Narratori: Mario Tobino, Biondo era e bello

 

MARIO TOBINO

Biondo era e bello     

È una biografia di Dante un po’ particolare, perché oscilla tra  romanzo e saggio, storia e geografia di un’Italia  a cavallo tra gli ultimi decenni del Duecento e i primi del Trecento.  Ventisei capitoli, preceduti da una rubrica riassuntiva, scritta in corsivo. (P. B. )

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  Capitolo    I

(incipit)

-Nasce a Firenze nel maggio 1265. – Adolescente è colpito d’amore per una fanciullina della sua età.  -Prende contezza del  volgare. Sua amicizia con Cavalcanti. -Va all’Università di Bologna.
-Primi successi. – Si affaccia all’età adulta.

*

Il giovanetto prendeva convinzione di sé. In casa non aveva nutrimento di affetti. Il padre era usuraio, che a quel tempo non era un mestiere losco. Dante tenne il genitore sempre ignoto. Lui che ha confessato in tanti versi le viscere della sua vita, del padre neppure poche sillabe. Il vecchio Alighieri badava al suo negozio, amministrava i beni, riscuoteva gli affitti. Del figlio non aveva cura.
Nessuno in casa, al di fuori della sorella maggiore, avvertì lo straordinario destino. La madre era morta che lui era bambino.

L’unico profondo affetto nella sua infanzia fu per quella sorella. Una volta successe che Dante si ammalò, la febbre toccò le corde dell’immaginazione, tradusse i rapimenti, le fiamme. E poiché già a quel tempo di adolescente, acuta la critica lo accompagnava, avvertì che era per tradire il segreto di Beatrice, comunicare quel furente amore che la poesia non aveva ancora tramutato in purezza.
Addolorata e materna, testimone di quella esaltazione, la sorella maggiore gli si avvicinò, gentile di pietà, a sostituire la madre. Avvinta e preoccupata, chiamò le vicine di casa. Tutte furono turbate da quegli accenti che mancavano soltanto dell’invocazione a un preciso nome.
Al di fuori di questa sorella non ebbe Dante tepori familiari.
Nella sua casa in mezzo a Firenze, benché suo padre avesse preso una seconda moglie e da questa avesse avuto figli, per sé possedeva una stanzetta e questa fu testimone delle sue prime visioni; fulva fiera in una gabbia, il futuro davanti, una misteriosa ansia che invece di fiaccarlo lo faceva agile. Le parole gli uscivano schiette, avvertiva che doveva arricchirle. Continuava a praticare la musica e il disegno.
Un giorno gli zampillò dal cuore, nessuno gli aveva insegnato -liberato da un dio – il primo verso, volò via come dalla crisalide una farfalla.
La stanzetta solitaria, quelle modeste pareti assistettero al vento dei pollini che poi proruppero in piante. In quella stanzetta, unico rifugio concesso, unica sua proprietà, si ritirava, percosso d’amore, per rivivere gli attimi dell’incontro.
Aveva già udito qualche racconto di feroci scene fiorentine, quando il popolo andava alle case degli sbanditi e disfaceva, rubava, macchiava di sangue le panche di casa. I fiorentini narravano le storie con una lingua che si prestava alla denuncia di ogni peccato, pugnalava le cupidigie, le brame, diveniva diafana allorché si avvicinava ai nobili sentimenti. I fiorentini, prima di rendere correnti le parole, le spurgavano come si fa per le lumache con la farina bianca.
Dante nella cameretta si provava a ripetere quelle parole, le scoccava, le assommava, intrecciava, avviluppava, e aveva i primi ripensamenti. Era un giovanetto tra le pareti di una stanza, ignoto a tutti, anche a quelli di casa. Solo quella volta della febbre, quando parole d’amore gli uscivano come da calde sorgenti, ebbe sopra di sé i volti delle donne intente ad ascoltare.
Benedette pareti! Nella prima età tutto si prepara. All’inizio dell’inverno il campo riceve il seme.
Ognuno ha la propria fortuna, ognuno è costretto a fare i conti con la sua situazione. Chi nasce in Germania, chi nel Mississippi, chi è graziosamente di Cartesio. Dante nacque a Firenze mentre questa stava preparando le condizioni perché germogliassero gli ingegni più grandi e al figlio preferito, a Dante Alighieri, impose il massimo compito: che rendesse eterna la lingua di Firenze, un linguaggio per tutta l’Italia, il volgare, non il latino, non la rotondezza degli avvocati, ma il genio che lampeggiava per le strade, nelle bettole, sillabato dagli artigiani, fiorito dai beccai, reso secco dagli stipettai, gonfiato dai tappezzieri, “il volgare”, quello che gli amanti sospiravano durante gli abbandoni.
Dante ebbe credenza nel suo solitario monologare, le visioni da lui generate divennero anche leggi. (…)

Capitolo XXVI

(explicit)

-Di nuovo il mestieraccio. Un’altra ambasceria.
-A Venezia.
-L’abbazia di Pomposa.
-Muore. Mai ci fu un volto così bello.

*

(…) I familiari si sono accorti che è per morire. Stranamente il suo viso aveva ripreso i tratti giovanili.
Riconosce il francescano chiamato in fretta; già c’è l’accordo che lo seppelliranno nella vicina chiesa di San Francesco. Intravede Guido Novello, il notaio, i giovani volti di allievi Non esiste più alcun nemico, nessun avversario. Quante bambinesche giravolte fa l’Arno prima di arrivare a Firenze; deve spedire a Can Grande gli ultimi canti del Paradiso. Finalmente la pace. Neri e Bianchi sono laggiù, pallidi. Per un attimo grandeggia Giano della Bella.
La figlia suor Beatrice accomoda le lenzuola. Ora Guido Novello gli sorride. Che dolce sonno. L’accoglienza di San Francesco.
« Non respira più» piange sommessamente la figlia.
Mai ci fu volto così bello, insieme alla morte.
Era la notte tra il 14 e il 15 settembre 1321.

Mario Tobino
da Biondo era e bello , Oscar Mondadori, A. Mondadori Editore, Milano, 1990 (I ed. 1974)

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Mario Tobino  (Viareggio 1910 – Agrigento 1991), poeta e scrittore, in particolare romanziere. Laureato in medicina, ha svolto con grande passione l’attività di psichiatra, esperienza che si riflette ampiamente nella sua narrativa. Ha partecipato al secondo conflitto mondiale e poi alla resistenza. Anche di questi eventi dà testimonianza nelle sue molte opere, non di rado percorse da venature autobiografiche.

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PERCHÉ QUEL TITOLO?

Mi ha sempre incuriosito il titolo di quest’opera che, come si sa,  è  in effetti il primo emistichio del verso  107 del terzo canto del Purgatorio e che, in quel contesto, è riferito al re Manfredi, figlio naturale di Federico II, lo Stupor mundi, e di Bianca Lancia, morto combattendo contro Carlo d’Angiò presso Benevento. Bello era Manfredi, e biondo: nobile, colto e valoroso; e anche poeta della Scuola Siciliana. Ma perché Tobino ha intitolato questo libro che tratta della vicenda umana di Dante con una definizione quasi entusiastica che lo stesso Dante aveva usato per Manfredi?  Dante era dunque  “biondo”  e “bello”? Non sembra. Per quel che si sa, Dante era bruno e non certamente un Adone, con quella faccia lunga e il naso aquilino, almeno stando alla descrizione che ce ne viene da Boccaccio. Eppure, in questa biografia, ci sono almeno 5/6 occorrenze dell’aggettivo “bello” riferito a Dante. Perché? Forse la risposta è nella penultima frase del romanzo, che probabilmente suggerisce a Mario Tobino anche il titolo di questo suo romanzo: “Mai ci fu volto così bello, insieme alla morte”.  E nella scelta del titolo c’è il filo, neppure tanto sottile, dell’analogia che lega Dante al suo Manfredi per alcune consonanze: la bellezza del nobile Manfredi è, certo, soprattutto fisica, ma anche culturale, trattandosi di un poeta della Scuola siciliana; la bellezza di Dante, oltre che culturale,  è fatta di nobiltà interiore, di puri sentimenti, di elevatezza spirituale; e poi sono entrambi, sia pure a qualche distanza temporale, propugnatori  di un’idea ghibellina e almeno antipapale; ed entrambi poeti, spiriti sensibili; e, infine, entrambi belli “di fama e di sventura”, per dirla con Foscolo, se uno finisce nel fulgore della giovinezza e l’altro vive esule e quasi strappato alla vita. Per restare a Dante, la sua bellezza è costituita da una somma di valori e di pregi (oratore, politico, ambasciatore, combattente, studioso, scrittore, poeta, “filosofo” e amante della giustizia) che lo rendono unico per eminenza morale e quasi lo circonfondono di sacralità, conferendogli, nella visione di Tobino, bellezza fisica soprattutto nella distesa pace della morte.( Pasquale Balestriere)

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2 risposte

  1. Me lo immagino, il giovane Dante, chiuso nella sua stanzetta, chino allo scrittoio, con la penna d’oca, a trasporre sulla carta quei primi versi che gli zampillarono dal cuore, ad inventare, plasmare una “lingua nuova”, mutuata dai vari attori e mestieri della sua Firenze, che divverrà il nostro Italiano, ricchissimo di espressività e di vita, sostituendo la paludata, sovrabbondante, stucchevole abbondanza di un latino gonfiato e debordante. A immaginare parole nuove, pennellate di un affresco sublime e complesso, che spazia in ogni campo: dalla scienza del tempo alla teologia, dalla filosofia alla storia, dalla psicologia anche, fino a toccare tutte le verità e i misteri del nostro vivere.
    Me lo immagino, il giovane Dante, ancora col cuore di bambino, custode dell’immagine e del sentimento di una fanciulla adorata e distante, ma presente musa di ogno suo impeto creativo e poetico.
    C’è qualcosa che va oltre, molto oltre una semplice tensione amorosa, una infatuazione della prima età. C’è l’energia che promana dagli spiriti eletti, dagli spiriti grandi, che scelgono un modello morale a cui attenersi e fanno da questo, per questo e in nome di questo discendere la loro forza creativa.
    Me lo immagino, Dante, impegnato sulle “sudate carte”, prigione e autore del proprio destino, a iniziare a scrivere in questa bella e nuova lingua, il “poema” più bello del mondo, di ogni luogo e tempo: la Commedia, non a caso definita Divina.
    La penna di Tobino ce ne ha reso un racconto romanzato, ma non per questo sminuito di interesse. Da psicologo qual era ha cercato di immaginare cosa potesse provare quel cuore, quali tensioni, timori, dubbi abbiano percorso il lungo peregrinare, la ricerca di affetti mancati, il bisogno di costruire un monumento imperituro di grandezza letteraria e non solo.
    E mi immagino quanta sofferenza il nobile spirito del Sommo Poeta abbia attraversato, quali deserti di incomprensioni, delusioni; quali sconvolgimenti la sua ferma moralità, la sua sete di giustizia abbiano dovuto sopportare.
    E allora la bellezza del suo volto – non proprio bello – nell’ora della morte, si veste del biondo di un sole che gli rende omaggio e da questo traspare, al di là delle forma del naso, della bocca, degli occhi, lo splendore incorrotto ed eterno dell’anima sua.
    Ha navigato e attraversato l’oceano della “parola”, ha domato creste di altissime onde e, nuovo Ulisse, ha saputo alzare e dirigere i remi della sua barca, della sua anima, ad un eterno “folle volo”. Gloria a lui.

  2. Credo che per molti di noi l’aspetto di Dante sia legato al dipinto di Sandro Botticelli che lo ritrae di profilo mettendo in evidenza un viso dall’espressione arcigna e con un naso aquilino di tutto rispetto. L’unica ciocca di capelli che si intravede è di un castano scuro. Ci sono altre immagini di Dante con caratteristiche meno pronunciate e che forse lo fanno più attraente ma che fosse bello è un po’ azzardato crederlo.
    A parte che il concetto di bellezza è molto personale e varia con il tempo. Ci sono tribù africane che impongono alle donne – le così dette donne giraffa – di mettere al collo molti anelli di metallo per farlo sembrare più lungo – pare però che non sia il collo ad allungarsi ma le spalle a cedere sotto il peso dei pesanti ornamenti – mentre per altre etnie canone di bellezza indispensabile è il piattello applicato al labbro inferiore delle povere disgraziate. In Mauritania invece bello vuol dire grasso e le donne sono costrette ad abbuffarsi fino alla nausea per raggiungere il risultato voluto. Lasciando da parte questi eccessi il concetto di bello si lega spesso a quello di raro, di meno frequente. In epoca di carestia sono belle le donne giunoniche. viceversa in epoca di abbondanza sono belle le donne grissino. Anche il biondo è legato al concetto di rarità essendo la combinazione di due caratteri recessivi, la qual cosa avviene meno spesso in natura.
    Qui Tobino penso abbia voluto evidenziare, nell’aspetto esteriore, le caratteristiche intrinseche di un uomo eccezionale quale era Dante.
    Tuttavia di questa pagina del blog, quello che ho apprezzato di più è l’intervento del Padrone di casa.

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