LIDIA GUERRIERI
RANDAGIA
Essere frase cui sempre la tua
punteggiatura assegni l’espressione,
non fa per me, né vivere
nel tuo sguardo ed in quello soppesarmi.
Da me stessa germoglio ;
che la tua fronte rimanga distesa
o che per me si oscuri non è cosa
che mi rosichi i bordi della notte.
Resto randagia come già lo ero
sopra il primo gradino dei millenni
quando fra mille tracce
già scelsi la mia strada a mento alzato.
Resto randagia dentro, non c’è forza
che mi addomestichi oltre quel che voglio.
Ad oggi, in nulla cerco alcuna rotta
che non sia fra le stelle.
*
LEI
Lei, materna e terribile,
primo abbraccio, cuscino di silenzio
che il seme avvolge e di sé lo compenetra;
dea dai volti variabili,
dal piede argenteo e dalla corsa rapida,
che senza voce canta nenie antiche
e al vento innalza grida di furore.
Lei pietosa e carnefice,
che col suo pianto uccide e risolleva,
ausiliatrice infida, Musa artefice
che in secoli scolpisce e infrange e crea,
che sbrana le foreste, e per le dune
passa e lucente palpita sui fiori.
Lei dal seno abbondante e il ventre gelido
di ombre profonde e sepolcri abissali.
Sacra e divina, immensa e inafferrabile,
senza una forma e di ogni forma piena,
acqua, fonte del mondo, madre altissima.
Lidia Guerrieri
5 risposte
Nella prima, il rivendicare orgogliosamente il proprio essere donna, la propria indipendenza: di giudizio e d’azione. Abili metafore ne sottolineano ed esaltano il valore e l’essenza.
Lidia dice di non essere un poeta – o poetessa -, ma sa da sé che non è vero. Non è solo abilità di assemblare versi, non è solo conoscenza tecnica, non è solo perfezione metrica. Certe espressioni non si costruiscono, escono libere e feconde dall’anima, in una loro propria, autonoma, indipendente valenza. Pochi hanno la capacità di aprir loro la strada, di lasciarle andare libere nel fluire di un racconto che coinvolge e gratifica.
In queste due poesie ve ne sono diverse, anzi parecchie. Non le citerò, perché la poesia ha una unità da cui non si possono e non si devono estrarre parti che, pure in una loro marcata suggestività e autoconsistenza, ne distruggerebbero o sminuirebbero l‘esistere, ne spezzerebbero la voce.
Che dire della seconda lirica, quella che a me pare tratti della “terribilità della vita”, della vita madre di tutti, che nel suo utero porta tutto il bene e il dolore del mondo?
Lidia dice di non essere un poeta…
Ma se questa non è poesia cos’altro lo è?
Entrambe sostenute da un linguaggio epico, scolpito e risonante, le due liriche di Lidia, come del resto tutta la sua poesia, si distinguono per la straordinaria opulenza verbale e per il vigoroso empito oratorio.
“Randagia” è un autoritratto caratteriale che proclama fieramente il diritto inviolabile alla difesa della propria autonomia. Non tanto e non solo del proprio essere donna, come osserva Lido, ma anche e soprattutto del proprio essere persona.
“Lei”, tutta in vocativo, è un’ode grandiosa rivolta alla forza generatrice del mondo, configurando un climax glorificante, amplificato da ben undici ossimori.
Chiudo facendo mie le ultime due frasi del commento di Lido.
Mi confondete 🙂 commenti così belli sono troppo per me, però me li prendo e sono contentona 🙂 Grazie
Credo che la forza della poesia di Lidia stia nella sincerità del sentire e del dire. L’impulso creativo, specialmente nel primo componimento, non dipinge, scolpisce; e, nel secondo, autentica e intensa ode all’acqua, liricamente letta e indagata in tutta la sua ampiezza semantica, gli effetti comunicativi si fanno del tutto pervasivi, conditi di lepidezza e grazia tutte toscane.
Vorrei tornare brevemente sulla seconda lirica di Lidia.
La composizione è un’ode che appartiene al genere elogiativo e, dal punto di vista metrico, è una canzone leopardiana in diciotto versi, endecasillabi e settenari sciolti con rime occasionali.
Colpisce la poderosa struttura sintattica in stile nominale, con quattro periodi di cui i primi tre ad incipit anaforico del titolo pronominale (“Lei”) e il quarto perorativo a forte componente aggettivale, a completare il climax encomiastico. Solo l’ultimo verso svela il soggetto dell’ode (,”acqua”,) che si carica e si adorna della copiosa quantità di predicati nominali che lo precedono,
in forma sostantivale, aggettivale e relativa a funzione attributiva, quasi sempre in coppie, sovente ossimoriche.
Un impianto retorico-oratorio possente e vigoroso che, malgrado la complessità e qualche concessione all’enfasi, appare omogeneo, coeso e di straordinaria eloquenza.