Lidia Guerrieri: dall’Archivio Loscazzo

LIDIA GUERRIERI

 

Un omaggio del Blog a Carla Baroni

 

Dall’ “  ARCHIVIO LOSCAZZO”:

IL CANTO DI BACCO E NANNA…

Esce di recente dall’Archivio Loscazzo una missiva del Magnifico al Poliziano che vi copiamo testé : Ti invio  questa canzonetta che ho scritto per   la cara zia Arianna di Cicchetto de’ Medici  che mi fu quasi altra madre  fino a che si ritirò in convento dopo una vita pressoché da monaca.

Nel pacchetto lasciatomi con una  ciocca di capelli biondi e un’etichetta di Rosso 1478 con scritto  “ questo sì che era bono”, c’era un biglietto  con calligrafia di Suor Maria delle  Tre Mele, nel quale con quel suo  modo semplice  e affettuoso, zia Nanna mi diceva :” Figliolo caro, la ti lascio  ‘uesti  gingillini e  du’ raccomandazioni : che tu la verghi  una qualche canzonetta che la chiacchieri un po’ di me  proprio ‘ome se l’avessi fatta io che, poerina, la ‘un m’hanno insegnato neanche a fare l’o col culo, e che tu la tenga d’occhio  i’ Gallo Nero perché le ultime tre botti la sapeano un po’ di fondo.

*

“Quant’è bella giovinezza”
sospirava la mi’ zia…
Ah, tornasse quella via!
la farei con allegrezza..

Non son più la stessa Nanna
ci ho tre peli e quattro denti;
ringobbita d’una spanna
campo a pillole e lamenti;
che rimpianto gli anni venti
con quell’aria di allegria!
Ah, tornasse quella via!
la farei con allegrezza.

Maritati e giovanetti,
eran tutti innamorati,
dei miei biondi boccoletti
dei labbruzzi profumati;
rimanevano incantati…
come in preda a una malia!
Ah, tornasse quella via!
la farei con allegrezza.

Dolce e timida, assai raro
rispondevo a certe occhiate,
e il ventaglio era riparo
specie al sole dell’Estate
per le guance mie arrossate
da pudore e ritrosia.
Ah, tornasse quella via!
la farei con allegrezza.

Vacillai  poi che Anacleto
mi sfiorò con gli occhi il seno!
“ Sono casta! Ve lo vieto
quello sguardo ardito e osceno…
corro in chiesa, perlomeno
mi confesso in sacrestia!”
Ah, tornasse quella via !
la farei con allegrezza.

E la volta in cui Isidoro
-questo dopo gli anni trenta-
disse : Cara, se fo il toro
voi fareste la giumenta?”
“ Sono casta!… Lei mi tenta…
ma non ha diplomazia!”
Ah, tornasse quella via !
la farei con allegrezza.

Concludendo che stambecchi
sono quasi tutti i maschi
sbarbatelli, adulti e vecchi,
pronti a coglierti se caschi,
evitai come i piovaschi
ogni loro alloccheria.
Ah, tornasse quella via!
la farei con allegrezza.

Senza il fuoco degli amanti,
riscaldai con Bacco il cuore
e, biasciando onesti canti,
mi rinchiusi con le suore
ciuccicchiando a pro dei santi…
ma che palle, mamma mia!
Ah, tornasse quella via!
la darei con allegrezza.

*

ALLA SORA

Forse perché fatto mi sono prete
e poco ho svago, a me sì cara vieni,
o sora! E quando ti veleggian quiete
le vesti intorno ai balzellanti seni,

e quando per le cene mie più liete
zuppi nel vino mele e me le meni
cotte e ben zuccherate con secrete
dosi che in cor gelosamente tieni.

Sognar mi fai allorché con un enorme
ventaglio il foco attizzi, e allora fugge
vispo lo sguardo all’ondeggiar di forme

e a ciò qualcosa freme  e sì mi strugge
che dal suo sonno destasi e più dorme
quel malmesso guerrier ch’entro mi rugge.

*

A GIACINTO

L’Archivio Loscazzo affidò il restauro di questo reperto al Prof. Nuncio Capìto dell’Università La Sorbona, il quale ricompose il manoscritto  ma non l’intera firma, che restò incerta fra : Pascolo, Foscolo, o Discolo, finché il Prof. Ioàn Keméno , dopo studi di  comparazione stilistica, concluse che l’opera era da attribuirsi a Foscolo: di certo una poesia su commissione richiesta da una donna illetterata (-madre o moglie o sorella-) dolente per la perdita del proprio congiunto e desiderosa di onorarlo con un lamento degno del suo affetto.
Di mio, aggiungerei che forse fece male il Poeta a rimaneggiare, per “comodità di nome”, un lavoro per cui era stato pagato e che dunque non gli apparteneva.

*

Né più mai butterai a mar le bombe
poi che al Signore a Sé tirarti piacque
Giacinto mio, che al gran botto nell’onde
fra un “ porco boia” e un fier tonfo, per l’acque

misero, i denti infino all’altre sponde
cospargesti, ed in fosse orride giacque
chi fu da Bacco di pampinee fronde
cinto e toccò sol l’acque donde nacque

ai dì vitali. Eppure in tal periglio,
in sì grave e bizzarra congiuntura,
in mente quel che val par ti venisse…

lesta al fiasco la mano diè di piglio:
“ menomale ‘un s’è rotto !” il cor ti disse
“ qualcuno, su, magari me lo stura.”

Lidia Guerrieri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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9 risposte

  1. Cara Lidia, sei straordinaria e grazie di avermi omaggiata con questa bellissima pagina del blog. A me la poesia umoristica piace moltissimo e ho pubblicato un intero libretto giocoso in cui ho inserito anche qualche parodia. Però le mie non seguono puntigliosamente l’originale come fai tu – che sei insuperabile – sono tirate un po’ via, sono solo uno spunto per strappare un sorriso. Ti ringrazio sentitamente del dono e ti propongo uno dei miei testi più riusciti in questo campo augurandoti che lo stimato Archivio Loscazzo proceda fervidamente nelle sue ricerche.

    La volpe agli irti colli

    La volpe agli irti colli
    furtivamente sale
    per far strage di polli
    in qualche cascinale.
    Ma per le vie del borgo
    i furbi contadini
    armati di forconi
    la vogliono cacciar.
    Gira sui ceppi accesi
    lo spiedo scoppiettando
    mentre la poverina
    di fame sta morendo.
    Tra le rossastre braci
    stormi di uccelli neri
    fan turpi i suoi pensieri
    ché non li può mangiar.

    1. Straordinaria Carla!!! Per dirla alla toscana ” E’ bellina da morì!” Qualche parente delle nostre parti ce l’hai….forse alla lontana ma ce l’hai 😀

    1. Grazie Luciano! In effetti il triste destino della povera zia Nanna tocca il cuore…tutta una vita quasi da monaca, una vecchiaia piena di rimpianti e il cruccio di non aver potuto studiare…! Menomale che c’era Suor Maria delle Tre Mele sennò chissà se questa missiva sarebbe passata ai posteri e sarebbe stata una gran perdita per il mondo della cultura …non solo per la poesia, ma anche per chi è interessato alla storia del glorioso Gallo Nero… è un neo non indifferente nella vicenda del Gallo Nero il fatto che ci siano state almeno tre botti che ” sapeano di fondo” non ti pare?

  2. L’Archivio Lo Scazzo è uno scrigno di saporite facezie, che fa bene al corpo e allo spirito. Il riso si sa, è una potente medicina contro la monotonia e il grigiore della vita, contro i negromanti e i profeti di sciagure e contro i malinconici di professione. Talché mi permetto di aggiungere, se accettato, questa mia composizioncina in vernacolo colligiano che, pur non essendo di nobile blasone come il romanesco o il napoletano, purtuttavia richiama la sapida parlata pisano-livornese che può con simile passo spingere al dileggio e al riso.

    La dieta di Gosto
    (Da una antica barzelletta di campagna, in vernacolo
    colligiano. Chiedo venia a chi già la conosce.)

    – To’, chi si vede! Gosto… o che siei te?
    – Son venuto, dottore, per la panza…
    ‘Un mangio quasi nulla e quella cresce!

    – Per dimagrire, sai, ci vuol costanza.
    Eppoi… soffrire è d’uopo, o non se n’esce.
    E scorciatoie non trovi. Ed è creanza
    tenere bene a freno l’appetito.
    Un pasto solo al giorno e non salato.
    Di vino quasi nulla, men d’un dito.
    Insomma mangiar devi… moderato!

    – Ma… davvero, dottore? ‘Un c’è artro modo?

    – Credo proprio di no; non è un dispetto,
    e nel dirtelo, sai, poi non ne godo,
    ché so quant’è difficile ed ingrato.
    Ora su vai e fa’ come t’ho detto.
    Mi raccomando: mangia moderato
    e allor vedrai sortire un bell’effetto.

    Dopo un mese ritorna dal dottore…

    – O cos’hai fatto Gosto? Raddoppiato!
    Eppure promettesti sul tuo onore…
    Ma non l’hai fatto, vedo, e hai più del tuo!

    – Come ‘un l’ho fatto? A Moderato, ar ciuo,
    povera bestia – ‘un ni racconto balle –
    ‘un n’ho lasciato un bruscolo di suo.
    N’ho mangiato, arrostite… anco le palle!

    1. Maremma zoppa! E sei più tremendo di me, Lido!!! Poro ciuo..! Che finaccia!! E si va a chiamà propio Moderato…e un si poteva chiamà in quarche modo meno ‘ompromettente poro ghiavolo-D

  3. Bellino che questo sia un omaggio a Carla! L’Archivio è doppiamente onorato…Ringrazio io a nome dei molti illustri collaboratori quali il Prof. NUNCIO CAPITO, il nostro esperto appassionato di letteratura italiana benché di origini orientali HIO-MEN- KEMAI e tutti gli altri 🙂

  4. Sollecitato a ricerche più approfondite sull’ormai plurivisitato Regio Archivio Loscazzo, e per evadere una promessa fatta alla curatrice del medesimo, Adila Del Guerriero, nota scopritrice di inedite stesure dei nostri Maggiori, mi sono imbattuto nella versione originale di un sonetto del Foscolo, precedentemente cestinato da un incauto ricercatore. Qui ne riporto la primigenia versione. Ugo, notoriamente, amava tirare il collo al fiasco, come il più recente Carducci e poi traduceva in versi questa sua smodata passione. Per confronto si riporta anche il sonetto fasullo, forse accomodato per evitare dileggio all’autore del primo che, imbevuto del divino liquore, non l’avrebbe neppure capito.
    “Che stai?” (Sonetto… fasullo)
    Metro: sonetto (ABBA, ABBA, CDC, EDE).

    Che stai? già il secol l’orma ultima lascia;
    dove del tempo son le leggi rotte
    precipita, portando entro la notte
    quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.

    Che se vita è l’error, l’ira, e l’ambascia,
    troppo hai del viver tuo l’ore prodotte;
    or meglio vivi, e con fatiche dotte
    a chi diratti antico esempi lascia.

    Figlio infelice, e disperato amante,
    e senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
    giovine d’anni e rugoso in sembiante,

    che stai? breve è la vita, e lunga è l’arte;
    a chi altamente oprar non è concesso
    fama tentino almen libere carte.

    Che fai? (Sonetto originale)
    Che fai? già il fiasco vuoto ora qui lascia,
    poiché col tempo morta è ormai la botte,
    precipiti inciampando entro la notte,
    quattro cantoni… e poi qualcun ti fascia.

    Che se il trincare è error, l’ira e l’ambascia
    troppo hai nel bere tuo l’ore prodotte;
    or meglio vivi e con ciucciate dotte
    a chi ebbro diratti esempi lascia.

    Figlio infelice e disperato amante,
    senza più vino, a tutti aspro e a te stesso,
    giovine d’anni e ruvido in sembiante.

    Che fai? breve è la vita e bere è un’arte;
    a chi più gotti aver non è concesso
    fama dispensi almen Venere o Marte.

    1. Egregio nuovo ricercatore dello stimato Archivio Loscazzo spero in una sua attiva e proficua collaborazione con l’emerita professoressa Adila del Guerriero nel restauro di tanti testi incomprensibili che giacciono abbandonati nei sotterranei dell’Archivio stesso.

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