I COLLABORATORI: GIANNICOLA CECCAROSSI

                      GIANNICOLA CECCAROSSI

Giannicola Ceccarossi, torinese di nascita e romano di adozione, è figlio d’arte (il padre Domenico era un grande musicista solista) e si dedica alla poesia da molti anni. Proprio con il padre realizza nel 1970 il poemetto Per i semi non macinati per corno (Domenico Ceccarossi), voce recitante (Arnoldo Foà), coro e orchestra d’archi, musica di Gerardo Rusconi. Dopo un periodo dedicato alla carriera manageriale, inizia a partecipare a concorsi letterari aggiudicandosi  numerosi primi premi,  tra i quali: Premio di Poesia Reggiolo/Città della Spezia/Il Porticciolo/Histonium/Città di Portovenere/Apud Montem/L’Aquilaia/G. Stefanizzi/Nicola Mirto/Il Maestrale/Santa Margherita/Poetico Musicale/San Valentino/Le Cinque Terre/Padre Raffaele Melis/Amarossella/Mario Tobino/Città di Santa Maria a Monte/Franco Bargagna/Aeclanum/Il Quadrato/La Gorgone d’oro/Città di Bitetto/San Domenichino/Olinto Dini/L@ Nuov@ Mus@/Nosside/Santa Maria in Castello/Raffaello Cioni/Antica Sulmo/Il Litorale/Il segreto del Moai/Certamen Apollinare Poeticum/Metropoli di Torino/Città di Moncalieri/Cardinal Branda Castiglioni. Pubblicazioni: Poesie (1967), Ora non è più tempo (1970), Le dieci lune (1999), Frammenti (2000), I fiori nella schiena (2000), La terra dentro (2001), I gridi nella mano (2002), E’ appena l’alba (2008), Aspetterò l’arrivo delle rondini (2011), Ed è ancora così lontano il cielo (2012), Casa di riposo (diario) (2013), Dove l’erba trasuda narcisi (2014), La memoria è un grano di sale (2015), Fu il vento a portarti (2015), Birkenau (2016), Un’ombra negli occhi (2016), Canti e silenzio (2017), Voci (2018), Quando il tempo verrà fragile come la luna (2019), Anima mia (2020), Ed è un miracolo il volo degli uccelli (2021), A mancare è il tuo canto (2021), Il tempo è solo una parola (2022). Hanno parlato di lui: Sandro Angelucci, Carlo Betocchi, Pasquale Balestriere, Antonio Bonchino, Giovanni Bottaro, Domenico Cara, Marina Caracciolo, Giovanni Caso, Umberto Cerio, Domenico Defelice, Leone D’Ambrosio, Arturo Esposito, Vittoriano Esposito, Emerico Giachery, Rina Gambini, Manuela Mazzola, Luigi Alfiero Medea, Ines Montanelli, Luisa Martiniello, Pasquale Maffeo, Nazario Pardini, Noemi Paolini, Luigi Pumpo, Gianni Rescigno, Maria Rizzi, Gian Piero Stefanoni, Giorgio Barberi Squarotti, Rosa Spera, Mario Testi, Anna Ventura, Aldo Zagni.


“La poesia di Giannicola Ceccarossi è, nel suo insieme,  percorsa  da dolenti meditazioni, piegate talvolta a esiti pessimistici,  e da risorgenti speranze, radicate in un cuore pugnace; da un perenne desiderio di fondersi intimamente con la natura, ammirata e vissuta nella sua ampiezza e totalità, e, insieme,  dall’aspirazione a una dimensione metafisica, a un regno dello spirito puro e luminoso. Questo dualismo trova composizione in un’atmosfera di mera suggestione musicale, alimentata da scelte metriche e ritmiche che privilegiano una versificazione libera e armonica.” (Pasquale Balestriere)

*****

 

Aspetterò l’arrivo delle rondini

Ora che l’inquietudine delle stagioni
avvolge i gradini della luna
l’aria confonde le memorie
i passi mutano il frullare delle ali
e il tempo scolora il rosso dei papaveri
Fino a quando il respiro della terra mi legherà ai giorni
che presto si dipanano nell’oscurità dei sogni?
Forse quando verrà l’autunno
e i lecci mi ricorderanno
che pochi sono ancora i grani del rosario
Ma aspetterò l’arrivo delle rondini!
Come ogni mattina che s’apre al canto degli uccelli
anche oggi le mie mani sfiorano le nuvole
la pioggia mi porta foglie e vento
e la speranza di amare ancora
E tutto questo
è quanto basta al mio cuore

 

Il giorno dalle lunghe spighe

Erano poche le verità alle sensazioni dell’autunno
Il calore che rabbrividiva
la fiammella della lampada che illuminava
e noi soli a stringere vapori di brina
Ricordi quando attendevamo
che l’aurora ci portasse lontano
e che un balsamo velasse le nostre pupille?
Credevi che i colori
avrebbero allontanato i crucci
e le voci soffocate
gli annuvolamenti della luna
Ma nell’oscurità dei tuoi sogni
la memoria aveva richiuso nella gola
un acre sentore di tiglio
Era novembre e un suono ci accarezzò
Ma non trovammo pane né legna da ardere
Il buio aveva esasperato la solitudine degli anni
e lasciato che le illusioni tagliassero le labbra
Ora
prima che la notte ci ricami dentro
una fessura ruvida di pioggia
empiremo altri cesti
Terremo stretto il giorno dalle lunghe spighe
e attenderemo che un brivido
ci colga al freddo della sera
E già partono le rondini

 

altre lune di speranza

Quando fioche le lucciole si librano sui vigneti
e i sussulti mi turbano
e si perdono nel silenzio dei vicoli
prima che i lamenti muovano gracili semi
un sottile respiro mi piega e mi disturba
E’ allora che i gridi mi curvano al buio
mi sorprendono le antère legate agli unguenti dell’aria
che nell’ombra si spengono al mite andare degli anni
Ora che i sentimenti si mescolano a un tiepido vento
e la solitudine modella un’impronta azzurra
l’aura imbiancata si oscura e lo scirocco mi sconcerta
Ma le stagioni tarpate dai giorni che non hanno attese
aprono altre lune di speranza alla pioggia
che pacata mi accarezza
per le ore affievolite e logorate
come un brivido che si scioglie e penetra nel cuore

 

il mio volto è un ramo verde

Fino a che non mi colga il gelo della sera
e ogni cosa svanisca e all’improvviso si nasconda
non indugerò in quel suono
che mi segue verso gli spasimi trattenuti dal riverbero
Forse cercherò la mia voce in luoghi senza nidi
E quando dirò
delle orme che calpestarono i grani neri del frumento
la mia immagine riapparirà
fra i sassi della casa immacolata
e solo più tardi capiremo
Così sogno di contenere gli anni
le figure che non riconosco
e l’ombre che sempre più spesso mi accompagnano
Ricordo ancora quel sogno che ci legava al silenzio
la noia che intiepidiva la terra
quando i getti si svegliavano
e ci lasciavano smarriti
Ma fu soltanto il buio a defogliare
quei momenti nudi come il giorno
Nei barlumi che la memoria ha mutato
e accanto alla speranza che s’apre al mio cuore
oggi il mio volto è un ramo verde
che docile si piega ai sussurri della luna

 

Dove le stagioni odoravano d’erba

Se la neve sfumava le essenze della rugiada
e l’uva di mare divorava la terra al sapore di lavanda
le allucinazioni ci conducevano indietro
e poi ci abbandonavano
Ma lasciammo che le cicale cantassero agli ulivi
che la quiete ci svegliasse
che la mano del Signore si posasse sulle nostre emozioni
Eppure ci chiedevamo
se queste ferite che ci avvolgevano
fra il vuoto del giorno e la solitudine della sera
svanissero fra i tagli di una luna nuova
Dove le stagioni odoravano d’erba
e il sole si imbrogliava
torneremo a dividere le ore dallo scirocco
prima che i profili del buio
dimorino sugli occhi stanchi
Domani ricorderemo le nostre anime
impaglieremo i frutti ancora da invecchiare
quando i tremori
avevano mutato la rabbia di un sorriso
e solo i canti fanciulli ci stornavano dai soffi del vento
Ecco che improvvisamente si apre uno squarcio
mentre il vespro si invaghisce dei sogni
e si addormenta
Ora l’azzurro penetra le nostre bocche
un suono ripercorre le vene del cuore
e fresca e sconosciuta è questa notte

 

Ora il vento si è fermato

Anche oggi
– come in uno specchio infastidito dalla ruggine –
ci scrutiamo dentro
e non ne siamo lieti
E così
sulle nostre rughe frastornate
scorrono sbuffi di fantasticherie
con il panico a turbare ciò che rimane
Riusciremo mai a fuggire da quelle cicatrici
che ci ricordano dove siamo stati?
D’improvviso le braccia si fanno aride
e nulla smuove la tenerezza del mattino
Solo il clamore soffocato dalle tenebre
disserra antichi retaggi
e nessun segno più ci distrae

 

Sapessi almeno dove sei

Se le memorie impoveriscono
le stagioni che non tornano
l’alba sorprende gli occhi
e slega le bocche alla speranza
Eppure tu ripetevi che il tempo
avrebbe sfogliato altri giorni
accanto a quegli stridi stentorei
che mi rammentavano la spuma del mare
E quando mi raccontavi delle sere che non hanno fine
rincorrevamo quanto perduto nei sogni
leggevamo la malinconia su pietre levigate
mentre stringevamo nelle mani
le ombre che ci sfioravano
Ricordi quei sogni che consumammo al sole
e che smarrimmo ai turbamenti della pioggia?
Oggi poco è mutato
Ma del nostro vivere
che ci lascia increduli di fronte alla morte
e a questo Iddio che cerco e non trovo
non sarà ancora per molto
E’ questa l’avventura  – diceva mio padre –
se il cielo si adombrava
e il silenzio si addormentava fra i bulbi della luna
Quel silenzio che oggi mi coglie di lontano
tra gli anfratti delle siepi e il rantolo del vento
Sapessi almeno dove sei
o dove vanno i tuoi pensieri
con quella tua ombra che non tace
e che mescola nell’aria gli sguardi oramai a me ignoti
Ora la favola è giunta al termine
maghi e streghe non fanno più paura
ed è un sottile brivido a trattenere il mio pianto
Allora sia questo odore di terra piovana
un sussurro un frammento di buio
e un tiepido abbraccio alla mia inquietudine

 

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