La nascita, attraverso le metafore del viaggio e del pane caldo, in ampio portato semantico.
ANTONIO PORTA
(1935 -1989)
La zattera coi pattini
nel cortile i due cavalli partono al galoppo
trascinano sulla neve una zattera e sopra la zattera
un pane caldo appena sfornato e dentro il pane caldo
un bambino dorme che sta per nascere e dentro il bambino
due tortore dal collare spiccano il volo nella notte
sono congiunte da un filo teso e a questo filo sta appeso
il cuore del bambino che pulsa ancora per poco e si gela
fino a quando si arriva al punto del non-ritorno il cuore
torna a pulsare dentro il petto e il bambino comincia a nascere
dentro il pane che lo protegge appena sfornato allora i cavalli
si staccano dalla zattera con i pattini fanno ritorno
nella stalla cominciano a masticare il loro fieno e due mani
sbucano dalla notte prendono in custodia il pane caldo
col bambino lo adagiano sopra il letto grande
c’è la luce a guizzi del fuoco del camino e sul cuscino
sono cucite col filo bianco le parole
questa è la tua casa
2.12.1977 – rev. 1979
(da Passi e passaggi, 1980)
Antonio Porta
10 risposte
Una matrioska di parole che scivolano l’una nell’altra a dare corpo a costruzioni senza interruzione, quasi in una onirica rappresentazione dell’inizio della vita che cerca di sotenersi proprio per la sua fluida ed elastica scorrevole tessitura, ma in cui, a mio modesto giudizio, la voluta costruzione metaforica di tutta la trama lascia poco spazio al coinvolgimento emotivo di chi legge, pur essendo dichiarato lo scopo di esperimento semantico sulle precarie prospettive esistenziali.
Questo “collage” narrativo -descrittivo di Antonio Porta non ha una consecutio logica ma nemmeno un’impronta visionaria e neppure una vera e propria valenza semantico- metaforica.
Sono frammenti di realtà disposti uno dopo l’altro a realizzare una sorta di “effettismo di associazione” che, in definitiva, affida al lettore il compito di trarne un ritorno emotivo ed interpretativo.
A volte invece alle immagini si affiancano anche i concetti in una struttura sintattica compiuta:
“Se anche sapessi, e forse so,
che il destino nostro è niente
ma se una donna ascolto dietro una parete
o un suono dei passi sull’ultimo selciato
o una risata schietta, senza fretta
o bacio una bimba che dice: io non sono malata,
al gioco del massacro allora non ci sto,
preferisco del linguaggio quel che ha di divino
e non m’importa, amici, di ciò che direte,
parlo da ingenuo (come Freud), do per scontato
il male e cerco il bene, disperata-mente.”
Yellow (Mondadori, 2002)
A me non piace. Tutto questo arzigogolare fra pattini, pani caldi, bambini che vanno e vengono non solo non mi stimola a cercar di capire quello che l’autore intenda dire, ma mi indispettisce perché se voleva lanciare un messaggio poteva farlo anche senza girarci troppo intorno. Insomma…nessuno intende far guerra alla metafora, ma per me a tutto c’è un limite. Se uno scrive si presume che lo faccia per comunicare qualcosa, sennò i suoi scritti se li poteva tenere nel cassetto del comò a meno che non intendesse esser capito solo dai più dotati e in tal caso mi cheto e buon per loro. Io non mi ci provo nemmeno a interpretare questo visionario o che diamine è…!!!Da che mondo è mondo poeti e scrittori ce ne sono stati, no? E chiari, e comprensibili a tutti i comuni mortali senza zattere, pani farciti di bimbi farciti di tortore … e che siamo al Mac Donald? Pace all’anima sua, ma non fa per me.
se l’ho capita io che ho 14 anni, credo possa riuscirci tranquillamente anche lei
Ogni commento è molto gradito. Ma firmato con nome e cognome, gentile Lucilla. Grazie.
Provo a dire la mia. Comincio dell’ambientazione che oscilla tra il fantastico, il fiabesco, l’onirico e il surreale. Il poeta “narra” una nascita. Già l’incipit è straniante, con i cavalli al galoppo che trascinano una zattera. Poi la metafora del “pane caldo”, alvo materno ( anche alma tellus, magna mater?), dove il bimbo dorme. Credo che nei versi successivi si celi l’allegoria di un parto difficile, con il bambino che rischia di morire ( le tortore che trasportano, sospeso a un filo, il cuore del bimbo che si gela); e attenzione alla semantica: “notte”, “filo teso”, “si gela” (in opposizione a “pane caldo”), “punto di non ritorno”. Poi la svolta, con il cuore del bambino che torna a pulsare: due mani nella notte -presumo che siano quelle dell’ostetrica appena giunta- si prendono cura della madre e del figlio, e tutto rientra nella scansione della vita normale, quella di tutti i giorni.
A me pare una bella poesia, ben dosata anche tra il detto e il non detto.
La tua interpretazione, Pasquale, è perfetta e permette di apprezzare appieno il valore della poesia di Porta.
Nondimeno la comprensione di una poesia dovrebbe seguire e non precedere la lettura del testo.
Voglio dire che il testo poetico, necessariamente, deve bastare a se stesso.
Anch’io penso questo : nessuno pretende che un poeta spiattelli tutto pari pari, ma nemmeno dovrebbe essere che il poeta parli ” per conto suo” e chi lo segue bene e chi non lo segue pace…La conclusione è comunque quella che si adatta a tante cose : de gustibus…L’interpretazione di Pasquale è quella di una persona particolarmente portata alla critica, un poeta dall’occhio acuto, dal fiuto fine cui si aggiungono pazienza, passione, esperienza e cultura…ma la maggior parte della gente non è così: a chi manca una qualità, a chi due a chi tutte. Io non ci sono arrivata e non ci ho nemmeno provato. Perché dovrei scervellarmi per capire uno che va per la sua strada e non si preoccupa di dare un appiglio per invogliare a capire? Una mano lava l’altra e tutt’e due lavano il viso, no? E lui per me se la farebbe tutta da solo allora…
Grazie, cara Lidia, per i tuoi complimenti che non penso di meritare. Capisco il tuo disappunto e anch’io a volte mi chiedo fino a quale livello di (in)comprensibilità possa spingersi un poeta. Il fatto è che per un certo periodo è stato messo sotto pressione il linguaggio poetico, nel tentativo di rinnovarlo, essendo state ritenute scontate e quindi irripetibili tecniche, formule, lingua , metrica e altri ordigni poetici considerati superati; cosi come sono stati stimati obsoleti ideali e convinzioni che hanno innervato un’epoca storica non lontana da noi. Il venir meno delle certezze d’un tempo ha generato insicurezza da un lato e dall’altro tentativi di superare questo impasse che spesso si sono mostrati velleitari e illusori. Ma insomma ognuno ha reagito a modo suo, cercando una soluzione individualistica: proprio come accade in epoca di crisi. Si spiegano così certi avvitamenti su se stessi, certe forzature. unite spesso a eccessi di cerebralismo. Se a ciò aggiungiamo che oggi mancano i veri e grandi poeti, giungiamo alla chiusura del cerchio.
“Si spiegano così certi avvitamenti su se stessi, certe forzature. unite spesso a eccessi di cerebralismo”.
Ho riportato le tue parole,
Pasquale, che mi sembrano illuminanti.
Io credo che tutti i veri poeti, indipendentemente dal loro stile e dal loro contesto storico, siano chiari e comprensibili.
Per fare qualche nome, lo erano Omero e i Lirici, Virgilio e Orazio, ma lo erano anche Dante, Tasso e poi Foscolo, Leopardi, Manzoni, Pascoli e infine lo sono stati Ungaretti e Montale.
Quando la scrittura poetica è nebulosa, criptica e uroborica, non è un bel segno, spesso l’eccesso di cerebralismo nasconde una carenza di talento.
Non parlo di Porta che fa una poesia semplice semplice, quasi infantile, di pura accumulazione, ma che , come osserva il giovane quattordicenne, è abbastanza chiaro e comprensibile.