Pasquale Balestriere
SORTE
Non c’era alcuna prova dell’inganno
d’un dio o di maldestra creazione.
Così almeno ci parve
e perciò ci sedemmo
e ci scambiammo le pietre di sale
sulla riva di un mare senza onde.
Di cavalcare i giorni ci fu dato,
di carezzare la cresta del sole
e di bere alla fonte dell’amore.
Che ci piovesse argento poi la notte
fu la scoperta che ci diede fede
per correre le strade della vita
con maggior cuore. Avidi attraversammo
esplose primavere, con il grido
del falco appeso nell’azzurro, fisso
alla preda lontana. E già la ruota
cominciava a piegare ad occidente
quando qualcuno spiegò che il vïaggio
non era interminabile. A galoppo
passammo per le ore, i mesi, gli anni.
Dietro le curve spalle,
grappoli fitti d’accese memorie
il passo corto dissero del tempo
-il nostro tempo!-
con seni d’ombra e fiati di preghiera.
Ora che l’orizzonte
dispiega flebili speranze e mostra
l’incerta meta, ci assale l’infanzia
con rosei gridi e vivide memorie:
quelle della famiglia e degli amici
dispersi ormai sopra e sotto la terra.
Pure, vivemmo a lungo.
Anche se questa sorte è apparsa breve.
Pasquale Balestriere
7 risposte
“……
Avidi attraversammo
esplose primavere, con il grido
del falco appeso nell’azzurro, fisso
alla preda lontana.
….”
Quando uno sa scrivere versi così è giusto chiamarlo poeta.
Tutta in prima plurale, un plurale majestatis che ne corrobora lo sbalzo oratorio, la poesia di Pasquale è l’epitome testimoniale di una vita tramite una scrittura nobile e sostenuta.
Leggendo con attenzione si trova tutto, l’essenziale del passato, del presente, del futuro.
Con incisiva eloquenza, nella saggezza maturata negli anni.
Grazie, Luciano. Sì, hai detto bene. Questa poesia è resoconto e testimonianza di una vita.
Una poesia pacata e dolce, ma non triste, con la consapevolezza che tutto passa e che la vita corre veloce, portandosi dietro tutti i nostri ricordi, le nostre sensazioni, la nostra infanzia, con i suoi teneri germogli che riaffiorano nel tramonto incipiente. “É gioventù preziosa come un sogno / che lieve sboccia nell’età fiorita…” diceva Minmermo nel VII – VI sec. a. C. , e ancora: “Come tenere foglie a primavera, / che al dolce sole s’aprono e ai tepori /del radioso mattin fino alla sera, / tutto godiamo nell’età dei fiori…”.
Vi trovo una classicità spontanea, trasportata nel nostro tempo e nei nostri giorni, scevra da pietismi autoconsolatori, nell’accettazione consapevole di una esistenza che reclama di farsi e si fa poesia, e si veste dei preziosi colori di una vita intensamente vissuta, nel ricordo di quanti ci furono amici e parenti e con noi condivisero, per gran tratto, il nostro cammino.
Grazie, Lido. Sì, hai ragione: poesia non triste ma consapevole. Specialmente ora che le cose, per la nostra età provetta, mostrano contorni più chiari e definiti.
Il ciclo della vita in due parti. All’inizio la giovinezza con la primitiva innocenza, quando il mondo sembra pulito, opera di un Dio che tutto ha fatto a regola d’arte, e non si percepisce alcun inganno nella natura delle cose. Tutto è un dono. Il sole è un dono, e non ci passa per la testa che è un dono provvisorio; l’amore è un dono, e non si pensa che possa essere un dono perverso perché spinge gli uomini a procreare e quindi a “ fornire materiale” per continuare il gioco al massacro. E’ duro e amaro detto così, è una di quelle cose che non si devono pensare e non si devono dire perché ci spingerebbero a chiederci perché e rispondere non sarebbe né facile né costruttivo né prudente né rasserenante. Eppure, sebbene non in modo così aperto e così “ violento” c’è nel poeta il dubbio che qualcosa non quadri :
“ Non c’era alcuna prova dell’inganno
d’un dio o di maldestra creazione.
Così almeno CI PARVE.
Seguono “ci fu dato,” questo e quest’altro, “ avidi attraversammo esplose primavere “ ; c’è quindi un primo momento positivo, poi “ e già la ruota cominciava a piegare verso occidente QUANDO qualcuno”…la sorpresina…. Te ne vai pieno di voglia di fare per il mondo, corri di qua e di là, poi a un certo punto qualcuno ti dice :” bada che non sarà per sempre…a dire il vero sei quasi a fine corsa.” Se non è fregatura questa, cos’è allora una fregatura?
Lo spazio bianco mi pare la fotografia dello stupore del poeta che rimane interdetto di fronte alla nuova realtà, si blocca, gli manca la parola, poi si riprende ed ecco: : tutto è alle spalle: restano “ricordi, flebili speranze,” gli amici sono perduti … Viene da chiedersi “ questo è quel mondo? Questi i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi …Questa la sorte delle umane genti?”. Leopardi è amaro fino all’inverosimile, come suo uso, Balestriere no: lo vede che siamo una razza piena di problemi e di fragilità, ma resta fondamentalmente positivo “ pure vivemmo a lungo. Anche se questa sorte è apparsa breve” . C’è una bella differenza…quella che passa fra un poeta che non ha mai lavorato, che è sempre stato sui libri, che nell’infanzia non si è mai sporcato a ruzzolare nell’aia perché doveva studiare…e come doveva crescere povero bimbo? Vecchio già in culla…amaro fino all’osso…e un poeta che scrive, studia, ma sta anche al sole, che conosce la religione della terra, che sotto il sole non sta a contemplare l’infinito ma zappa, semina, raccoglie…due vite, due caratteri diversi per indole e per quella formazione che dipende da come cresci e da cosa fai….era inevitabile che l’uno vedesse il bicchiere tutto vuoto e l’altro mezzo pieno. O no?
La tua analisi è puntuale, cara Lidia, e il bicchiere mezzo pieno oggi (speriamo che il tempo tenga) mi obbliga a dare il solfato alle viti.
Mi sa di no se piove come qui 😀