Virgilio, Eneide: La morte di Pallante

PUBLIO VIRGILIO MARONE

La morte di Pallante ad opera di Turno

(Eneide, X, 708- 794)

Traduzione di Annibal Caro

Pallante, visti i Rutuli ritrarsi,
E lui sentendo che con tanto orgoglio
Lor comandava: poscia che ’l conobbe,
Lo squadrò tutto, e stupido fermossi
A veder sì gran corpo. Indi feroce
Gli occhi intorno girando, ai detti suoi
Così rispose: Oggi, o d’opime spoglie
O di morte onorata il pregio acquisto.
E ’l padre mio (tal è d’animo invitto
Incontr’ogni fortuna, o buona o rea
Che sia la mia) ne porrà ’l core in pace.
Via, che d’altro è mestier che di minacce.
E, ciò detto, si mosse e fiero in mezzo
Presentossi del campo. Un giel per l’ossa
E per le vene agli Arcadi ne corse.
E Turno dalla biga con un salto
Lanciossi a terra: ch’assalirlo a piedi
Prese consiglio. E qual fiero leone
Che, veduto nel pian da lunge un toro
Con le corna a battaglia essercitarsi,
Dal monte si dirupa e rugge e vola,
Tal fu di Turno la sembianza a punto
Nel girgli incontro. Il giovine che meno
Avea di forze, s’avvisò di tempo
Prender vantaggio, e di provare osando,
S’aver potesse in alcun modo amica
Almen fortuna; e già ch’a tiro d’asta
S’eran vicini, al ciel rivolto disse:
Ercole, se ti fu del padre mio
L’ospizio accetto, e la sua mensa a grado,
Allor che peregrin seco albergasti,
Dammi, ti priego, a tanta impresa aita,
Sì che Turno egli stesso in chiuder gli occhi
Veggia e senta, morendo, ch’a me tocca
Vincere e spogliar lui d’armi e di vita.
Udillo Alcide, e per pietà che n’ebbe
Nel suo cor se ne dolse e lacrimonne,
Quantunque indarno. E Giove, per conforto
Del figlio suo, così seco ne disse:
Destinato a ciascuno è ’l giorno suo;
E breve in tutti e lubrica e fugace
E non mai reparabile sèn vola
L’umana vita. Sol per fama è dato
Agli uomini, che sian vivaci e chiari
Più lungamente. Ma virtute è quella
Che gli fa tali. E non per questo alcuno
È che non muoia. E quanti ne moriro
Sotto il grand’Ilio, ch’eran nati in terra
Di voi celesti? E Sarpedonte è morto
Ch’era mio figlio, e Turno anco morrà;
E già de la sua vita è giunto al fine.
Così disse, e da’ rutuli confini
Torse la vista. Allor Pallante trasse
Con gran forza il suo dardo, e ’l brando strinse
Incontro a Turno. Investì ’l dardo a punto
Là ’ve ’l braccial su l’omero s’affibbia,
E tra ’l suo groppo e l’orlo de lo scudo
Come strisciando, di sì vasto corpo
Lievemente afferrò la pelle a pena.
Turno, poi che ’l nodoso e ben ferrato
Suo frassino brandito e bilanciato
Ebbe più volte, Or prova tu, gli disse,
Se ’l mio va dritto, e se colpisce e fóra
Più del tuo ferro: e trasse. Andò ronzando
Per l’aura, e con la punta a punto in mezzo
Si piantò de lo scudo. E tante piastre
Di metallo e d’acciaio, e tante cuoia
Ond’era cinto, e la corazza e ’l petto
Passògli insieme. Il giovine ferito
Tosto fuor si cavò di corpo il tèlo;
Ma non gli valse, chè con esso il sangue
E la vita n’uscío. Cadde boccone
In su la piaga, e tal diè d’armi un crollo,
Che, ancor morendo, la nimica terra
Trepida ne divenne e sanguinosa.
Turno sopra il cadavere fermossi
Alteramente, e disse: Arcadi, udite,
E per me riportate al vostro Evandro,
Che qual di rivedere ha meritato
Il suo Pallante, tal glie ne rimando;
E gli fo grazia, che d’essequie ancora
E di sepolcro e di qual altro fregio
Che conforto gli sia, l’orni e l’onori;
Ch’assai ben caro infino a qui gli costa
L’amicizia d’Enea. Così dicendo,
Col manco piè calcò l’estinto corpo;
E d’oro un cinto ne rapì di pondo …

****************

Per Turno, però, quel cinto o balteo  sarà fatale …

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2 risposte

  1. Qui Virgilio ci descrive il gesto eroico di Pallante, figlio di Evandro, alleato dei Troiani, che affronta Turno e nello scontro con il condottiero dei Rutuli trova la morte.
    Non possiamo non ricordare, con la descrizione virgiliana, i grandi duelli tra eroi che avvengono nell’Iliade. Principalmente quelli tra Achille ed Ettore, Sarpedonte e Patroclo…
    Qui il genio virgiliano tratta con minore asprezza lo scontro dei personaggi, lo addolcisce quasi di quella pietas che nei duelli dell’Iliade spesso manca, anche se la furia della guerra, la ricerca della morte come gloriosa memoria che nobiliti ed eterni il coraggio e il valore dell’eroe protagonista del momento, ancora è viva e presente. Pallante affronta Turno, uccisore di italici, perché desideroso di gloria, per mostrare a tutti l’ aretè di cui si sente portatore pur nella giovine età, per obbedire ad un imperativo che non gli permette di non tentare… anche a costo della morte, della bella morte in battaglia. Turno si limita a spogliare Pallante del balteo e ad indossarlo, orgoglioso della vittoria. Sarà la sua condanna, poiché scatenerà la furia di Enea che, a sua volta. lo vincerà. Pallante muore solo dinanzi a Turno, che estraendo la lancia dal suo petto ne decreta la fine, estraendone il cuore.
    Nell’Iliade i grandi duelli sono legati quasi sempre ad una coppia di hetairoi, in cui il sopravvissuto ha il compito sacro di difendere le armi ed il corpo del compagno caduto (Sarpedonte e Glauco ad es.), che negli spasimi dell’agonia implora che il suo cadavere non sia lasciato all’oltraggio dei cani e degli uccelli, ma trovi degna ed onorevole sepoltura per oltrepassare in pace le porte dell’Ade. Nel duello di Achille e di Ettore c’è qualcosa di più: la furia selvaggia di Achille che si scatena ed oltrepassa ogni limite di umana giustificazione e dell’onore, poiché Patroclo e Achille non erano solo e soltanto “hetairoi”, ma “hetairoi philoi”. Compagni d’armi, amici, forse amanti, cresciuti insieme, quasi fratelli. Ci vorrà la sapienza del vecchuio Priamo ad ammorbidire l’animo del Pelide, per la restituzione del corpo di Ettore e la sospensione degli scontri per dodici giorni per le onoranze funebri del figlio.
    Tutto questo per far notare come nella Eneide e nell’Iliade – il primo un poema di “fondazione”, il secondo uno di “distruzione” – i canoni compositivi e descrittivi mostrino registri alquanto diversi. Virgilio in epoca Augustea, autore delle Georgiche e delle Bucoliche, si è come spogliato di quegli istinti ferini, quasi… barbarici, animaleschi, che in molte situazioni di scontri all’ultimo sangue, affiorano nel poema omerico e si concretizzano in stragi cruente, descritte nei particolari: mezzi espressivi per confermare dolori e disperazioni immense, come quella di Achille alla notizia dell’uccisione di Patroclo da parte di Ettore. Pare quasi che L’Enedide, pur mantenedo ancora certi parametri guerreschi ineludibili, sia già, seppur timidamente, sul percorso di una meno accentuata asprezza delle più antiche battaglie, mitigando gli impulsi più estremi, quasi che l’uomo sin sia incamminato verso un tempo meno oscuro e più mite. Ma, forse, anche alla luce dei successivi avvenimenti dei secoli a venire e degli attuali terribili giorni che stiamo vivendo, non possiamo non renderci conto di quanto lungo sia il cammino ancora da fare, di quanto sangue ancora dovremo versare al mai saziato ed assopito Ares.

  2. Il combattimento fra Turno e Pallante prepara il terreno alla morte di Turno per mano di Enea; si ripete lo schema dell’Iliade dove la morte di Patroclo sarà causa dell’uccisione di Ettore per mano di Achille. Un susseguirsi di vendette personali nello scenario della guerra. Anche certe circostanze sono uguali : Ettore si approprierà dell’armatura di Patroclo e l’indosserà trionfante con un gesto biasimato dagli stessi dei che vogliono il rispetto verso i vinti, e Turno si impadronirà del balteo d’oro di Pallante e questo lo renderà riconoscibile e segnerà la sua fine. C’è un particolare però che è diverso ed è significativo, ossia che Ettore calca il piede sul corpo di Patroclo per estrarre la lancia- e non c’era altro modo per farlo-, mentre Turno calpesta Pallante senza motivo dato che il giovane aveva estratto la lancia da solo. Dunque Turno non solo mostra una mancanza di quella moderazione che un eroe dovrebbe avere in qualsiasi circostanza- senza un limite un “ eroe” diventa una bestia irrazionale,- ma rivela un lato interessato. La sua furia non ha la “ purezza” di quella che sarà l’ira di Achille che infierirà brutalmente sul corpo di Ettore dopo avergli rifiutato l’estremo conforto di sperare che le sue spoglie potessero esser rese al genitore per un ultimo saluto e per un’ onorata sepoltura. L’ assoluta mancanza di pietà di Achille, certamente anch’essa deprecabile, sarà dettata dalla disperazione, da un dolore cocente, mentre la mancanza di pietà di Turno è motivata dall’interesse per un oggetto bello e prezioso. Questo particolare getta un’ombra sulla figura eroica di Turno e per contrasto farà a suo tempo rifulgere più che mai la figura di Enea, il giusto che avrebbe portato con sé, nella Roma che doveva nascere il valore della pietas: amore per la patria, per la famiglia, per gli dei.

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