La Nonna Antipatica, secca e arzilla, che giudica e sparla,
e a tutte le Arti del mondo preferisce un sicuro impiego…
La festa del primo novembre, con le lanterne di zucche:
Tritto-o-tricco! Tricco-o-tritto!
E di quando, in gara col merlo,
ci si buttò dal tetto della rimessa
per fare la prova del volo…

Qua, se un amico è lontano, lo si può chiamare al telefono,
fosse pure agli antipodi (tanto, non si paga subito,
il conto è un remoto futuro): «Chi è là? Samarkanda?
[Londra? Persepoli?
Sei tu!? Sono io, da New York City!! Senti la mia voce?
Come stai? Qua si crepa di noia! Pure là? Quando torni?
Ehi! C’è la gatta, seduta qua sulla mia pancia
che ti saluta! La senti, la sua voce? …»

Qua si può piangere per un tradimento d’amore.

Si può bisbigliare a un orecchio una frase tremenda
e intanto dolcemente baciare
quell’orecchio, ridendo
puerilmente.

Si può passare una notte in guardína e rilasciati alla mattina
andarsene alla spiaggia del mare a rinfrescarsi
bestemmiando fra le bracciate e gli spruzzi
contro le pulci delle galere
e i Codici tutti fetenti e proclamando la gloria d’essere
dei fuorilegge.

Si può protestare indignati contro certe rivistacce commerciali
che per lucro insultano con pettegolezzi biografici
la memoria dei Poeti.
E, preoccupati, intendendo premunirsi
contro ogni dannata evenienza di fama futura,
provvedere senz’altro, quel giorno stesso, a distruggere
tutto il proprio epistolario privato.
Senza salvare nemmeno la fotografia
originale (custodita fino dalla fanciullezza)
della Divina Vecchiona Culona Mammona,
con la sua dedica personale autografa:
Grazie per i simpatici auguri d’Anno Nuovo.
Sincerarnente
Mae West.

Si può, alla mattina d’estate, andare sulla Via Appia,
tolta la camicia, riparati da un cappellaccio di paglia,
a ritrarre un antico sepolcro, che nel tuo dipinto diventa
una scogliera vulcanica, selvaggio addio pietrificato
nel cielo diluviale dei Golgota e Paradisi terrestri.
E dipingendo, intanto, disputare arrabbiati
perché si viene contraddetti nell’affermazione
che Cecilia Metella era una santa cattolica
patronessa di tutti i musicisti italiani
e apparve in visione, con un’arpa, al famoso musicista italiano
Giuseppe Verdi
autore della Tosca.

Qua, uscendo dalla bottega di un fioraio borghese
in compagnia della isterica vecchia madre,
si può offrirle ingrugnati, dentro un cartoccio di giornale,
la sorpresa nascosta e omaggio
di DUE DOZZINE DI ORCHIDEE! furto operato con destrezza
mentre il complimentoso bottegaio s’era distratto
con la detta signora.

Si può il primo novembre, giornata generale
di Tutti i Santi,
grandiosamente con allegria milionaria
acquistare un tacchino intero, da regalare alla gatta
affinché goda lei pure la sua dovuta festa onomastica
(invero essa ha nome
Konkuahat).
E poi, squartando il tacchino, presi da un amaro disgusto
di tutte le morti animali e di tutta questa vita,
aver voglia di morire.
E con lo stesso coltello tagliuzzarsi le vene del polso
in un solitario misero pianto luttuoso
mentre nella stanza vicina la gatta gozzoviglia.

Qua si può ascoltare intenti, per ore, le favole,
e leggere entusiasmati Tropico del Cancro.

Si può insultare al passaggio una guardia di questura
e andarsene fischiettando impuniti, come fosse stato
qualcun altro.

Si può idolatrare per anni un grande divo, e quando infine
lui si degna d’esser lieto di fare la nostra conoscenza,
ai suoi convenevoli formali rispondergli solo: Bastardo!
e piantarlo in asso nei saloni del suo Grande Albergo
scuotendoci via la sua polvere dai nostri stivali.

Si può prendere il piroscafo per le isole che, da piccoli,
[stando al Kentucky,
non si credeva esistessero davvero, invece esistono.
E là tuffarsi radiosi nel mare a picco dalle rupi
correndo in gara alla traversata celeste come arcangeli
[nel battito delle ali;
oppure lasciarsi portare riposati per il mare calmo
sul materassetto di gomma turchina
abbronzandosi al sole, rinfrescati dal soffio dell’acqua,
come il sultano Unis (signore di saggezza di cui la madre
[ignora il nome)
disteso fra i ventagli di palma
delle sue trentamila schiave
lungo il Nilo.

Qua ci si può impadronire dei barbari girasoli
scavalcando in un salto i muri della proprietà privata.

Si può scrivere ogni due giorni alla nonna simpatica
che da piccolo ti accoglieva a dormire
assieme a lei, nella sua larga cuccia
(quando le notti avevi paura delle streghe invernali
che cavalcavano dentro i nubifragi
a cavallo dei campanili strappati dalle chiese).
E alle sere si può dividere il letto con un ragazzetto amico,
o invece con una ragazzetta, secondo gli umori.
Oppure, quando non si ha voglia di coricarsi con nessuno
perché stasera si è disperati e si vorrebbe esser morti,
prendere le pillole drogate, che fino a domani
fanno dormire come morti.

Qua si può ballare con una ragazza bella della quale non
[t’importa niente,
per ingelosire una brutta della quale invece t’importa…

Si può salvare dalla camera a gas un cagnòlo paria e rognoso
e mettergli nome Principe Facciadivina…

Si possono mangiare i cannelloni, i gamberi e il gelato
[di vainiglia…

Si può, quando si è ragazzi troppo belli,
sputare adirati contro i passanti maschi e femmine in generale,
che in istrada si permettono di voltarsi seguendoti con
[occhi innamorati.
E per farla finita con loro (Non voglio piacere alla gente!)
un giorno, con torva decisione,
uscire camuffati da brutti (occhiali da vecchio ebreo,
[sciarpa fino al naso)
scivolando per le vie tenebrosi
con l’aria di un ricercato speciale dinamitardo sovversivo.

Qua si può discutere di Cristo e di Budda
e della ignominia occidentale detta classe media
e della rivoluzione di Cuba
e dei bianchi, pieni di soldi, benpensanti e benlavati, che
[puzzano di cesso
e dei negri poveri che odorano di fiore
e delle immonde guerre dei padri e delle loro squallide paci
e delle loro istituzioni speculazioni missioni invenzioni
[provvidenze sanzioni
tutte stronzate di vacca-
E della realtà, e della vista pura, e del CAPIRE,
e delle dimensioni multiple
e dei colori
e della morte.

Elsa Morante

***

 

 

 

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5 risposte

  1. Ad una prima veloce lettura, una lista di cose alla… rinfusa, che lascia interdetti. Rileggendo con calma e riflettenfoci meglio, uno spaccato di vita di un tempo e di un luogo; in definitiva, di una condizione sociale non omologata da regole precise, ma lasciata libera allo sfogo di pulsioni e di bisogni elementari che ne sottolineano ed arricchiscono la vitalità. Non riesco a chiamarla Poesia, ma vi riconosco una originalità e una spontaneità che ne nobilita i tratti, pure con episodi di apparente banalità, ma che scaturiscono freschi e privi di condizionamenti moralizzanti, dove chi si sente libero da regole, forzature e pastoie di qualsiasi tipo, può riconoscersi ed apprezzare le cose minime della quotidianità. Che sono poi quelle che danno sapore alla vita.

    1. Mah! E’ vero che è difficile e forse impossibile dire cosa sia “poesia”…sono quelle cose che non si possono definire in maniera precisa, però se questa è poesia allora io non me ne intendo per niente ( e probabilmente è così)… ma di fronte a cose del genere non me ne rammarico più di tanto 🙁

  2. Capisco che sia una brava scrittrice e mi rendo conto che ha delineato una gran quantità di quadretti in ottima maniera. ma a me una lungagnata di questo genere viene a noia. Sicuramente piacerà a molti perché è scritto in maniera magistrale, ma il troppo stroppia…

  3. Di Elsa Morante non mi sono mai piaciuti né romanzi, né poesie. Ha un suo stile personale riconoscibilissimo e questo è un suo grande pregio. Però rileggendolo questo suo lungo proclama ha una vigoria interiore molto apprezzabile anche se certe cose non le capisco come dire che Giuseppe Verdi è autore della Tosca. Non lo trovo spiritoso, sembra quasi una presa in giro del Maestro. Forse all’interno del testo ci sono altre fesserie del genere a dimostrare che chi ragiona così è persona non colta che parla a ruota libera senza farsi troppi problemi. Tuttavia per concludere questa è la cosa più bella che ho letto della Morante.

  4. Io trovo notevolissima questa prosa per bozzetti di Elsa Morante.
    L’impianto è frammentato e oggettivante, quasi giornalistico, ma la scrittura è lucida, incisiva, essenziale, distaccata e appassionata a un tempo. Un vigile flusso di pensiero ( mi si consenta l’ossimoro).
    Certo,specie nei ripiegamenti meditativo-intimistici, c’è una punta di narcisistica ostentazione della propria cultura e delle proprie capacità intellettuali. Questo forse è il limite di una prosa per altro ragguardevole e, a tratti, magistrale.

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