Carla Baroni – Pasquale Balestriere, “E a te rispondo”

C. BARONI – P. BALESTRIERE

E a te rispondo 
(Canti quasi amebei)

*  

In proposta di lettura i brani iniziali di “E a te rispondo”, poemetto  quasi amebeo scritto da C. Baroni e da P. Balestriere in testimonianza di amicizia (non solo poetica),  pubblicato in tiratura limitata e  in edizione bilingue (italiano- spagnolo) da Benilde, Siviglia, 2021.

Il discorso poetico è reso compatto e senza interruzioni dal fatto che l’ultimo verso di ogni brano diventa il primo del brano successivo.

*

 

 Pasquale  
E giaccio qui sul cuore di Penelope
alla tardiva fiaccola che brucia
l’ultimo buio della notte. Stanca
è però questa donna della tela.
La trama della vita anch’io ripongo
e ancora il tempo misuro tra luna
e luna, nel ricordo di violenti
schiaffi d’onda sul ben contesto guscio
che sbanda e salta e affonda con sussulti
di cuori e tenui speranze d’approdi.
Ah, pianure di Troia, dove in neri
grumi s’estinse tanto chiaro sangue,
dove i migliori compagni lasciarono
la vita, sciolte membra, per la via
maestra! Torti e canuti sentieri
a me il fato prescrisse, senza gloria.

Ogni viaggio è compiuto. Sei venuto
a capo d’ogni rotta, i tanti sfagli
di cuore dominati dai ricordi.
Le stelle non ammiccano, silenti.

Altre storie ci sono di Navigli
dalla terra  domati e dai bardotti,
vènule di città, invasi un tempo
da grida di fatica, ora dismessi,
d’alzaie spenti e vedovi. Neppure
in quelli c’è più respiro di vento.

È tempo d’acquietarsi nella sera.

*

Carla       

È tempo d’acquietarsi nella sera
quando la luna ti inargenta il dorso
delle mani congiunte alla preghiera.

Non fui Penelope, non ebbi Proci intorno
ed un Ulisse a me non si abbandona.
Ma ugualmente rifeci la mia tela
più e più volte, Aracne disperata
cui l’invidia infieriva sulla trama
o sull’ordito a incidere ferite
sopra la stoffa debole, un ricamo
di mille punti, l’aspo rantolava
su e giù, su e giù con un rumore sordo.
La linfa sale, s’inceppa, ridiscende
crea nuove vie allo scorrere nel tronco
come i navigli della tua memoria,
strade di un tempo che ora non c’è più.
Però ancor sale, lacrima, fluisce
dalla ferita nuova e non si placa
al buio che già incombe, spera sempre
che l’ultima sua foglia flauto sia
ad un pastore errante che ne tragga
antica melodia. non importa
se un Miserere od un Laudemus canto
da perdersi nel cielo in firmamento.
Ed è la luna mia, luna nuova
che argento non sa piangere alle mani.

*

P. Che argento non sa piangere alle mani
tu dici della luna, col rimpianto
di un’anima che certo nella vita
conobbe bene il graffio del dolore.
Ed ora che s’approssima l’inverno
e falde fredde spinge contro il petto
barriera noi facciamo al nostro cuore,
e con scudati affetti  ravviviamo
la fiaccola fugace. E nulla importa
se ci urla addosso il tempo, se precipita
la corsa verso prode inenarrabili;
se anche i capelli si fanno di neve,
se rughe in crocchio sul viso s’accampano.
In tasca abbiamo semi e forza e ardore
per l’attesa fidente dei germogli
ed una leziosa speranza
di frutti d’oro, di messi gioiose
da affidare al tempo che ci resta.
Teniamola così
nel pugno chiuso quest’ hora terrena:
sia soldo infine di sole prezioso
in questo chiaro Natale dell’anno
duemiladiciannove che già arresta
piogge di mesi e mare in tempesta.

*

C. Piogge di mesi ed un mare in tempesta
no, non li arresta un attimo di sole
apparso quasi come un lampo, lama
che taglia questa oscurità, confronto
tra due destini, uno da guerriero
e l’altro, invece, d’Angelo celeste.
Sì, fummo eroi senza medaglie, pronti
ad innalzare l’unico vessillo
che la vita ci diede, lacerato
già in più punti, privo dello stemma
lasciato a quelli nati d’alta casta.
E noi, criceti, sempre poi a salire
quella ruota nefasta della gabbia
sognando di arrivare infine in cima.
Tu ancora speri, speri nei germogli
nati dai semi che tu serbi in cuore.
Io, all’opposto,
la mia colomba ho già affidato al mare
ed essa non ha fatto più ritorno.
Non porterà l’ulivo dentro al becco,
non mi dirà se sarà quieta l’onda.
Ed è questo che temo, l’improvvisa
voragine che rapida cancelli
le foglie ancora verdi alla mia pianta.
E neanche credo
che mai si aprirà a fisarmonica
l’arcobaleno di un sereno requiem.

*

P. L’arcobaleno di un sereno requiem
non dovrebbe turbare i nostri sonni:
l’improvvisa voragine che dici
è solo un passo per aprir la porta
di un’altra dimensione più leggera …
(Intanto Caterina se ne torna
ad Arenzano: allevierà le pene
di gatti e cani, consumati i pochi
giorni di ferie. È il terzo di gennaio,
lo invade uno splendore senza fine.)
E per tornare al dunque
al mare non affido mai colombe
e spero nella terra e nei germogli
poiché mi batte in petto
-a me figlio di un’isola-
tenace cuore d’aspro contadino
che scavalca l’inverno
e attende primavera. E già depongo
semi nel ventre della bruna terra,
e spio sempre il tempo e tengo d’occhio
le fasi della luna.
E se per caso dalle parti mie
passerà la poesia
proverò a rubarle qualche verso
per donarlo alla vita
almeno fino a che non sia finita.

*

C. Almeno sin che non sarà finita
questa esistenza di avamposti bui
muovo pedine inani alla scacchiera.
Siamo diversi, io e te, i polloni
tu curi della pianta radicata
tenacemente nel tuo aspro terreno.
Ma hai polloni. Invece figli miei
sono soltanto il vento o la lanugine
di nuvole che vagano nel cielo,
sfuggono, vanno, si librano, ritornano
in varie forme pronte per lo scritto
alla mia penna che nei versi vede
solo il destino suo. Sarà sconfitta
o una vittoria amara senza allori
quando
forse qualcuno parlerà di me.
Diversamente
di Caterina non avrò il sorriso
né i sogni a mongolfiera di Francesco.
E nel frascame l’uva settembrina
non mi darà speranza di buon vino,
l’uva che tu coltivi con sudore
senza aspettarti niente dalla sorte
solo che venga quieta la tua ora
con la bisaccia carica del dare.
E intorno il mare tuo – Ulisse reinventato
di terra e di chimere – d’Itaca o d’Ischia
nell’alveo del mio sonno non sciaborda.
Ti immagino così, nume di scoglio,
ad annodar sarmenti nella vigna
la mano tua alla penna destinata
ruvida adesso al tatto
diventa seta al tocco del racemo…
Fato diverso il mio, altro volere
mi imposero con sfida giorni grigi
in cui la solitudine sovrana
giocava all’armistizio con il cielo.
Ed ora è tardi per tornare indietro
per suggere dai fiori quell’ambrosia
che è destinata solo agli immortali.
È vuoto il sacco, io non lo so riempire
e spargo adesso con avara mano
i semi mal riposti dell’infanzia
quando si crede che la gerla d’oro
ti porterà la gloria in un domani.
Però ancora non mi arrendo, ancora
su questo arcipelago di sassi
dove d’estate la cicala canta
il suo esasperato malumore
volgo lo sguardo al cielo, a questo cielo
che con la sua immensità mi opprime.
In esso
Antares vibra evaporando piano
e sparge la sua nuvola di fuoco
sulle colline bianche della luna.
E rosso di quel fuoco sia il tramonto,
arda alla fiamma la memoria d’uomo
lasciando dentro al cosmo la sua cenere!
Fui segno d’aria, volta alle comete
ma fu il color del sangue che mi attrasse
sempre ed ognora, non l’azzurro intenso
di celestiali alate altre presenze.
E adesso che il mio giorno la partita
gioca con le rimaste poche carte
punto di nuovo al rosso: San Michele
nel fuoco mio attizzerà la spada.

*

P. Nel fuoco tuo attizzerà la spada
un San Michele? A me, davvero, basta
questo sole che  squilla stamattina
e sulla terra rovescia cascate
d’oro e voli e trilli d’uccelli
gai alla vita.

La scelta del dialogo a distanza
Ischia- Ferrara che ci tien vicini
non è certo per gioco.
È un parlar lungo  che soffonde gli echi
nella gabbia del cuore
oltre ogni telefonico contatto.
E nella tua voce io leggo
lieve e dolce una nota di dolore
se quasi con pudore
alludi alla mancanza di una prole.
Però tieni nel petto
un mare di poesia
che si compone in carmi, i veri figli
che segnano la traccia d’una vita
della tua vita.
Nascono spesso i versi per tormento
d’ assenza o di mancanza. Nell’umana
natura è sempre il vuoto
che cerca il pieno per brama ancestrale.
E tu, che ami il bello oltre ogni dire
e la divina grazia di poesia,
tu vivi la tua vita,  guarda avanti
nel sole e dimmi se leggiadro spiri
questo domani che per noi vorremmo
azzurro e di tersa lietezza.

*

C. Azzurro e terso di lietezza speri,
caro amico lontano, il mio futuro
tra i trilli degli uccelli e un nuovo sole.
Ma ben diverse son le nostre vite,
ben diversi gli assiomi a due esistenze
parallele soltanto nell’età.
Tu hai tuoi figli, sangue del tuo sangue
a dare linfa al vecchio tronco e insieme
a prender linfa dalla sua saggezza.
I miei versi non bastano, s’incatena
in fallaci illusioni qualche volta
una spera di sole ma poi so
che è veleno nel prossimo domani.
Tempo di nebbia è questo. La fumana
sale dall’erbe, si sprigiona quasi
dai tronchi delle piante, dagli anfratti
delle cortecce umide, le foglie
paion di nuovo assumere vigore.
Achlýs passeggia col felpato piede,
sembra leggera, provvida, pietosa
ma la sua mano illanguidita porge
soltanto a chi adesso non è più.
Ed il ricordo tra quei veli scherza
come arrochito carillon che tenta
di riportarci indietro, ai primi passi
al maldestro giocare con la vita
a quello che all’istante sembrò buono
e poi si rivelò groviglio d’aspidi.
Sì, l’esistenza mia fu proprio questo
imbroglio colossale di promesse
mai mantenute cui neanche credevo
bambino che sa già che la Befana
serve per far giocare i genitori…
Eppur mi piace questa nebbia opaca
che il Po ci porta a sbuffi o vaga
a silenziose ondate di maree.
Son le anime dei morti che ritornano
a dirci che ci sono, son rimaste
anche senza una lapide o una stele:
qualcosa resta o è forse la speranza
di non essere noi esistiti invano.
Ed è proprio l’idea di ritornare
piuma, erba, nuvola del cielo
che rischiara talvolta i giorni miei,
non i versi che furono il mio sangue
ma invisibili agli occhi della gente.

C. Baroni – P. Balestriere

***

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8 risposte

  1. Grazie Pasquale per questo revival. Anche a me in questi giorni è venuto per le mani questo poemetto di cui ricordavo poco o niente come di tante cose che scrivo. Stavo cercando le poesie non ancora pubblicate da inserire nel mio ultimo lavoro e ho trovate queste che mi sono piaciute molto finché non mi sono accorta che appartenevano a un libro già pubblicato. E’ la tua collaborazione che mi ha fatto scrivere bene, che mi ha ispirato. Grazie di tutto sperando che piaccia anche agli altri.

  2. Poche parole: un duetto poetico che esprime – e da cui si sprigionano – finezze lessicali, con costruzioni metriche praticamente perfette, ma non per questo solo tecnicamente mirabili. Nell’uno e nell’altra due facce della stessa medaglia, due diversi approcci alla vita, ma ambedue coinvolgenti e colmi di pathos. Si avverte bene che i due dialoganti hanno cuore e mestiere ed in più sanno come trasmettere il “messaggio”, che deve essere sempre la funzione principale della vera Poesia. Buon Natale a tutto il gruppo.

    1. Grazie carissimo Lido, sei sempre il primo a rispondere e ci tenevo che questo nostro poemetto, mio e di Pasquale, fosse letto da qualcuno perché, al bando la modestia, lo ritengo veramente bello. E’ stato anche la causa di inimicizie insanabili da parte di coloro che hanno tentato di copiare l’idea del dialogo a distanza e non hanno saputo digerire che nella gara abbiamo vinto noi. Buon Natale anche a te e a tutti coloro che, pur nel frenetico adempimento di tutte le incombenze delle Festività, daranno una scorsa a questa pagina.

  3. In questo duetto poetico fra Pasquale e Carla c’è una grazia, come una magia, che lo rendono unico.
    Non è un certame e tanto meno l’occasione per esibire le reciproche capacità letterarie.
    È piuttosto la testimonianza di un reciproco affidamento, confidente, disinibito, vulnerabile.
    È la prova di come possono comunicare due persone di sensibilità superiore.
    La poesia non ne è che il tramite.
    I versi sono ragguardevoli, a volte bellissimi. Ma non è questo il punto,
    non è questo il motivo che rende così toccante questo straordinario poemetto.
    È la disposizione d’animo dei due autori,
    la loro assoluta volontà a confidarsi e a sostenersi.

    1. Grazie, Luciano, del tuo illuminato commento. Come avrai letto nelle mie risposte, non mi vergogno affatto a dirlo, questo poemetto mi piace moltissimo, è secondo me una delle cose migliori che ho scritto complice lo stimolo che mi ha dato Pasquale con la sua parte poetica che si è incastonata benissimo con la mia quasi fossimo un’unica persona. Purtroppo, essendo due gli autori, non abbiamo potuto inviarlo a nessun concorso e quindi farlo leggere ad una cerchia più vasta di quella degli amici del cuore. Infatti io ho ottenuto riconoscimenti inaspettati mandando qualche mio libro a Premi in cui il vincitore era designato a priori ma nel quale qualche giudice mi aveva letta e aveva stimato la mia opera. Le vie del Signore sono infinite! Grazie, grazie ancora.

  4. Il duetto è composto utilizzando un lessico raffinato e familiare ai due autori, indizio quest’ultimo dell’esclusività del legame d’amicizia. Evidente è infatti la grande sintonia tra i due che si rivelano presi in un dialogo dai contenuti talvolta cifrati, come se facessero riferimento a cose o persone di cui solo loro sanno.
    Altro aspetto interessante è la sensazione che attraverso il testo si compia un viaggio molto più lungo di quello raccontato a suo tempo da Omero. Punti di partenza sono Ulisse e Penelope, personaggi che hanno attraversato i tempi e che ci ricordano quello trascorso sui libri, il viaggio immersivo nello studio dei miti. Attraverso i dialoghi si osserva anche come il tempo sia riuscito a cambiare il nostro modo di rapportarci agli eroi, il fervore degli ideali giovanili e la concretezza raggiunta con la maturità. Un viaggio articolato che raggiunge l’obiettivo di allineare il passato al presente e di renderlo moderno, pur conservando il senso più alto.

    Auguri anche da parte mia a tutto il gruppo

    1. Cara Assunta, forse hai ragione, il poemetto può risultare in qualche punto criptico ma i versi venivano così immediati e fluidi che non ci siamo preoccupati della comprensione. In verità ci siamo divertiti e molto e questa è la cosa fondamentale per chi scrive come noi a livello, diciamo, amatoriale anche se si spera sempre in qualcosa di più positivo e duraturo. Poi ho sempre affermato che la poesia si deve adattare al lettore che riesce a coglierne sfumature che noi, nel buttare giù il testo, non avvertivamo. Grazie quindi del tuo commento e buon Natale anche a te di cuore.

  5. Mi associo a Carla nel ringraziare gli amici che sono intervenuti con la consueta competenza e l’indiscusso acume. ” E a te rispondo” è un dialogo a distanza tra me e Carla e ha preso voce poetica soprattutto per iniziativa di lei, che l’ha fortemente voluto. Quindi questo libro esiste in particolare per merito suo. E di ciò le sono grato.
    Naturalmente i brani proposti sono solo una parte dell’opera.

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