TRILUSSA
Pseudonimo di Carlo Alberto Salustri (Roma, 1871-1950). Poeta e scrittore.
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La tartaruga
Mentre una notte se n’annava a spasso,
la vecchia tartaruga fece er passo più lungo
de la gamba e cascò giù
cò la casa vortata sottoinsù.
Un rospo je strillò: “Scema che sei!
Queste sò scappatelle che costeno la pelle…
Lo sò -rispose lei- ma prima de morì,
vedo le stelle.
*
Er presepio
Ve ringrazio de core, brava gente,
pé ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? si poi v’odiate,
si de st’amore non capite gnente…
Pé st’amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto, senza ascolto.
*
Avarizia
Ho conosciuto un vecchio
ricco, ma avaro: avaro a un punto tale
che guarda i soldi nello specchio
per veder raddoppiato il capitale.
Allora dice: – Quelli li do via
perché ci faccio la beneficenza;
ma questi me li tengo per prudenza… –
E li ripone nella scrivania.
*
La statistica
Sai ched’è la statistica? È ‘na osa
che serve pe’ fa’ un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che sposa.
Ma pe’ me la statistica curiosa
è dove c’entra la percentuale,
pe’ via che, lì, la media è sempre eguale
puro co’ la persona bisognosa.
Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra ne le spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perché c’è un antro che ne magna due.
*
Er gatto socialista
Un Gatto, che faceva er socialista
solo a lo scopo d’arivà un posto,
se stava lavoranno un pollo arosto
ne la cucina d’un capitalista.
Quanno da un finestrino su per aria
s’affacciò un antro Gatto: – Amico mio,
pensa – je disse – che ce sò pur’io
ch’appartengo a la classe proletaria!
Io che conosco bene l’idee tue
sò certo che quer pollo che te magni,
se vengo giù, sarà diviso in due:
mezzo a te, mezzo a me… Semo compagni!
– No, no: – rispose er Gatto senza core
io nun divido gnente cò nessuno:
fo er socialista quanno sto a diggiuno,
ma quanno magno sò conservatore!
3 risposte
Che dire: fantasia inventiva, capacità straordinaria di rappresentazione, sintesi, musicaltà, pungente ed efficacissima ironia. Sempre con un sorriso disincantato che tratta le cose minime e i fatti della vita, magari traferiti sugli animali come un moderno Esopo, per toccare le vicende di una umanità che nei suoi egoismi, nelle difese dei suoi privilegi, si presenta viva e coloratissima e dove la sentenza insita e chiusa nelle rime di questo splendido verseggiatore del popolo tratta e riveste di un sorriso anche la disperazione e il dolore. Il suo romanesco è meno stretto di quello di Gioachino Belli, ma certamente accessibile a tutti.
Deliziose queste poesie di Trilussa tanto abile nel “ridendo castigat mores” quanto nell’evitare la censura. Se poi si considera che è molto più difficile scrivere testi che facciano ridere o perlomeno sorridere piuttosto di quelli proclivi al pianto è detto tutto.
Il romanesco di Trilussa non è caustico e fotografico e nemmeno incisivo e brutale come quello del Belli, linguaggio squisitamente popolaresco.
La satira di Trilussa porta sempre una morale edificante, ha la vocazione gnomica dell’intellettuale di classe media, saggio e avveduto.
Non per nulla ricorrere sovente al bestiario personificato, come Esopo,Fedro, La Fontaine.
L’umanità del Belli è animalesca, gli animali di Trilussa sono umani.
Belli non conosce, come Trilussa, l’accorgimento della similitudine, che fa da filtro alla bruta realtà.
Leggere Belli diverte e inquieta,
leggere Trilussa diverte e rasserena.