LIDO PACCIARDI
Notturno
Come notturna rosa si dischiude
l’urna dei miei ricordi; esala un canto
che m’appartiene ancora e che m’illude,
ma che nell’alba, poi, ritorna in pianto.
Così ogni notte in sé porta e rinchiude
quello che un tempo fu gioioso incanto,
ma sorge il sole e mostra le più crude
pungenti pene che mi stanno accanto.
Breve fu giovinezza. Un soffio vano,
un trapassare a volo nella brezza
di un’ala lieve, persa già lontano.
Ora mi grava, incerto, la vecchiezza
con l’ultim’ore strette nella mano
e un cuore spento, senza più certezza.
*
Silenzio
In un silenzio, d’ombre ricamato,
il tempo che non compie mai ritorni;
dentro l’autunno, al vento denudato,
l’albero che si spoglia dei miei giorni.
Viene la sera; rifiorisce lieve
un popolo di sogni: si raduna
sulla distesa fredda della neve
nella quiete albeggiata dalla luna.
Nuovo orizzonte sorge; un altro giorno
mi prepara la notte. Cerco il sole,
ma solo oscurità trovo d’intorno
e s’indeserta il canto di parole.
Mi conforta un chiarore di betulla,
lungo tremori d’acque. Questa è l’ora
sospesa dentro un canto di fanciulla,
sopra l’erbe bagnate dall’aurora.
Lido Pacciardi
7 risposte
Trovo notevolissime le due ultime strofe di “Silenzio”, con il bellissimo verso che chiude la prima, ” E s’indeserta il canto di parole” ( da notare il verbo riflessivo di ascendenza montaliana) e con il clima disteso e distaccato, lievissimo e rasserenato, della quartina finale.
Ti ringrazio Luciano. Il tuo commento è incoraggiante per me. Grazie ancora.
Grazie di cuore, Pasquale, per l’attenzione.
Grazie ancora.
Che dire di Lido Pacciardi? Magari che è uno dei pochi veri poeti che passano per fb? Potrei rischiare grosso dato che lì gente convinta di essere poeta ce n’è a balle, e anche agguerrita. Ma lo dico lo stesso e senza girarci intorno : Lido Pacciardi sa scrivere come pochi e chiunque abbia il senso della musicalità , il gusto dell’ immagine tornita, del colore, della parola calzante e a volte straordinariamente raffinata lo vede senza bisogno che qualcun altro glielo faccia notare. La campagna è spesso lo scenario delle sue riflessioni o dei suoi racconti ed è di solito serena perché per Lido la natura è sempre legata al ricordo dei bei tempi, quando scorrazzava come un capriolo su per le macchie o si aggirava in qualche padule o gora in cerca di pesci. Fin dalla prima infanzia è stato una creatura della campagna, sempre pronto a rischiare con gran soddisfazione l’osso del collo pur di salire su un albero o dovunque gli venisse l’estro di arrampicarsi. In queste due poesie, invece, la campagna è immersa in una luce malinconica, più che in altre che ho avuto occasione di leggere. Spesso nei versi di Lido, prevale la ricerca del colore, della luce, dello squarcio paesaggistico, dei contorni delle figure…qui c’è su tutto un velo di malinconia, di ripianto, di perdita che manca in altre poesie nelle quali quel che sembra interessare è soprattutto l’arazzo del paesaggio in sé. Questa non è la voce del Lido che conosco, dell’uomo sempre sereno e positivo…qui c’è un’anima che avverte dolorosamente il proprio declino, che guarda tutto da lontano, nell’ottica del perduto, che parla con un pianto soffocato e insopprimibile. Ma va bene così perché la poesia deve dire quello che chi scrive ha dentro in quel momento e non si può essere sempre luminosamente sereni.
Sì, Lidia. E anche se la “serenità” viene talvolta velata dalla malinconia, dal riaffacciarsi di un tempo che non tornerà, bisogna resistere. La vita è la vita, e offre quel che può, secondo necessità ed accadimenti non in nostro potere. Le stagioni del nostro esistere non hanno tutte il cielo azzurro. Ma bisogna andare avanti, anche col groppo in gola. Che cos’altro potremmo fare? Resta il fatto cheil vissuto, la giovinezza passata, evaporata, dissolta, ti resta dentro come il profumo di un fiore che ancora senti, cerchi e non trovi più. Io quel profumo lo sento ancora e da quello proviene quella velata tristezza che mi accompagna, ma che mi fa apprezzare quello che ho avuto. Grazie del bel commento.
Apprezzo la dolce malinconia dei versi di Lido Pacciardi, i quali fin dalla prima lettura mi hanno riportato a pensieri ed emozioni di leopardiana memoria. Si respira il sentimento di disillusione; l’ ineluttabile trascorrere del tempo e la percezione di ciò che è perso inevitabilmente per sempre pervadono i versi, ma al di sopra di tutto si leva un canto ( nel primo testo ” esala”, nel secondo è un “canto di fanciulla”) a ricordarci, forse, che l’anima non ha età ed è lei che, librandosi in alto, allarga l’orizzonte.
Lido è notoriamente poeta solare e il suo canto è luminoso e vitale; talvolta anche squillante. Qui però le note si arrochiscono, sembrano volersi affievolire e spegnere in ombre serali o notturne. Si fa spazio la tristezza e la mesta rassegnazione. Ma può morire la speranza, specialmente in un poeta attaccato alla vita come Lido? Certamente no. E infatti eccolo il riscatto, il gesto di rivolta, il colpo di reni, il guizzo ai polsi:
“Mi conforta un chiarore di betulla,
lungo tremori d’acque. Questa è l’ora
sospesa dentro un canto di fanciulla,
sopra l’erbe bagnate dall’aurora.”