Margherita Guidacci, Alcune poesie

MARGHERITA GUIDACCI

(Firenze 1921 – Roma 1992)

Laureata  in Lettere con una tesi su Ungaretti, insegnò e tradusse, specialmente dall’inglese. Di poesia pubblicò, tra l’altro: La sabbia e l’angelo (Firenze 1946), Morte del ricco (Firenze 1955), Poesie (Milano 1965),  Nerosuite  (Venezia 1970), L’altare di Isenheim (Milano 1980).

Poesia di alta moralità e di acuta introspezione, con spunti intensamente religiosi, attinge occasione di canto, spesso doloroso, dall’osservazione della natura e delle umane vicende.  Guidacci ha voce  e linguaggio propri, rifuggendo da ogni moda o corrente letteraria e, segnatamente, da qualsivoglia influenza ermetica. (P. B.)

***

La conchiglia

Non a te appartengo, sebbene nel cavo
Della tua mano ora riposi, viandante,
Né alla sabbia da cui mi raccogliesti
E dove giacqui lungamente, prima
Che al tuo sguardo si offrisse la mia forma mirabile.
Io compagna d’agili pesci e d’alghe
Ebbi vita dal grembo delle libere onde.
E non odio né oblio ma l’amara tempesta me ne divise.
Perciò si duole in me l’antica patria e rimormora
Assiduamente e ne sospira la mia anima marina,
Mentre tu reggi il mio segreto sulla tua palma
E stupito vi pieghi il tuo orecchio straniero.

(1961)

*

Atlante

Davanti a te la mia anima è aperta
come un atlante: puoi seguire con un dito
dal monte al mare azzurre vene di fiumi,
numerare città,
traversare deserti.

Ma dai miei fiumi nessuna piena ti minaccia,
le mie città non ti assordano con il loro clamore,
il mio deserto non è la tua solitudine.
E dunque cosa conosci?

Se prendi la penna, puoi chiudere in un cerchio esattissimo
un piccolo luogo montano, dire: «Qui fu la battaglia,
queste sono le sue silenziose Termopili.»

Ma tu non sentisti la morte distruggere la mia parte regale,
né salisti furtivo
col mio intimo Efialte per un tortuoso sentiero.
E dunque cosa conosci?

(1970)

*

All’ipotetico lettore

Ho messo la mia anima fra le tue mani.
Curvale a nido. Essa non vuole altro
che riposare in te.
Ma schiudile se un giorno
la sentirai fuggire. Fa’ che siano
allora come foglie e come vento
assecondando il suo volo.
E sappi che l’affetto nell’addio
non è inferiore che nell’incontro. Rimane
uguale e sarà eterno. Ma diverse
sono talvolta le vie da percorrere
in obbedienza al destino.

(1993)

Margherita Guidacci

***

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5 risposte

  1. Una poesia intensa, pregnante, intimista e pulita. Un sapore quasi… profetico, in un legame strettamente congiunto con gli aspetti della Natura, sempre presente e partecipe dei moti dell’anima. Un bello scrivere.

  2. Non so cosa dire perché come scritto in sé mi piace, mi piacciono le immagini, il sentire, le espressioni, ma mi chiedo quale sia il confine fra la prosa poetica e la poesia…è questo che mi confonde : la differenza fra prosa e poesia spesso è chiara, ma in questi casi siamo nel mezzo. Il verso libero mi fa sempre questo effetto, di certo perché non sono abituata a scrivere così , perché i poeti che ho studiato a scuola erano diversi …lo vedo, lo sento che ci sono scrittori che conquistano, però…sempre prosa è… anche se sono disposta a riconoscere che in certi casi, è una prosa molto poetica e molto bella.

  3. Delle tre ne salvo una, la prima, “La conchiglia”, per l’elegante, agevole sintassi e per il lessico ricercato.
    Non altrettanto buona la seconda, “Atlante”, troppo rivendicativa, e soprattutto la terza, “All’ipotetico lettore”, tutta piena di imperativi.

  4. Vorrei spendere qualche parola per la poesia “All’ipotetico lettore”, quella che meno di tutte è piaciuta all’amico Luciano, mente critica di grande finezza e competenza.
    Io vedo innanzitutto il dono dell’anima al lettore, il dichiarato affidamento ad altri di una cosa cara, della cosa più cara. E, in questo clima di prima e trepida familiarità che si va formando tra chi dà e chi riceve, interpreto quelli che grammaticalmente sono senz’altro degli imperativi come dei congiuntivi esortativi latini, come vere e proprie raccomandazioni o come inviti o suggerimenti provocati dall’affetto. In fondo la poetessa sta offrendo al lettore la sua parte più segreta e migliore, sta rendendo la sua anima messaggera di sé e per essa auspica rispetto e benevolenza. Anche affetto, magari. Del resto anche Guido Cavalcanti in “Perch’i no spero…” e Giorgio Caproni in “Preghiera” e “Ultima preghiera” usano queste forme imperative molto smussate che sfociano direttamente in una confidenziale raccomandazione.
    Un solo vero imperativo ravviso tra tutti gli altri nella poesia in oggetto, questo: “E sappi che l’affetto nell’addio / non è inferiore che nell’incontro.”
    Attenzione ai versi finali che nella loro nudità e portata gnomica sono degni della lirica greca antica!

  5. Riconosco, Pasquale, di essere stato un po’ troppo sbrigativo.
    Gli imperativi d’altro canto, come tu osservi, in poesia possono avere varie sfumature oltre a quella “di comando”: possono essere imperativi “di consiglio”, “di monito” e persino “di preghiera”.
    Nella poesia di genere amoroso, ad esempio, sono frequenti gli imperativi, declinati in tutte queste varie accezioni.
    Nondimeno io trovo che l’uso dell’imperativo dia comunque un andamento stringente, coercitivo, al testo poetico che può risultare fastidioso specie quando, come nel caso di “All’ipotetico lettore”, è particolarmente insistito.

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