GIOVANNI CASO
Giovanni Caso è nato a Roccapiemonte (SA) nel 1943. Laureato in giurisprudenza presso l’università di Salerno, ha svolto la professione di ufficiale dell’Esercito ed è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
È vincitore di primo premio di poesia in numerosi concorsi nazionali, tra i più importanti e prestigiosi. Si ricordano: Milano Duomo, Borgognoni, Città di Quarrata, Guido Gozzano, Città di Grottammare, Maranatà, Giugno Locrese, Formica Nera, Gorgone d’oro, Massa città fiabesca di mare e di marmo, Giorgio La Pira, San Domenichino, Molinello, Histonium, Aspera.
Al suo attivo annovera una ventina di raccolte, alcune delle quali vincitrici di primo premio con pubblicazione. Nell’ottobre del 2010, è stato insignito della “Laurea Apollinaris Poetica”, a cura della fondazione del Premio “Milano Streghetta”, con cerimonia all’Università della Bicocca, confermata nel maggio 2013 dall’Università Pontificia Salesiana, Facoltà della Comunicazione Sociale, in Roma. “Freschezza, semplicità, intensità e bellezza sono elementi costitutivi della poesia di Giovanni Caso; uniti a un’acuta sensibilità e a una profonda percezione della vita, conferiscono alla creatività del poeta tradotta in versi una dimensione di ampia condivisibilità, potenziata da un sapiente impiego dell’endecasillabo e degli altri strumenti linguistici e figurali, tra i quali metafore e altri traslati, mai posticci, ma anzi sempre intimamente incarnati nel pensiero poetante. ” (P.B.)
Dalla raccolta inedita Del tempo d’una vita
Il filo della brezza
Prima che d’improvviso mi sorprenda
la luce della sera, accenderò
il lume, che accompagni il mio cammino
fino all’ombra del sonno. Qualche voce
mi resta del mattino, alle pareti
le stesse stampe, sparsi sulle sedie
libri di versi, pagine di vita.
Questa mia età di spettri senza luce
ha fiumi inesauribili di attese,
mi colmano lo spirito e non so
se poi s’avvereranno. Alcuni giorni
anche il silenzio è flauto che non suona,
lo specchio non riflette alcuna immagine.
Consumo i miei pensieri arresi al vento.
L’impronta del mio passo segna il vuoto.
Eppure è qui, nel mio respiro, il senso
d’essere in vita, e non ne sento il grido,
ancora non l’avverto. Resto immoto
nella pioggia di luce che sorprende
la sera. E scavo il tempo. Ed è prodigio
il filo della brezza sopra il viso.
*
Siamo di luce e vento
Prova a farti libellula di cielo,
cerca il bisbiglio d’acqua alla fontana
dove ci detergemmo, quando il tempo
era fanciullo. Quante aurore servono
perché si faccia giorno, quanta forza
occorre al vento per rubare un fiore?
Così anche noi siamo di luce e vento
tra i pallidi silenzi delle cose.
Più non abbiamo il fischio dell’infanzia
e quelle corse al largo dei vigneti.
La soglia aperta è invito a ritrovarci
nei giorni della prima conoscenza,
quando fuscelli secchi consegnammo
all’impeto dell’acqua. È vero, resta
poco o nulla di quella dolce insonnia,
il tremore d’un bacio sulle labbra,
quel bacio che rubammo ad una stella.
Cantavano i Beatles e i Rolling Stones.
Al passo di quegli anni, assaporammo
la grazia dei sorrisi.
Oggi viviamo
i riti lenti di chi più non conta
lo scorrere dei giorni. E non sappiamo
quanto sole sarà nell’alba nuova.
Siamo il pensiero che affidiamo al mondo
in cambio d’un qualcosa, uguale voce
abbiamo delle foglie secche e irsute.
Ognuno pensa a quanto ha seminato
lungo il cammino. E il mondo nulla sa,
nulla di quanto abbiamo avuto e amato.
*
Quest’ultima stagione
Il tempo spezza petali di luce,
anch’io mi sento in corsa con la vita,
quel pendolo che oscilla vorticoso,
so bene quanto è oscuro l’infinito
che scivola nel cosmo. Il corpo è come
l’obelisco scavato dalla pioggia
fin nel profondo, con la storia incisa.
E tutto si dissolve d’ogni incontro,
tutto dei viaggi, tra ritorni e addii.
Pietra di solitudine è il silenzio.
Non so di quanta luce abbia bisogno
il mio sguardo senile, anche oggi avrò
nuvole da afferrare, scriverò
con un dito di vino i miei pensieri,
il fremito d’un verso, a cui m’aggrappo
per tenermi al sussurro delle cose,
coriandoli di sogni. In certi giorni
lo spirito raddrizza il suo sentiero,
calice capovolto è la gioiosa
azzurrità del cielo.
Dove sono
i giochi dell’infanzia, quel selvaggio
profumo di mirtilli sulle labbra?
Lungo il viale calpesto sassi e foglie,
m’inoltro tra le palpebre del vento,
cammino col mio zaino di ricordi.
E sono sempre qui, soffio di niente
nel disadorno fiato di quest’ultima
stagione di fatiche. E innesto ancora
parole, perché mettano germogli.
*
Verrò a trovarti
Certo, verrò a trovarti, so che attendi
da infinite stagioni il mio ritorno,
paziente nella luce del tramonto
sul tuo mare di nasse e di conchiglie.
Verrò come un pulviscolo di sogni,
avremo tregua fra le braccia, gocce
di luna sulle mani, fra le labbra
voglia di sussurrare antiche frasi
mai dette allora, eppure conservate
in noi, cocenti lacrime.
Non resta
più nulla di quei teneri paesaggi
di cui ascoltammo musiche e segreti,
troppi anni sono andati, troppe stelle
abbiamo acceso e spento. Quando arriva
l’autunno della vita, si conteggiano
i danni fatti, ci si affida a Dio,
ci si riscalda al fuoco dei ricordi.
Scivoliamo nel vento, aprendo le ali
per un ultimo volo.
Sì, verrò
a trovarti, chissà, quando nel cuore
mi brucerà l’urgenza di incontrarti
con lo stupore della prima volta.
Avrai un volto tutto da inventare
in un gioco di sguardi e di memorie.
Sono rimasto quell’eterno e folle
giocoliere di versi, il menestrello
che si chiede chi sia, l’equilibrista
sospeso a un filo di parole e cieli.
*
Elegia per Amina
Amina dorme e la sua barca invoca
la carezza di un’onda senza vento,
sogna una casa, il fiore d’un giardino
e una notte più chiara della luna.
Il mare danza il tempo degli addii.
Le sue mani si tendono nel sonno
quasi a cercare il nodo d’un appiglio
a cui aggrapparsi per non sprofondare
nell’acqua illividita, in quel fragore
di stelle a precipizio.
Come è oscura
la notte che barcolla nella pioggia
come barcolla la sua culla, calde
braccia lucenti della madre infausta.
Non ascoltare il pianto dei bambini
che temono le ondate, dormi, Amina,
cammina per i portici del cielo,
muovi i riccioli bruni nella brezza
che intessi con le dita, fusi d’ebano,
per un velo di trine.
Non svegliarti
al grido che raggiunge una lampara
abbandonata all’urlo dei marosi,
non piangere se cade una scarpetta
dal tuo piedino gelido. La notte
ha lampade splendenti nei tuoi occhi,
ha profumo d’anemoni il respiro.
Amina, dormi. Il mare ti bisbiglia
le fiabe delle fate della luna.
La madre piange e veglia il tuo riposo.
Giovanni Caso
***
3 risposte
Bellissime, come sempre. Carla
Maestro di metafore, intenso, immediato. Un’anima in consonante accordo con una natura viva, fresca, partecipante. Un poeta di spessore.
Notevoli la concretezza, l’essenzialità e la misura di questa poesia che io definirei un “realismo lirico”.
Nessun orpello deformante, nessuna compiaciuta saccenza. Tutto è nitido, asciutto, onesto.
A prima vista sembra una prosa lirica frammentata a caso.
In realtà vi dominano le cadenze dell’endecasillabo, spesso pregevole come in questo passaggio:
“…lo specchio non riflette alcuna immagine.
Consumo i miei pensieri arresi al vento.
…”.
Senza dubbio ragguardevole questo poeta.