Un poeta per volta: Luciano Domenighini

 

 

LUCIANO DOMENIGHINI

 

Luciano Domenighini è nato a Malegno  (BS) nel 1952. Ottenuta la Maturità Classica, si è laureato in Medicina e ha svolto la professione  quale medico di Medicina Generale, attività che svolge tuttora.

Negli anni universitari, a Parma, presso una radio locale ha condotto per quattro anni una rubrica radiofonica di musica operistica.

Come poeta ha pubblicato quattro raccolte di poesie:  Liriche Esemplari (2004), Le belle lettere (2017) e  Il giardino dei semplici (2019), Esercizi di rima(2020); come critico letterario, La lampada di Aladino, 2014, ; un’antologia di profili critici di poeti emergenti ; e infine, in veste di traduttore, due raccolte di traduzioni dal francese, Petite Anthologie, 2015 e Saggio di traduzione, 2016);  e due dal latino, Poemi didascalici latini,  2017 e Poeti satirici latini, 2019. Attualmente ha in preparazione una nuova silloge poetica, un’antologia di critica letteraria e una raccolta di traduzioni dal greco.

Il suo stile è sobrio e asciutto. Ama forme poetiche brevi, spesso quasi epigrammatiche. La strofa preferita è la quartina, non rara la sestina. Sempre rimate.

           POETICA

Mi trovo a chiamarmi poeta,
cantore di misere gesta.
m’ispira l’Euterpe mia inquieta
che spregia la piazza e la festa.

D’eroi, di regine, di re,
la Musa cantar non sopporta;
io posso parlare di me
che poi neanche a me tanto importa.

*

             DISTACCO 

Pareva non altro che un gioco
ma intanto la vita finiva
nel misero incanto che a poco
a poco la mente svaniva.

*

        APPARIZIONE 

Chi è mai la fanciulla corvina
che presso le case cammina?
E’ un cuore leggero che sale
la polvere dello stradale
dorata dall’ultimo raggio
di un tiepido vespro di maggio.

*

      POETA PER CASO

Io sono poeta per caso
che in rime la mente trastulla
sui clivi d’un brullo Parnaso
sognando l’ebbrezza del nulla.

Eppure da questo romito
sfiorito ricovero scorgo
sul fondo del piano infinito
turrito profilo di un borgo

che canta le pie meraviglie
di tre torricelle vermiglie
e spande nell’aria di quelle
fragrante sapor di vaniglie.

*

       LA COMMEDIA

È priva d’ordine l’umana scena,
filodrammatica d’antica pena,
senza la musica dell’armonia,
senza la metrica della poesia,
barbara recita delle inquietudini,
corte babelica di solitudini.

*

SOUVENIR DE JEUNESSE 

Solo un timore,
Solo un tremore,
Per l’assolata strada
che m’accarezza.

Solo l’errore,
Solo l’orrore,
Che indelibata vada
La giovinezza.

Luciano Domenighini

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10 risposte

  1. “I poeti pullulano come gli imenotteri”. E’ una frase non mia che io ripeto spesso per indicare la moltitudine di persone che scrivono in versi. E questo non meraviglia in quanto l’arte di Euterpe non richiede mezzi specifici per esercitarla. Quello che meraviglia, invece, è come ci siano tanti poeti – veri poeti che sono in possesso di tutti gli strumenti del caso – completamente sconosciuti ai più come questo che oggi Pasquale ci propone.
    Luciano Domenighini è uno scrittore non giovanissimo che si è formato proprio in quegli anni in cui la poesia subiva un totale sconvolgimento in nome di un rinnovamento che denotava il più delle volte soltanto ignoranza: via la melodiosità, via la lunghezza canonica dei versi, via gli a capo a segnare la pausa necessaria al respiro.
    Questo poeta invece – a prescindere dai contenuti del tutti validi nel nitore del linguaggio, nella sottile vena malinconica e anche nei gradevolissimi giochi verbali – sa applicare tutte le regole formali necessarie, senza alcuna concessione al moderno e senza alcuna sbavatura con una prosodia variabile ma spesso molto ritmata e usando costantemente la rima. Un’abilità la sua che molti non hanno e che lo colloca di diritto nell’ambito ristretto di coloro che verranno ricordati perlomeno nella propria zona di appartenenza. Mi auguro di poterlo conoscere meglio.

    1. Oggi, Carla, scrivere in metrica e rima, sicuramente è un modo di fare poesia obsoleto, ma può avere anche qualcosa di provocatorio, in un’epoca in cui vige il verso libero inteso come frammentazione arbitraria di periodi prosastici e che , di fatto, ha abolito qualunque requisito di tecnica compositiva.
      È l’uovo di Colombo. Ma è anche un salto nel vuoto.
      Saper scrivere in metrica accresce il senso del ritmo, delle corrispondenze fonetiche e dell’armonizzazione del dettato poetico.
      Se qualcuno poi sostenesse che la poesia moderna è una deroga dalla poesia di tradizione, motivo di più per conoscere quest’ultima.
      Non si puo’ derogare da qualcosa se non la si conosce.

  2. Partecipo alla discussione. Personalmente ritengo che ognuno debba poter esprimersi come gli pare, purché sappia essere poeta, cioè sappia emozionare per passione, bellezza, intensità, musicalità, ritmo. Credo che sia impensabile diventare un bravo scultore, pittore, musicista senza un lungo tirocinio. Così anche chi vuol fare poesia non può e non deve permettersi di impugnare la penna -diciamo così- senza possedere gli ordigni necessari, senza la necessaria preparazione. Per la verità è mia ferma opinione che pure chi ama esprimersi fuori dalle forme chiuse le debba avere in pratica per un necessario processo di affinamento poetico. Dopodiché ognuno sceglie come esprimersi. E tutte le tecniche di scrittura poetica hanno uguale dignità e diritto di cittadinanza nella repubblica delle patrie lettere. Senza inutili distinzioni (che io su questo blog di certo non farò). Purché, ripeto, vi sia poesia.

    1. Concordo Pasquale: ognuno è libero di scegliere il tipo di scrittura che preferisce ma se si è almeno un po’ esercitato nelle forme chiuse è meglio, non solo perché avrà affinato la sua musicalità ma anche perché avrà acquisito una coscienza storica della poesia italiana, che per sette secoli si è servita esclusivamente di forme chiuse.
      Cosa poi sia poesia o non poesia non è facile dirlo anche perché il gradimento di un testo è in spesso soggettivo.
      Sarebbe interessante, strada facendo e prescindendo dai gusti personali, individuare dei criteri di valutazione il più possibile oggettivi ed estensibili a vari tipi di scrittura poetica.

      1. Sono d’accordo con te e aggiungo che, per capire e gustare la poesia, per “sentirla” insomma, occorre avere mente, cuore ed orecchio educati. Come? Leggendo la poesia dei grandi e meditandola. E vivendo la vita veramente, cioè intensamente. Premesse necessarie, queste, anche per “fare” poesia, cioè per scriverla.

  3. Caro Luciano, sembrerebbe quasi, dai commenti successivi al mio, che io sia contraria alla metrica considerandola una forma obsoleta ecc. ecc. Premetto – per chi non mi conosce – che sono una fautrice della prosodia e tengo abbastanza alla forma tanto che qui a Ferrara, dove vivo, qualcuno mi chiama ” la Signora degli endecasillabi”. Non amo molto le forme chiuse – anche se ho scritto più di centocinquanta sonetti – in quanto limitano il mio modo di esprimermi ma ammiro chi le sa usare.
    Perché ho affermato che mi meraviglia di trovare tante persone che scrivono in metrica? Perché sia nel mondo letterario in cui mi ha condotta questa specie di “mestiere” che mi sono trovata una volta andata in pensione – ho scritto più di trenta libri in versi e alcuni di essi anche molto corposi – sia nello stesso mondo scolastico in cui ho insegnato, pochissimi sono coloro che sanno scrivere un testo con una certa prosodia e soprattutto che lo sappiano leggere non conoscendo i più le regole basilari che governano o meglio governavano la poesia.
    Che poi ci siano liriche bellissime anche senza melodia, questo è un altro paio di maniche. Ma la musicalità non guasta mai: lo dimostrano certi testi stranieri mal tradotti dalla lingua originale.
    Ci sarebbero tante altre cose da dire in proposito ma non mi sembra il caso essendo la mia soltanto una puntualizzazione di quanto affermato precedentemente.

    1. L’esercitarsi nelle forme chiuse, Carla, sviluppa il senso del ritmo e del suono, ha come obbiettivo l’euritmia e l’eufonia.
      È una questione puramente di formale ma secondo me ha una grande importanza anche per dare risalto e valenza poetica alle immagini e ai concetti che si vogliono rappresentare.
      Tu Carla sei una specialista in una forma compositiva che si potrebbe definire “semichiusa”, non prevedendo né le rime né le strutture strofiche ma solo l’uguaglianza sillabico-ritmica , cioè l’endecasillabo sciolto ed è un piacere leggere i tuoi endecasillabi sempre eloquenti, pieni e rotondi, ben cadenzati e ben sbalzati.

  4. Seguo da anni Luciano Domenighini e devo dire che lo trovo non bravo, ma straordinario. Non c’è volta che io non mi stupisca di fronte alla sua freschezza, alla sua poesia, pura e lucida come un diamante e come un diamante sfaccettata sì che tu leggi pochi versi e ti si apre un mondo di colori, di emozioni, di immagini come la fanciulla corvina, leggiadria di giovinezza che appena sfiora la polvere dello stradale , e di riflessioni su questo mondo privo di armonia, babele che non conosce comprensione e fratellanza e che ci condanna alla solitudine. Domenighini ha il dono di saper dire con ” poco” cose che altri non riescono a dire con molto ed è per questo che io, che a volte mi trovo sgomenta anche di fronte a testi che mi piacciono perchè non saprei che altro dire se non ” sì, mi piace…è bello”, quando leggo lui so sempre cosa dire perchè è un poeta che ha la chiave del mio cuore e della mia mente . La sintesi è il suo punto di forza, e una metrica superba nella quale ogni verso si fa guscio di ostrica per la perla del messaggio.

  5. Non è facile scrivere poesia, esprimere in pochi versi sensazioni, smarrimenti, dubbi, false certezze, sentimenti. La invidio, egregio poeta, perchè io, per svariati motivi, non sarei mai in grado di scrivere in rima e me ne astengo. Unicuique suum. Fortunatamente il mondo è ancor più vario per tutti coloro che credono in ciò a cui sono destinati.
    Ho apprezzato particolarmente “Souvenir de jeunesse”.
    Auguri sinceri per i suoi nuovi progetti e ad maiora.

    1. “Souvenir de jeunesse”, Giannicola, è una coppia di quartine dimetriche di tre quinari e un settenario ( 5A,5A,7B,5C) speculari sia nelle misure sillabiche, che nel ritmo, che nelle rime.
      Nel terzo verso di ciascuna strofa compare anche una rima interna ( “assolata-indelibata”).

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