UMBERTO VICARETTI
Dicotomia del fuoco
I
Ho attraversato questa terra come
un Cristo senza il lampo dei prodigi,
né mappe per i transiti segreti.
Solo le croci, tutte, le ho portate
(sfogliavo appena l’alba e l’orologio
aveva ormai già tutto dissipato,
in un istante in cui s’eterna il Male,
il tempo d’Hiroshìma e Nagasàki,
fermo il silicio in tutte le clessidre).
Ho attraversato questa terra mentre
da remote stazioni d’abbandono
interminato e flebile saliva
sommesso un coro d’anime smarrite:
Bergen-Belsen, Sant’Anna di Stazzema,
My Lai, Beslan, deserto di Srebrenica…
Qui sono stato un giorno a ricomporre
palpitanti coriandoli di cuori
e le disperse voci dei bambini,
confuse insieme al fumo dei camini,
in viaggio verso le costellazioni.
A quelle croci, all’utopia di pace,
chiedemmo immeritate redenzioni
giurando con la mano sopra il cuore.
Credemmo rifiorito il sogno. / Eppure
bruciano ancora Gerico e New York.
II
Ho attraversato questa terra quando
la sera era un approdo di dolcezze
scampate alla congiura degl’inganni;
e buona, tra gli alari dei camini,
ardeva inesauribile una fiamma
febbrile al ciocco vivo degli abbracci.
Ora che l’equinozio di settembre
declina già la luce verso l’erba,
lasciatemi per dono, ve ne prego,
di questa terra esausta un palmo indenne
dal grido della porpora e del fuoco:
ho smarrito la cetra, e più non ho
né luminosi accordi, né parole
d’ambra per mitigare le ferite.
Ho cantato la fiamma che non cede
al volgere dei cosmi, alle stagioni:
quella che al passo trepido dei Lari
tremula nell’approdo ci precede;
e l’altra che tenace ancora accende
falò inestinguibili nel cuore
(lei Bàuci ed io Filèmone chiedemmo
uguale l’ora al passo dell’addio).
Lasciatemi così, / nel rogo ad ardere,
incendio che gentile mi consuma.
Umberto Vicaretti
NdR – Poiché il sistema non permette l’endecasillabo spezzato, si è indicata questa particolarità con una barretta.
9 risposte
Credo che siano poche le generazioni che non hanno vissuto qualche tragedia. Il mondo è sempre stato una cloaca di violenza, lussuria, inganno a tutti i livelli. E’ per questo che il poeta mi appare come un qualsiasi essere umano che in qualsiasi epoca abbia avuto il privilegio e la sventura di capitare su questa Terra…e non si sa da dove né perché. Se i poeti avessero dovuto smarrire tutti la cetra di fronte agli orrori del mondo non ci sarebbe mai stato un poeta a meno che non lo fosse Adamo, dato che già con l’uccisione di Abele…un fratello che ne uccide un altro… c’è ben poco di peggio! Fa cascare cetra e braccia .E invece non è stato così…perché la poesia è una pianta resistente, che si adatta ad ogni clima, ed è imprevedibile : L’Iliade e l’Odissea fioriscono su fiumi di sangue, La Divina Commedia su fiumi di fuoco e il nostro poeta ha scritto questi versi bellissimi , “ di luminosi accordi” in un’atmosfera di dolore, di disillusione, di orrore. Perché noi esseri umani siamo animali strani: aneliamo alla pace e all’amore, ma la guerra e il dolore ci scuotono e ci ispirano non meno delle cose belle e buone. Un’osservazione : mi scuso per la mia ignoranza, ma mi incuriosisce la nota messa dall’autore a proposito dell’endecasillabo spezzato. Voglio dire : il verso è un endecasillabo…la presenza dell’incidentale segnata da virgole, non era sufficiente a marcare il tono, a indirizzare la lettura? Non capisco la necessità della precisazione…a me pare che le virgole siano sufficienti. Se il poeta avverte questa necessità posso capirlo a livello di gusto e scelta personale, e come scelta personale al posto suo l’avrei fatto semplicemente perché lo volevo fare. Ma in assoluto…non è più o meno la stessa cosa ? dove sbaglio?
Non è una nota dell’autore, Lidia, ma di chi ha redatto il post, cioè mia. Ho solo voluto segnalare, per precisione, che nell’originale vi sono due endecasillabi spezzati che il sistema non mi consente di riprodurre fedelmente.
Sì, Lidia, hai ragione quando affermi che
“la poesia è una pianta resistente, che si adatta ad ogni clima, ed è imprevedibile”, chiosa che mi rimanda alla stupenda “Altra poesia dei doni”, di J.L.Borges, il quale, nel ringraziare
“il divino/ labirinto delle cause e degli effetti /per la diversità delle creature/
che compongono questo singolare universo”, elenca una serie di doni, quelli appunto ricevuti dall’uomo; tra questi l’arte del poièin. E il ringraziamento passa “per Whitman e Francesco d’Assisi, che scrissero già questa poesia,/ per il fatto che questa poesia è inesauribile /… / e non arriverà mai all’ultimo verso”.
E la poesia “pianta resistente” e “imprevedibile” che tu descrivi, Lidia, è quasi perfettamente e felicemente sovrapponibile ai visionari, profetici versi di Borges, segno che l’arte dei citaredi, da Orfeo ai nostri giorni (e Omero e Dante che tu citi “sono” la poesia…), è pronta a ritrovare le cetre smarrite, o anche solo momentaneamente “appese”, come quelle di Salvatore Quasimodo, “alle fronde dei salici”.
Ti sono grato per le generose parole e la convinta adesione alle ragioni del mio testo.
Il poeta è angosciato per il dolore ed il male del mondo. Rievoca attimi di disperata desolazione, di muta infinita solitudine. Riferimenti agli orrori del Novecento, al sangue versato, ai campi di sterminio, ai troppi gridi di dolore inascoltati. La Storia ricorda, ma non guarisce. Le ferite sono ancora tutte lì, i crematori ancora caldi, il fungo di Hiroshima e Nagasaki disperso, ma non scomparso del tutto; e la guerra continua con modi, forme e tecniche sofisticate, sempre più terribili. Il poeta invoca almeno un fazzoletto di terra, un intervallo di tempo in cui ritrovare una umanità perduta, quella degli affetti più cari, in cui poter congedarsi e dire addio alla vita con la stessa serena consapevolezza di Filemone e Bauci, che moriranno insieme per volere di Zeus, come premio del loro amore e della loro mitezza. Le rivalità, la sete di potere e la voglia di dominio portano alla prevaricazione ed al male, e il male e la violenza producono solo tormenti, emarginazione e solitudine…
Grazie, Lido, per la tua adesione alle ragioni dei miei versi; un’adesione non solo analitica e critica, ma anche emotiva e sentimentale. È vero, la moltiplicazione planetaria del male, cioè quella del fuoco “cattivo” e distruttore che ne fa l’uomo, lo rende sempre più solo, vulnerabile, perduto.
Non starò qui a ricorare i mille pregi la poesia di Umberto Vicaretti, che si esprime -in modi e forme di spiccata grazia- come osservazione e meditazione delle umane cose, rappresentate attraverso un’ottica assorta e dolente e collocate in una dimensione di commossa partecipazione. Tramata di indicibile dolcezza, poi …
“……..
Ho attraversato questa terra quando
la sera era un approdo di dolcezze
scampate alla congiura degl’inganni;
e buona, tra gli alari dei camini,
ardeva inesauribile una fiamma
febbrile al ciocco vivo degli abbracci.
…….”
Questa sestina di endecasillabi, ispirata e commovente, specie nei primi tre versi è straordinaria per ampiezza d’eloquenza e intensità emotiva.
Qui il poeta si erge a testimone dei tesori affettivi del tempo passato e ne diviene il nume tutelare.
Con dolcezza infinita e infinita nostalgia.
Nulla va perduto se un poeta lo sa raccontare.
Ti sono grato, Luciano, per la sintesi efficace e illuminante, come sempre, con cui intercetti la natura positiva del fuoco “buono” della mia Dicotomia, il suo valore affettivo e memoriale, la sua funzione salvifica e rigeneratrice.
non l’avevo mica capito , Pasquale…ora sì mi è chiaro