Narratori: Domenico Rea, Ninfa plebea

DOMENICO REA

La morte di Nunziata

(da Ninfa plebea)

*

Ma poi Nunziata all’acme del silenzio gli carezzò la guancia mentre cercava qualche altra cosa con l’altra mano, e quando in lui il fenomeno avvenne in tutta la sua estensione, Nunziata gli cadde davanti in ginocchio, esclamando: «Madonna, non ne ho mai visto uno così erto. Che perfumo. Che sono le nanasse in confronto? Ma perché tremi? Hai paura di me? Io ti voglio bene. Io ti adoro». Un grande sospiro di ammirazione e, poi, con minutissimi baci, vi strisciò per lungo la lingua a dardo come per sonare un flauto, ora in maniera lenta e ora quasi al galoppo con grandi boccate e quasi morsi finché, nella sua stessa bocca gocciolò saliva come da un rubinetto. Semisoddisfatta si avvicinò alla tavola di taglio e cucito e vi si dispose sopra come un cane, dicendo: «Entrami dentro, amore, alloggialo comodo, macina a fondo, vai alla radice».

Mai più alta montagna si abbatté per collasso di rocce su una pianura come Di su Nunziata.

Sembrava non ci fosse fondo in quella voragine di quasi cinquant’anni. Nunziata sollecitava, incitava, aizzava quando, come per un’esplosione, Di si vide respinto da una controgettata di sangue che gli schizzò sul ventre, sui calzoni, sulle scarpe, sulle mani, per terra. Sangue fiottava come da una condotta stradale scoppiata, e Di perse il controllo. Sedette per alcuni istanti, mentre da quella voragine a fiume e a grumi come ciottoli continuava a uscire il flusso rossastro e bitumoso.

Travolto dall’emorragia, Di mise la sua giacca in quel fosso per tamponarlo; vide il volto di Nunziata cereo e, sperduto, uscì sulla strada, correndo all’impazzata, a quell’ora tarda, in cerca di una carrozzella per portare Nunziata all’ospedale che non sapeva nemmeno dove si trovasse. Al mercato trovò una carrozzella e, per ponti e per strade, per salite e discese, raggiunsero l’ospedale della Marrata. Dovette bussare. Dovette aspettare. A guardare quell’ospedale di dieci letti, senza medico, c’era una sorta di portinaio-infermiere che disse: «E che posso farci? Madonna, è un lago, un fiume. Mettiamoci uno zaffo».

Ma ormai scorreva solo un filo stentato di sangue, e ogni tanto un tremito delle gambe e delle braccia.

*

Domenico Rea

da “Ninfa plebea” , Leonardo Editore, Milano 1992, pagg. 44-45

*

Domenico Rea  (Napoli 1921 – 1994) è stato narratore e saggista di grande spessore. Ha pubblicato, tra l’altro: Spaccanapoli, 1947; Gesù, fate luce!, 1950; Quel che vide Cummeo, 1955; Una vampata di rossore, 1959; Fate bene alle anime del Purgatorio, 1977; Pensieri della notte, 1987; Ninfa plebea, 1992. Narratore sanguigno, irto, scabroso,  è stato sostanzialmente un isolato, certamente ai limiti della società letteraria.

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4 risposte

  1. Non conoscendo né il libro, né il film girato dalla Wertmuller -non riesco a scrivere la dieresi – sono andata a documentarmi su wikipedia. Confesso che questa pagina mi piace poco, non perché boccaccesca ma proprio per la scrittura senza velature che denota una sorta di voyeurismo plebeo. Mi incuriosisce, però, l’interpretazione di Stefania Sandrelli – sempre così leziosamente statica – di questa scena di lussuria. Purtroppo mi dovrò accontentare dell’immaginazione perché un film così non lo trasmetteranno mai in TV. Per il resto, caro Pasquale, è la terza “morte” che posti in un mese circa. E poi non dire che non sei un necrofilo!!!

    1. Cara Carla, io metto in pagina sul blog brani che sono rivelatori quanto meno di un aspetto della scrittura di un autore. Caratteristici, particolari. E pazienza se parlano di morte, come, per pura combinazione, è capitato qui alcune volte di seguito. Ma rassicùrati! Amo troppo la vita, anche se sono consapevole che questa non potrebbe esistere senza quella.

  2. Per me una scrittura volutamente … raccapricciante, dove l’erotismo dell’inizio della scena esplode in una sorta di disgustosa e tragica descrizione emorragica. Il sesso si veste di necrofilia e il ricorso a paragoni ingigantiti -secondo me ad arte senza spontaneità – conducono quasi ad una sorta di orrida caricatura della vicenda. Non lo apprezzo molto, come non apprezzo quei corrispondenti di guerra che insistono sulla oscena descrittività di morti ammazzati, fino a mostrarne le… viscere.

  3. mah…io non sono nemmeno arrivata in fondo…è una roba schifosa…e nemmeno dico ” mi si passi l’espressione” perché qualsiasi cosa si dica di una pagina del genere difficilmente potrà raggiungere la volgarità della scena in sè…

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