Eloisa Ticozzi, Alcune poesie

ELOISA TICOZZI

 

Eloisa Ticozzi è nata a Milano nel dicembre del 1984. Si è laureata in Medicina e chirurgia all’Università Statale di Milano (sede Ospedale Sacco). Ha ottenuto dei riconoscimenti letterari in alcuni concorsi: tra i più importanti, Premio Lorenzo Montano, Internazionale Indipendente, Pomezia. Finalista nel 2022 e 2023 al Premio Carrera. Ha pubblicato Figli segreti, Kolibris, Ferrara, 2019; Simili e dissimili, Oedipus, Salerno, 2021; La cura dell’Infinito, Il Convivio, Castiglione di Sicilia, 2022;  L’albero dell’infanzia, Il Convivio, Castiglione di Sicilia, 2023;  La resistenza,  Il Leggio, Chioggia, 2023. Sue poesie sono apparse su riviste on line e su e-book.

*

Tre  inediti da  “Nell’esilio la civetta

 

LA CIVETTA VIVE

La civetta vive di notte
l’istinto le penetra gli occhi indomabili,
il becco minuto ma uncinato raccolto al centro del capo,
gli artigli preparati alla caccia
-uccide per nutrirsi, il suo spirito puro non trae
piacere dal dolore altrui-,
percepisce i defunti che vociferano passato,
nell’aria sprofonda i suoi pensieri,
partecipa al ritmo musicale espresso nei movimenti
-il dinamismo è delirio del corpo, coordinazione fra mente e materia-,

è animale silenzioso,
il sangue caldo scaldato dalla mente agli artigli
-il fuoco della creazione si è ripartito in diversi arti prensili
di animale-,

preannuncia la precoce comparsa degli spiriti
e dei defunti senza occhi –ma la loro vista è infinita,
potenza che sembra provenire da un’unica fonte-,

nella metamorfosi della sera in notte
è creazione sostentata solamente dalla vivacità del suo sguardo.

*

LA CHIESA

La chiesa non è luogo fisico
ma è ripostiglio dell’anima, delicata e commovente
amicizia col corpo,

sappiamo di appartenere alla natura, ai suoi cicli, alla creazione
autentica -l’acqua è dinamica senza l’impurità del sangue-,
la spiritualità è morale mai appresa,

sollecitudine per migliorarsi,
fatica intima senza la civiltà e le leggi,
interiorità ricercata nel tempo con dolore.

In realtà la luce non mi ha mai penetrata, rimanendo lontano pertugio,
ma l’oscurità ha plasmato la mia personalità,
le mie mani nomadi e senza meta, rimaste infantili,
stringono ancora l’aria con i pugni come per appropriarsene.

*

IL TRAPASSO

La morte è sangue che si estingue,
è suicidio di se stessi,
le mani pendolano giù dal corpo,
il capo senza traiettoria non segue la linea,
le orecchie non fischiano più, non c’è alcun acufene..

Spero nel mondo supremo e giusto di Dio,
del suo perno fondatore,
del suo unico occhio sensibile,

quando morirò vorrò tanti fiori sparsi,
cielo terso e sereno,
aspetterò la notte per ritornare all’universo,
sarò silenziosa, i piedi leggeri, la testa eretta
come grano rigoglioso, la mia profondità
immersa negli altri,
-le nostre ossa ci verranno restituite,
gli occhi e la carne si ammanteranno del trapasso -.

**

LA NOTTE GIUNGE A ME

La notte giunge a me frammentata
inserisce ombre negli angoli
immobilizza gli oggetti nel silenzio
si rende presenza curiosa,

di notte il mio corpo riposa nelle litanie dei sogni
fuori dalle cerimonie della strada,

e la mia anima si riassesta
nella verginità di un’idea.

La notte assomiglia al lampo che fa esplodere
la luce rarefatta e inconscia
come una timidezza appartata che straripa
i suoi angoli.

*

(Una poesia giovanile)

Bicchiere stracolmo d’acqua,
che brilli di luce,
fra mille molecole si nasconde un oceano.
Scaturiscono da te mille gocce
che si uniscono per essere un tutt’uno.
Ti fai aspettare con trepidazione dai disperati assetati
che da te vogliono essere consolati.

Eloisa Ticozzi

 

 

DICONO DI LEI

La poesia di Eloisa Ticozzi è carica di forza e di intelligenza, è un’elegia tragica che a tratti lascia senza fiato. (Luciano Domenighini)

Nasce dal buio e non dalla luce la poesia di Eloisa Ticozzi. E da lì si dipana un discorso versificatorio originale, intenso e fuori dagli schemi in voga. (David La Mantia)

In tutte queste poesie è ricorrente, anzi ne rappresenta l’elemento più importante, il motivo della morte, il senso di una precarietà dell’esistere che essa stessa si fa vita, consapevolezza, contrasto, disagio. Eppure non vi trovo disperazione, non v’è quel senso di distruzione ed annientamento che in genere si riscontra in altri poeti. (Lido Pacciardi)

È una poesia che affascina, che pesca nel profondo. (Lidia Guerrieri)

Poesia di osservazione della vita e di scavo interiore, a volte descrittiva o meditativa, resa con immagini  spesso singolari, inedite e significative, anche per efficaci scelte verbali. (Pasquale Balestriere )

***

 

 

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10 risposte

  1. La civetta, l’uccello sacro ad Athena glaucopide – come la chiama Omero – la dea della saggezza, della riflessione interiore, dagli occhi scrutanti nel buio, che vede al di là. Al di là perfino del confine della vita e del tempo. Animale totemico e mitico, antichissimo, annunciatore di eventi e abitatore della notte, contiguo ai morti e alle sepolture nella tradizione popolare, custode del passato. In questa poesia sento tutto questo. Un’eco antica che rimanda a sensazioni primigenie incancellabili. Belle anche le altre.

    1. Per la mia esigua cultura, sapevo che la civetta era cara alla dea Atena, nel mondo greco antico. Per il resto ho cercato d’immedesimarmi in questo animale così inquietante ma affascinante. Ho sempre pensato, nella mia fantasia, che gli animali notturni percepissero qualcosa d’invisibile. Ma è solo una mia teoria. Penso così anche di tutti gli animali, avendo questi una percezione dei cicli naturali, molto diversa dalla nostra. Noi viviamo nelle città, siamo esseri più razionali; gli animali sono più disinibiti in certi aspetti, più spontanei, meno costruiti da regole. Arrivederci

  2. Ho detto bene tempo fa sulla poesia di Eloisa e ribadisco il giudizio riguardo allo spirito e ai contenuti.
    Non posso però tacere qualche riserva sulla veste formale di questi testi, la cui versificazione appare non solo casuale ma anche lontana da una qualsivoglia linea prosodica.
    Tutti quei nessi sintattici a fine verso ( articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni) che lo lasciano lì, incompiuto, inespresso, come mutilato, non riesco proprio a mandarli giù….

    1. Sì, la mia tecnica non è perfetta e lascia molte lacune. Il verso mutilato esprime forse il mio modo d’essere/di vita e il mio carattere, anche loro “mutilati” di qualcosa, chissà, forse a livello inconscio. Arrivederci

      1. Come molti poeti di oggigiorno, Eloisa, nei tuoi testi poetici tu adotti una veste formale eterodossa, che sembra volersi allontanare dai vincoli imposti dalla versificazione di tradizione. L’impiego molto disinvolto del verseggiare polimetrico, dell’inarcatura e anche della punteggiatura ne sono una prova. Tu mi dici che questa è una scelta deliberata, me ne spieghi le motivazioni e io ti credo.
        Sia come sia, adesso permettimi di rinnovarti i miei complimenti per la chiarezza e la profondità di certi passaggi. Una che scrive versi come quelli che seguono ha del talento autentico:

        “…..
        di notte il mio corpo riposa nelle litanie dei sogni
        fuori dalle cerimonie della strada,

        e la mia anima si riassesta
        nella verginità di un’idea.
        ….”

  3. Nella poesia di Eloisa Ticozzi non vi è l’intento solito di leggere oltre il presente e di intravedere l’evolversi delle situazioni. In lei, piuttosto, si scorge il desiderio di stringersi a ciò che osserva per coglierne tutta l’essenza. L’espediente probabilmente serve a restituirla autentica, così come la respira. È come se ella stessa divenisse molecola dell’oggetto o soggetto di studio. Altre volte invece, come in CHIESA, è quest’ultima a ridursi, a farsi ripostiglio dell’anima, proprio a voler dire quanto sia grande l’universo che si espande oltre il visibile. Non conta quale sia il punto di osservazione, conta la capacità di immedesimarsi purché si arrivi al cuore, anche a costo di rischiare che il lettore, talvolta, ne resti disorientato.

    1. Per un mio errore è sparita la risposta di Eloisa ad Assunta. La riporto di seguito.
      “è proprio così carissima, intendendo per “chiesa” la parola, il contenuto e il luogo sacri e inviolabili dell’anima; non mi riferisco solo quindi al luogo fisico in Sé. La chiesa è quell’attitudine/predisposizione grazie alla quale possiamo “dialogare” o meditare con un ente Assoluto (per chi ci crede) o anche con noi stessi.”

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