LIDO PACCIARDI
Nasce a Pisa, il 29/04/1940.
Diploma di Capitano di Lungo Corso all’Istituto Nautico A. Cappellini di Livorno.
Laurea in Fisica all’Università degli Studi di Pisa.
Ricercatore presso il C.A.M.E.N., al Centro Nucleare del Ministero della Difesa di San Piero a Grado, Pisa.
Appassionato di paleontologia e preistoria del territorio di Collesalvetti, amante appassionato della natura e della campagna, scrive su riviste d’Arte e si occupa dell’opera di pittura e scultura dello zio Anchise Picchi (1911-2007). Da diversi anni si dedica alla poesia in rima, memore degli insegnamenti del padre Ferdinando, cantore di ottave toscane all’impronta, con la pubblicazione di oltre 20 libri.
Ha pubblicato presso i tipi di Bandecchi &Vivaldi, Pontedera – Pisa, la più completa raccolta delle favole esopiche (circa 700), con le facezie di Leonardo da Vinci.
Attualmente, a 84 anni, ha in preparazione di stampa l’ultimo volume di poesie “L’ultimo volo”, che dovrebbe giungere a compimento nei primi mesi del 2025.
*
Competizione
Ascolto il mare e sento la sua pena.
Onde su onde fremere, sospinte
da uno straniero vento sulla rena,
poi là inghiottite, imprigionate e vinte.
Odo il dolore di gabbiani e sento,
lo schioccare di vele al maestrale,
vedo trinite schiume a cento a cento
morire spente, giunte al litorale.
Frustici in aria, irate tamerici,
che allungano le chiome serpeggianti,
menadi urlanti cupe ed infelici,
antiche eternità fatte di istanti.
Una lotta la vita. Scontro eterno
di voleri, speranze, di bisogni.
Un fuggire costante dall’inferno,
un cercare la pace dentro i sogni.
*
Congedo
Silenziosi rossori di tramonti
accanto alla mia sera.
Quello che fu sta chiuso nei racconti.
Già tutto sfuma e annera.
L’ultima luce flebile, sui monti.
Fuggita la Fortuna,
resta il singhiozzo muto delle fonti.
Alta e fredda, la luna.
Rivedo la mia strada che cammina
lungo un brivido verde.
Discende al piano, sale alla collina,
ed al di là si perde.
Verrà il chiaro mattino che raccoglie
in erme lontananze
nebbie di sogni, chini sulle soglie
d’antiche rimembranze.
È questo aprile che mi fissa in viso,
e che mi spinge via.
Ha gli occhi illuminati da un sorriso.
Dolce malinconia.
L’ultimo sguardo al cielo. Un gregge bianco,
silente, che mi invita.
Mi chiama il vento. Sono troppo stanco.
Troppo ho corso la vita.
*
Fine della poesia
Adunche dita sono le radici
che restano aggrappate a te, lontana.
Ma odo quel che senti e quel che dici
in questa solitudine sovrana.
Ora l’anima stanca s’è posata
alla tua riva, insieme al tuo mistero.
Una conchiglia vuota, abbandonata
sullo scoglio di un mare immoto e nero.
Lieve con la risacca ancora viene
un’onda lunga che non sa morire,
quella tua voce che il mio cuore tiene,
quel tuo richiamo che non vuol finire.
– Dove sei, cosa fai? Ché… non rispondi?
Ritorna l’eco di consunti versi,
costretti dentro baratri di mondi,
dal tempo consumati e poi dispersi.
Ogni altra via che cerco m’è preclusa,
né mi consola un palpito di sole.
L’usata rima ormai cede, delusa,
voli non più, ed ali più non vuole.
Ma tu pronuba musa i miei lamenti
col tuo cuore congiungi e mi conforti.
La bufera che aduna tutti i venti
tu mi addolcisci, e il gemito dei morti.
Così tra voi rimango ombre smarrite
vividi affetti della gioventù.
Con voi divido il pianto, le ferite
di un tempo antico che non torna più.
*
L’asfodelo
Solitario, in giardino, un asfodelo,
in un angolo spoglio.
Elegante ed eretto sullo stelo,
cupo nel suo rigoglio.
La luna con un raggio lo accarezza
e lo riscalda, lieve;
ne addolcisce benigna la tristezza
coi suoi fiori di neve.
Per troppa luce chiude i suoi tesori,
aspettando la sera.
Nelle ultime ore libera i colori,
la sua bellezza intera.
Se la silente notte il cielo invita,
di lacrime si bagna,
pene che va a cercare ove la vita
è al dolore compagna.
Spesso lo osservo e penso al mio domani,
al futuro vicino,
agli ultimi orizzonti, al mio cammino
che non ho tra le mani.
Maggio è trascorso, i petali caduti,
proni in terra, contorti.
Presto sarò tra voi, fiori perduti,
sopra il prato dei morti.
*
La foglia
Mi ha parlato una foglia, dolcemente.
Dal natio ramo ha detto poche cose
di cui molti di noi non sanno niente:
quelle più sconosciute e misteriose.
Ho capito che lei conosce il vento,
la carezza del sole e la rugiada,
della nebbia il calare muto e lento
quando nasconde i bordi della strada.
Di autunno e primavera mi ha parlato,
del caldo dell’estate e il freddo inverno,
dell’azzurro del cielo e lo stellato,
del ritornare del suo giro eterno.
Mi ha detto di sapere il suo destino,
che presto se ne andrà sola e smarrita.
Io l’ho sentita uguale, a me vicino,
nella breve stagione della vita.
*
Resurrezione
Dischiuso ha un varco il sole
dentro l’anima mia.
Vi ha messo le parole
evanescenti della fantasia.
Le vergini frescure del mattino
ha posto, e una carezza.
S’è rivestito a un tratto il mio cammino
di luce e tenerezza.
Ho risentito, come da bambino,
cantare il firmamento;
gli ulivi contro il cielo cilestrino
raccontano una favola d’argento.
Hanno cinture sparse di rugiada
i campi seminati di frumento,
e m’invita la traccia della strada
a andare con il vento.
Mi condurrà, per mano, alla mia sera,
ad una grazia bionda,
là dove canterà la primavera
ricca di fiori, fertile, gioconda.
Se il mio volo nel cielo della vita
un’alba ancora avere non potrà
sarò come la rondine ferita
che al nido tornerà.
In questa nuova aurora che ho nel cuore
non sono, ora, più solo.
C’è chi ancora con me canta d’amore
e ruba nuove note all’usignolo.
Mi porto in petto un’anima più vera.
Vivo l’ora più bella.
Sull’incerto confine della sera
è rimasta una stella.
*
Vendemmia
S’accendono, al silenzio della luna,
di rugginosi pampini i vigneti
densi di gonfi grappoli. Disbruna
nell’alba il colle e mostra i suoi segreti.
Dalla pieve rimanda la campana
vibrante un’eco che discende e vola:
la voce del mattino che allontana
i pigri sogni e il nuovo dì consola.
Indugia ancora della nebbia il velo
che le tele dei ragni hanno rubato;
della sua notte stanco, l’asfodelo
il bel mantello chiude, vellutato.
Ogni albero si specchia nell’azzurro
con ogni fronda ricercando il sole;
tenero il vento; un tacito sussurro
move al piè delle querce le viole.
Nelle prim’ora vanno carri e canti
e vuoti tini attendono vogliosi
i cesti colmi d’uve, straripanti
dei lor divini grappoli preziosi.
È la sacra vendemmia che ritorna
dall’abisso del tempo e che ripete
se stessa ancora e che nuova s’adorna
di antichi gesti e formule segrete.
Quando finito il rito, le cantine
riposeranno nel tranquillo oblio
di un sogno mai svanito, senza fine,
che fu onorato e fu dono di un dio.
*
Verso la Badia di Collesalvetti
(Appena dopo l’alba. Bozzetto.)
Riporto in questi pochi versi alcune delle sensazioni provate nel salire di primissimo mattino, nell’ora sospesa che ancora non veste lo splendore del giorno, verso la Badia di Collesalvetti, lungo la salita e il viale, in alto, con le due file di vecchi cipressi. Per me è stato, fin da bambino, un luogo magico che mi ha sempre affascinato e dove ho trascorso tanto del mio tempo fanciullo.
Due file mute, in cresta alla collina,
di negromanti, nella luce scialba,
invitano a salire, alla mattina,
là dove il nido ha già lasciato l’alba.
Si mostrano gli ulivi ora splendenti,
nel loro argento pallido risorti,
ed i lunghi vigneti e le virenti
gialle ginestre e i chiari pioppi assorti.
Tutto è silenzio ancora. L’usignolo
gemme ha dismesso al suo notturno canto;
nella magia dell’ora vive solo,
fragile e breve, l’eco di un incanto.
L’avorio, prigioniero tra le fronde,
traluce e imbionda l’aria a poco a poco,
finché un tremore nasce e si confonde
d’ali irrequiete in ripetuto gioco.
È il segno infine. Tutto intorno addita,
ritorna e preme in un singulto d’oro
che ogni altra cosa a sorgere già invita,
ed ogni voce si ritrova in coro.
Tutto ferve dell’opre e dei rumori
nel nuovo giorno della fattoria.
Restano muti i monaci cantori,
vecchi cipressi là, verso Badia.
Lido Pacciardi
DICONO DI LUI
(Due accenni critici)
… i suoi versi sono chiari ma non elementari, perché il lessico s’infiora di espressioni preziose, vibrano suoni, squillano colori e tu vedi e senti e sei parte del “quadro”. La natura ha un peso notevole nella poesia di Pacciardi così come lo scorrere del tempo e tutt’e due i temi si intrecciano spesso con il rimpianto e con i tanti ricordi.
… difficilmente si susseguono ritmi uguali, più spesso si alternano incipit dattilici, giambici, anapestici e questo non è solo conoscere la metrica, questo è avere dentro, innato, il senso della musicalità. (Lidia Guerrieri).
… Lido Pacciardi attinge a una scrittura poetica pregevole, di alta qualità, ottenendo, come detto, quel punto di equilibrio formale, quella essenziale neutralità che è propria della poesia insieme ispirata e sapiente.
… L’impronta stilistica, gli andamenti ritmici, certo minimalismo miniaturistico, la mansuetudine del tono unita a una qual certa “voluttà della mestizia” e, infine, anche la tendenza a una verbalità pertinente e specificante, rimandano a Pascoli, riferimento letterario prediletto dal poeta toscano, anche se la dimensione psicologica, il colore e il clima affettivo ricordano piuttosto quelli della poesia crepuscolare. (Luciano Domenighini)
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9 risposte
Ringrazio di cuore l’amico Pasquale per la sua generosa ospitalità.
Caro Lido, che dire delle tue bellissime poesie sia per forma che per contenuto? Hanno già detto molto bene sia Lidia che Luciano. Da parte mia invidio la serenità che dimostri in tutte le tue liriche anche quelle più tristi. Io non ci riesco forse perché non soffro più della sindrome di Stoccolma che mi ha ottenebrato per tanti anni e vedo ora con lucidità un mio passato senza traguardi e reso estremamente aspro da chi invece mi avrebbe dovuto aiutare.
Si dice che “non bisogna piangere sul latte versato” ed io, che ho sempre dichiarato ripetutamente di non aver mai pianto di dolore ma sol per rabbia, spesso inveisco. E’ la sola consolazione che ho avuto dalla vita: “il diritto del mugugno”. A te invece vivissimi complimenti.
Carissima Carla, ti ringrazio. Ma ho avuto modo di conoscere le tue poesie e commentarle. Sono colme di pathos, di energia ribelle contro una condizione che hai avvertito ingiusta e limitativa. Ma… sono molto belle. Solo un animo nobile può esprimere
sentimenti di tale forza e inrtensità. Un grande grazie ancora e un caro saluto.
Lido Pacciardi è un grande. Come poeta e come uomo. Ho avuto il piacere di scrivere la prefazione a un suo libro e ho fatto meglio che ho potuto, ( di critica non so niente, a dire il vero non mi è mai piaciuta e non me ne sono mai interessata) , ma certamente con una passione sincera perché la poesia di Lido ti entra nell’anima. E’, per me, come uno specchio in cui ritrovo le mie sensazioni, i ricordi della nostra età giovanile, le riflessioni della nostra maturità, la speranza e lo sconforto nel guardarci intorno in questo mondo così bello e così ferito, e in cui risento il gemito dei deboli e degli oppressi. Rima o non rima, il verso di Lido è sempre musica limpida e calda, purissima. E’ la voce della campagna, dei nostri boschi fondi ed umidi, della nostra terra odorosa di nepitella e sole, del nostro mare mutevole e generoso, è la voce della bellezza e dell’armonia del mondo, ed il suo pianto per le ferite che la nostra scelleratezza gli infligge giorno dopo giorno…è l’armonia delle stagioni con la loro luce ed i loro colori… ed è la testimonianza del passare del tempo. A lui, per sempre, la mia ammirazione ed il mio affetto.
Cara Lidia, ti ringrazio sentitamente dal più profondo del cuore, anche se nutro più di un dubbio di meritare simili lodi. Una cosa, però, hai detto vera: la terra della nostra bella Toscana, dei nostri campi e delle nostre boscose colline, ha sempre condizionato il mio sentire, fin da quando, fanciullo, sparivo da casa per giornate intere, libero come una farfalla, che trascorrevo tra giuncaie e canneti e poi, più grandicello, nelle notti di luna, sulle scogliere livornesi, in azzardate imprese di pesca. Ne porto ancora qualche cicatrice (letteralmente…) nel fisico e un mucchio di tesori nell’anima. Grazie davvero.
…
Una lotta la vita. Scontro eterno
di voleri, speranze, di bisogni.
Un fuggire costante dall’inferno,
un cercare la pace dentro i sogni.”
Questa memorabile strofa esemplifica bene la forte valenza gnomica, motteggiante, di Lido, ovvero la capacità di riassumere, in pochi, scolpiti versi, messaggi dai vasti ed eterogenei significati.
Come ho già detto più volte, ridurre questo poeta semplicemente a un epigono di Pascoli
sarebbe ingiusto e restrittivo, anche perché dalla sua poesia emerge un vissuto più completo ed appagante rispetto a quello, per certi versi inespresso, del grande poeta romagnolo.
Caro Luciano,
grazie, grazie, grazie…
Sai quanto apprezzi le tue incisive, luminose quartine che regolarmente posti su FB. In quattro versi… un mondo. Il tuo positivo giudizio, come quello degli altri cari amici, è per me vivace e fecondo stimolo a cercare di far meglio. Grazie ancora e un caro saluto.
La poesia di Lido Pacciardi è scrigno aperto, invito a tastare il fondo e ad apprezzarne musicalità, ricercatezza dei termini, efficacia delle metafore, pulizia sintattica e luminosità dei significati. Tra tutte mi ha colpito in maniera particolare la poesia COMPETIZIONE per i riusciti accostamenti, forse perché anch’io da sempre attratta dal mare mi è capitato spesso di immedesimarmi nell’onda in balia del vento. Sarebbe bello poter leggere di questo autore qualcosa di meno recente, così da scoprire quali erano i colori delle altre sue stagioni, se erano già così sorprendentemente intense pur nella loro naturale armonia.
Cara Assunta,
anche per te la mia gratitudine per il bel commento. Sono ormai vecchio e molte ferite della gioventù si sono rivestite di una patina che ne ha attenuato di molto l’asprezza, fino a farle divenire preziose memorie. Ho avuto una giovinezza libera, a contatto diretto con la nautura e le sue innumerevoli manifestazioni. Ho inteso la vita come una “competizione” di volontà e di forze diverse, di connessioni, di interazioni tra le sue numerosissime e cangianti diversità. Questo per dire che ciò che scrivo non è altro che la traduzione sentimentale di ciò che ho provato e provo nei confronti del mistero della nostra esistenza e sull’ancora più grande mistero delle stelle. Grazie di nuovo e un caro saluto.