LIDO PACCIARDI
ALCUNE POESIE
*
Notte d’inverno
Notte d’inverno al ciglio della strada.
Nel freddo vento trema e si raduna
un gregge d’ombre, lieve.
Incerta e rada,
bruca la luna.
Per ogni filo d’erba una pupilla
che l’umidore della notte accende;
vive d’un lampo breve:
una scintilla
trema e risplende.
Nella deserta piana vanno muti,
senza una voce, i fiumi verso il mare
nel sentore di neve;
anni perduti
d’un trapassare.
Fui pastore di sogni alle mie notti
quando le dolci fronde avevo accanto.
Ora mi resta, greve,
degli anni rotti,
il vuoto e il pianto.
*
Noi sedevamo insieme
(Da una idea di Heinrich Heine, con integrazione mia.)
Noi sedevamo insieme, dolcemente,
dentro leggera barca abbandonati.
in seno della notte alta e silente
su sconfinati flutti trasportati.
Bella e velata, nel chiaror lunare,
l’Isola degli Spiriti apparia;
la nebbia intorno a noi parea danzare
al suono d’una strana melodia.
Ombre lente movevansi frusciando
accanto l’una all’altra, incatenate,
mute, dolenti, a noi solo accennando,
larve all’eterno ignoto condannate.
Poi tutto tacque; solo forme erranti
nella livida bruma a galleggiare.
All’isola passammo noi davanti,
senza speranza, all’infinito mare.
*
Già cammina la sera
Già cammina la sera in trine d’ombre,
con solinga dolcezza d’eremita,
in incerti tremori di penombre
nel notturno riposo della vita.
Rifioriscono d’erba le colline,
l’ultimo lume perde il suo colore,
in un immenso oscuro senza fine
tace spossato il fremito del fiore.
Anche lo stanco cuore si riposa
chiudendosi a un estremo brividore;
col respiro appassito di ogni cosa
tutto s’acqueta, si assopisce e muore.
Il mio spirito veglia e attende l’alba,
aria di primavera e fruscio d’ali,
ghirlande nell’argento di vitalba,
iridescenze pallide di opali.
Ritroverò più belle le radiose
solitarie memorie e i lor segreti,
preziose coglierò le ultime rose
canine, tra le rade erbe dei greti.
*
Senza memoria…
(Sonetto con variazione di rima)
Voglio restare incognito, operare
da solo, nel silenzio, sconosciuto;
ti prego ancora, allor, non mi chiamare,
come se nessun nome avessi avuto.
Non voglio che la vita mi ravvisi,
voglio passare come onda di vento,
un effimero volto tra altri visi,
una lacrima persa, un cuore spento.
Il mio tempo da tanto è consumato;
sono stato segnato già abbastanza:
giudicato, punito, condannato.
Voglio morir con l’ultimo peccato,
senza perdono, qui, nella mia stanza,
senza memoria ormai, dimenticato.
*
Sera
Affiocano le strade nella sera
e sui balconi sfumano i gerani,
s’indesertano i poggi ed una schiera
passa belante, all’uggiolio dei cani.
Lento sulla pianura il cielo annera
mentre si perde il suono dei campani
che cercano le stalle; tutt’intera
cade la quiete all’opra di domani.
Alle case si chiudono le porte,
una campana annuncia già la notte
nella dolce agonia dell’ultim’ora.
Brillano le finestre ora risorte,
migrano stelle in alto a frotte a frotte
dentro un’eternità che trascolora.
*
Dalla finestra
(Stella cadente.)
Ombre assopite, stanche
mentre la notte viene;
le prime stelle bianche,
pupille di sirene.
Entra dalla finestra ch’è dischiusa,
scendendo giù dal poggio un dolce vento,
il respiro del tempo fa le fusa
al lontano sopir del firmamento.
Io guardo, osservo e sento
venir dal bosco in fiore
un bubolio, lamento
della luce che muore.
Poi d’improvviso ai vetri si presenta
la traccia di brillanti che su appare;
un lampo la consuma, ed è già spenta.
Tutto vive d’un attimo, e scompare.
16 risposte
In questo tempo per me un poco più difficile (gli anni si fanno sentire di più e la quasi immobilità è una condanna…), ti ringrazio, caro Pasquale, per la tua attenzione verso queste semplici liriche, che mi riportano a stagioni meno ostili, quando il vigore e l’entusiasmo della giovinezza mi facevano leggere, con cuore più puro e sgombro, le cangianti pagine di una natura che mi ha sempre trovato accanto. Restano i tanti ricordi di profumi e colori lontani… Grazie ancora.
Nessun ringraziamento, caro Lido. “Glosse alla vita” propone poesia, in tutte le forme. Meglio se profonda, sentita e vissuta intensamente come la tua.
Permettimi… un caro saluto, allora.
Fantastico Lido, delle tue poesie non mi meraviglia la forma – sempre estremamente perfetta- che è senz’altro un valore aggiunto, ma quel tuo verseggiare sereno anche quando affronti temi non lieti nel rassegnato arrenderti alla volontà celeste. Il tutto accompagnato dal susseguirsi inesausto di immagini non scontate che fanno dei tuoi testi dei veri gioiellini.
Cara Carla, ti ringrazio per la tua benevolenza. Avendo vissuto libero e spensierato (anche troppo…), fin da bambino, tra boschi, campi e lungo il fiume, ed un poco più avanti avendo passato tante notti sulle scogliere di Livorno a pescare, mi sono rimaste dentro sensazioni ed impressioni che mi hanno… condizionato. Rimpiango quel tempo e ne godo ancora il ricordo. Grazie di cuore.
Sono tutte belle, Lido, ma l’ultima,
“Dalla finestra”, è la più bella.
Endecasillabi e settenari eccellenti, per una descrittivita’ di assoluta purezza, lucida, sospesa, che intercetta e dilata il tempo.
Quando scrivi così, Lido, ci metti tutti in fila.
Caro Luciano,
il tuo giudizio mi è particolarmente caro, poiché la mia stima – come ben sai – per le tue perfette “quartine” é grande. Ti ringrazio di cuore.
Conosco non dico tutte, ma molte delle poesie di Lido Pacciardi come se fossero mie e direi che parecchie le amo come se fossero mie per averle tenute ” a battesimo” quando le leggevo e rileggevo per scrivere una prefazione. Indegna di tanto artista, questo lo so, ma sicuramente onesta e scritta col cuore perché Lido è un poeta vero, è uno che scrive con l’anima. La natura nei suoi versi non è mai un quadro distaccato, ma è sempre vista con gli occhi del cuore, con quell’amore che si percepisce in chi non scrive di boschi e di prati perché ” i poeti lo fanno”, ma perché la forza della natura, la sua immensa potenza e fragilità lo coinvolge, lo attanaglia, e questo lo può capire solo chi sente e pensa alla stessa maniera. Stupendo in Pacciardi il canto del ricordo, della nostalgia, dell’amore e del rimpianto per il tempo perduto, per le cose svanite. Pacciardi non è poeta di cui si possa dire poco o molto , è uno di quei poeti che si vivono, si sentono dentro di noi e nemmeno si sa bene cosa dire di loro perché sarebbe come voler spiegare cos’è la forza della vita, della speranza, della natura, dell’essere uomini. I poeti come Lido più che commentare…si vivono. E si vivono senza parole.
Cara Lidia,
a parte la stima che ho per te come donna e come poetessa e scrittrice, questo tuo commento mi tocca nel profondo perché ti conosco diretta e sincera. Anche troppo…
Quindi un carissimo saluto e un grandissimo grazie. Non ti dico altro.
Non occorrono parole fra noi, Lido…come diceva Ollio a Stallio…io con te mi sento come ” due piselli nello stesso baccello” : -D
Nelle poesie qui raccolte l’animo del poeta si specchia nel “lamento della luce che muore”, lamento associato in maniera più appropriata al bubolio, al verso dell’animale che per la sua esperienza a vivere la notte ha imparato a guardarla serenamente, per quel che rappresenta. I versi non trasmettono tensione, né rassegnazione. Al contrario, vi si scorgono immagini di una dolcezza disarmante, capaci di illuminare anche la notte più scura. Il poeta non si limita a subire la notte come evento inevitabile, egli la vive, così come vive il fluire degli anni.
In un periodo storico così scuro come quello che stiamo vivendo, la poesia di Lido mi risulta fresca e lenitiva. Grazie.
Cara Assunta, il tuo bel commento illustra bene il sentimento che ho tentato di trasmettere con questi miei versi. Mi fa estremamente piacere che tu lo abbia così chiaramente avvertito. Grazie di cuore.
Il bello di questo blog è che io – essendo io alquanto ignorantella- imparo parole che non conoscevo delle quali poi faccio sfoggio nei miei testi. Questo “bubolio” l’avevo preso per un refuso invece poi ho visto che il termine è stato usato ancora da coloro che ne sanno più di me. Che cosa è? Una forma arcaica di bubbolio o una licenza poetica? Per anni ho cercato caspo nei dizionari – in casa si diceva un caspo di insalata – mentre trovavo solo cespo. Ora molto recentemente ho rinvenuto sul vocabolario della Crusca che con lo stesso significato si possono usare i termini caspo, cespo e cesto, che non è il recipiente con cui si raccoglie la frutta, restituendo dignità al lessico familiare.
Perdonami, Lido, ma ho avuto spesso crisi di tal genere alcune come vedi durate per molto tempo. E’ che io sono un’insicura, so poche regole di italiano approfittando del fatto che i miei lo conoscevano molto bene e chiedendo lumi – quando ero incerta – ai famigliari. Risultato: conoscenza molto lacunosa della lingua.
Cara Carla, sai molto bene la lingua nostra.
Sei troppo modesta, ma la conosci molto bene. Lo dico per esperienza delle tue liriche a cui ho avuto l’onore di una presentazione. Qui bubolio (da bubolare, più che bubbolare…) è il verso del gufo, la voce della notte e dei boschi con quel suo uh… uh… che si diffonde intorno, senza una precisa origine. Un verso antico, ancestrale, direi, pregno di significati oscuri. La voce del volatile si diffonde inrorno e riempie di sè il buio e l’animo di chi ascolta. Un tempo remoto che ci parla, un oracolo piumato, un lamento perduto e insistente al tempo stesso. L’ho udito molte volte, potente e ripetuto se vicino. Echeggiante e sfumato se lontano, ma sempre suggestivo e inquietante.
Grazie Lido, ho imparato un termine nuovo “bubolare” che deriva dal nome del Gufo Reale “Bubo Bubo”. Ho sempre avuto solo dizionari scolastici ossia incompleti che spesso non mi tolgono le mie curiosità anche perché l’etimologia delle parole è una materia che mi piace moltissimo. Grazie ancora non solo della precisazione linguistica ma della poetica interpretazione della stessa.
Grazie a te, Carla per il tuo cortese interessamento. Un caro saluto.