LUCIANO DOMENIGHINI
AMORE E ASTRONOMIA
Lucenti gli occhi azzurri tuoi profondi
accolgono lo sguardo mio d’amore
intanto che miriadi di mondi
vanno infrenati a un infinito albore.
E mentre esplode tutto l’universo
e il bel pianeta va dove chissà,
io qui mi trovo nei tuoi occhi perso
sognando un soldo di felicità.
APPARIZIONE
Chi è mai la fanciulla corvina
che presso le case cammina?
È un cuore leggero che sale
la polvere dello stradale
dorata dall’ultimo raggio
di un tiepido vespro di maggio.
CARILLON
Travalica il tempo
la memoria del cuore.
Tutto è vita, attesa, affanno,
tutto è nulla, tutto è amore.
Incorporeo monumento
resta il Verbo nelle età,
nello spirito del Segno
arde ciò che fu e sarà.
Cos’è vita se non gioco
dell’anelito al desio?
Ci si ingegni per quel poco:
prima è caso, quindi oblio.
Di ciò che fu detto e fatto
nulla invero resterà.
Nello svolgersi dell’atto
arde ciò che fu e sarà.
Dunque, ohibò!, non c’è rimedio
all’umana nullità:
un effimero epicedio
sopra noi si canterà.
Non un giuro, non un pegno,
riscattare ci potrà:
immutabile nel segno
arde ciò che fu e sarà.
Glorie, infamie, scritti, detti,
svaniranno nell’età;
l’urna sacra degli affetti
nero oblio ricoprirà.
L’epopea di tante vite
frale si dissolverà:
pene e gioie tutte finite,
solo il Segno resterà.
O graziosa mascherina,
chi svelare ti potrà?
Tu fantesca o tu regina,
tu menzogna o verità?
Voglio darti quanto vale
della mia più bella età,
tutto il pepe e tutto il sale,
poi sarà quel che sarà.
Una prece volgo al cielo
che governa Trinità:
“Non sia tolto al mondo il velo,
o Signore di pietà!
Non sia chiaro il tuo disegno
per il tempo che verrà.
Resti chiuso dentro al Segno
tutto ciò che fu e sarà”.
Luciano Domenighini
5 risposte
Nella prima, “Amore e Astronomia”, colpisce l’endecasillabo “vanno infrenati a un infinito albore”, in cui il tempo e lo spazio di un universo in evanescenza che va verso l’alba, dopo l’esplosione notturna, contrasta perfettamente con quel “soldo di felicità” che ci ricorda la nostra preziosa, insignificante presenza.
Nella seconda, “Apparizione”, gli ultimi tre novenari hanno la morbidezza del velluto, con quel “di un tiepido vespro di maggio” che, da solo, illumina mirabilmente tutto un tempo ed un ambiente.
In “Carillon” le ottave di ottonari si susseguono armoniosamente, quasi a scandire un ritmo piacevolissimo che si chiude ripetutamente con l’accento su quell’ultimo “arde ciò che fu e sarà”, richiamo inconfondibile alla precaria trasformazione del tutto, fino alla invocazione finale perché non sia mai rivelato il disegno ultimo delle cose, e non ci sia tolto il sogno dell’esistenza e il mistero della realtà.
Belle!
Quell’endecasillabo, Lido, ha un’origine prestigiosa e quindi non è un caso che tu l’abbia notato. Proviene infatti da due poesie di Dino Campana, la prima stesura di “Genova” e “Immagini del viaggio e della montagna”:
“Sotto degli infrenati archi marini
Dell’alterna tua chiesa azzurra e bianca
Dove una fiamma pallida s’infranca
In arco eburneo a magici confini.
Ai venti, ai venti, presso l’augurale
Forma di che affacciato a le fortune
L’inquieta prora ha il sogno suo navale
Ah! ch’io parta! ch’io parta E che un lontano
Giorno l’ultimo sonno in te laggiù
Dorma
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“….
E dalle altezze agli infiniti albori
vigili, calan trepidi pei monti,
tremuli e vaghi nelle vive fonti
gli echi dei nostri due sommessi cuori.
…”
Forse,Lido, dovrei vergognarmi di attingere così spudoratamente a un grande poeta, saccheggiandone l’opera per migliorare la mia.
Ma ormai ho scritto così.
Scripta manent.
Ci sta proprio bene. Non devi vergognarti di nulla. Di nuovo, complimenti!
La poesia di Luciano è felicemente caratterizzata dalla ricerca di una brevitas che è soprattutto essenzialità di sentimenti e di dettato; e, nello stesso tempo, da una tensione gnomica che sottende una seria e pacata riflessione sulla vita; ma anche, e soprattutto nelle composizioni brevi, dalla volontà e necessità di fissare l’attimo poetico con grazia alessandrina e con resa icastica in cammei di autentica bellezza.
Premetto che Luciano Domenighini per me scrive oro sempre. Riesce, non so come, a dire in un pizzico di versi cose che altri annacquano e sbrodolano in composizioni lunghe che ti fanno venire il latte ai ginocchi. Lui in tre balletti dice di più, meglio, e senza annoiare. E’ per questo che, io che sono negata per la critica, mi ritrovo a scrivere sotto le sue quartine commenti più lunghi che sotto le canzoni di altri : perché la poesia di Domenighini stimola il ragionamento, ti costringe a porti domande. Non so come diamine faccia…mi ci scervello perché io sono di quelli che annacquano e mi pare così difficile poter scrivere come fa lui! e penso che lo sia. Queste poesie sono davvero belle: il ritmo pacato dell’endecasillabo e quello brillante dell’ottonario. Nella prima il tema dell’amore, ma in un contesto particolare, ossia affiancato al dramma che sta vivendo il pianeta. Non ricordo di aver mai letto l’amore in un contesto come questo : non pene d’amore nè gioie d’amore in sè, non l’amore tenerezza nè l’amore passione, ma l’amore come salvezza, rifugio, forza assoluta che ti impedisce di sprofondare nella disperazione che ti verrebbe dal guardarti intorno. E’ una poesia che sembra serena, ma non lo è: è la voce di una pena soffocata per necessità di sopravvivenza. La terza è molto particolare . Dopo un incipit di due settenari che “ preparano il terreno”, ecco la “ corsa degli ottonari”. Non mi sorprende più di tanto la scelta di un ritmo brioso per un contenuto così serio: il poeta intende accentuare la drammaticità del tema mediante il contrasto con questo ritmo vivace . E’ un tentativo di esorcizzare la paura, come quando si dicono le cose più spaventose con brio perchè dirle con serietà ci distruggerebbe. C’è poco da stare allegri : tutto passa, nulla resterà di noi, di ciò che abbiamo desiderato, di ciò e di chi abbiamo amato; l’amore stesso appare una tenera illusione…” graziosa mascherina”…perchè proprio “ mascherina”!? Qui è, per me, la più dolente nota : “ Graziosa mascherina” perchè il poeta ama questa figura femminile, ma prova anche pena per lei perchè sa che anche lei, come tutti, fa parte del grande, splendido, effimero, terribile gioco in cui la vita è il palcoscenico e il tempo è il burattinaio che tutti di manovra. Graziosa mascherina è un’espressione che racchiude un intero mondo di sentimenti : tenerezza, compassione, solidarietà…è un’espressione di amore e il pianto soffocato di chi si sforza di sorridere, ma dentro piange perchè sa. Nella chiusa ritrovo qualcosa su cui stavo rimuginando proprio in questi giorni con l’ idea di scriverci su una poesiola : il dono maggiore che ci dà la vita, o Dio (ognuno la dica come vuole), è quello di non sapere cosa ci aspetta domani. E dunque il poeta prega Dio di non renderci troppo chiari i Suoi disegni. Questa strofa è straordinaria, terribile, umana. La seconda poesia è meravigliosa; è una di quelle poesie che ti possono portare a due atteggiamenti opposti : o ci parli tanto perché spunti ce ne sono da vendere, o stai zitto perché la perfezione non si può commentare . Ma siccome dice che in medio stat virtus, dirò due parole: un quadretto leggiadro, un punto sereno fra la poesia che la precede e quella che la segue, come un ponte di speranza sospeso tra due abissi.