ENZO STRIANO
Il resto di niente
In questo romanzo la vicenda personale di Eleonora de Fonseca Pimentel, nobile di origine portoghese, s’intreccia profondamente con quella della Napoli borbonica e culmina nella Rivoluzione napoletana del 1799.
Con la sua sapienza narrativa, Striano trascina il lettore all’interno della storia, coinvolgendolo senza pausa fino alla soluzione finale, anonima e terribile esteriormente ma ricca e serenamente disperata nell’intimo della protagonista. E che universo vitale pullula ne “Il resto di niente”! (P. B.)
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da IL RESTO DI NIENTE, Incipit
«Meu Desus, que calor!»
Lenòr si levava all’alba, estenuata. Nelle notti d’agosto, alla vecchia casa di Ripetta imposte semiaperte e dilagavano i miasmi: vapori di vino, erbe putride, urina, brulicanti dall’acqua marcia che infettava gli scalini melmosi nell’antico porto.
Cosa non si disfaceva per quel tratto sordido di fiume! Barconi tenuti insieme con spago, carogne d’animali, stracci.
Norcinai e pesciaroli sventravano sul molo capretti, polli, pesci di mare o di Tevere, poi spazzavamo a secchi d’acqua, facendo precipitare pei gradini torrenti di rigaije (dicevano così, aveva imparato bene la pronuncia) sanguinolente, pallidi gomitoli di grasso, cordate palpitanti d’intestini.
Ma le piaceva osservare la vita sudicia, clamorosa, di Ripetta, dal balconcino delle sue prime esperienze romane. Da lì vedeva canne e olivastri a riva di Trastevere, le acque finalmente pulite nell’ansa dopo Ponte Sisto.
Verso Ponte Sant’Angelo galleggiava il gran mulino delle sue fantasie, fatto di rami e di corde. Era attraccato a un pontile per due gomene sfilacciate. Se il padrone avesse voluto, sarebbero bastati una voce, un frullo di ormeggi e via: il mulino avrebbe ripreso a navigare, spinto dalla corrente. Magari verso il mare.
Dal balconcino imparò le prime parole del dialetto, in quel circoscritto osservatorio l’era nata la convinzione un po’ paurosa che i Romani fossero attaccabrighe, violenti, nulla al mondo amassero più di carne vino insulti.
Ora, però, contava quasi undici anni. Pensava. E i Romani le parevano pure tribolati da inspiegabili angosce.
Enzo Striano
da Il resto di niente (Rizzoli, Milano 1999)
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Enzo Striano (Napoli 1927 -1987) è stato docente, giornalista e narratore. Autore di testi scolastici all’avanguardia e molto adottati, ha scritto vari romanzi.
4 risposte
E bravo il mio Pasquale, che passa dal tema allegro della morte al grand guignol. Mio nonno non volle più mangiare carne di coniglio perché ne aveva visto ammazzare uno – una volta si conservavano le pelli e le povere bestiole venivano scuoiate vive – e per lo stesso motivo il mio avvocato nei confronti della carne di maiale. E poiché noi debolucci di stomaco ci rifiutiamo di assistere a scene virulente tu ce le proponi per metterci di fronte a una realtà che, secondo te, non va ignorata. Ma io personalmente non la gradisco. Ho già troppo di mio non bello da sopportare senza aggiungere il macabro di certe fantasie. E credo che la maggioranza sia del mio parere.
Sulla mia pagina di fb “posto” il lato negativo della mia esistenza, le difficoltà, gli inciampi, che sono poi comuni anche agli altri, ma vengo del tutto ignorata appunto perché non sprizzo allegria. E, per stare in tema, le prostitute venivano chiamate “donnine allegre” in quanto sempre apparentemente di buon umore per distrarre i clienti dalle asperità della vita.
Non me ne volere.
Pezzo di bravura descrittiva questo brano di prosa che rappresenta con intensa sinestesia olfattivo-visiva uno scorcio della periferia capitolina.
Prosa realistica autentica,della più nell’acqua.
Prosa veloce stringata, coloratissima. Un piccolo pezzo di bravura. Una pittura di parole…
Questo brano sì che mi piace! Una scrittura chiara e snella che dipinge a grandi pennellate il ” quadro” dentro ed oltre la cornice della finestra. Ci appare un mondo brulicante di vita, ricco di colori, rumori, odori, stati d’animo percepiti. Uno sguardo su un paesaggio variegato, vivo e pronto per essere sempre più profondamente scoperto. Col passare del tempo quello che era nuovo diventa ” vecchio e conosciuto” e l’osservatrice riesce a capire la gente che si trova davanti…mi fa pensare a quanto sia facile giudicare dalle apparenze e quanto spesso la prima impressione si modifichi, e anche di molto, con una più attenta osservazione e una conseguente riflessione .