Narratori: Erri De Luca, Tu, Mio.

ERRI DE LUCA

 

Erri De Luca è nato a Napoli nel 1950.  Ha scritto molto in prosa, soprattutto narrativa,  e con grande qualità.

 

Da “TU, MIO”, incipit
( Universale Economica Feltrinelli, Milano 2002, V ed.)
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L’isola d’Ischia, con i suoi costumi e il suo mare, “contiene” il romanzo e la sua trama.

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Il pesce è pesce quando sta nella barca. È sbagliato gridare che l’hai preso quando ha solo abboccato e senti il suo peso ballare nella mano che regge la lenza. Il pesce è pesce solo quando è a bordo. Devi tirarlo all’aria dal fondo con una presa dolce e regolare, svelta e senza strappi. Altrimenti lo perdi. Non ti agitare quando lo senti sfuriare là sotto, che sembra chissà quanto grosso dalla forza che mette a sviscerarsi dall’amo e l’esca dal corpo.

Nicola mi ha insegnato a pescare. La barca non era sua, era di zio, il mio. Nicola l’usava durante l’anno, poi iniziava la buona stagione e allora faceva da marinaio a zio le domeniche, le ferie d’estate. Di notte pescava totani, specie di calamari, con le lampare per farne esca al morso dell’amo.

Preparava la barca è si partiva di mattina presto. L’isola era muta e scendendo scalzo alla marina un ragazzo poteva sentirsi liscio per la pietra sotto i piedi, profumato per il pane che gli sfiorava il naso dai forni, adulto perché andava sul mare verso il largo e le profondità a maneggiare un’arte. Gli altri ragazzi andavano al mare più tardi per le ragazze e i bagni, i ricchi avevano motoscafi e giravano in tondo sui legni lucenti e i motori pieni di cavalli.

La barca di zio aveva un diesel lento che scoppiettava sulla bonaccia dell’alba e faceva vibrare l’aria intorno e a me dava il solletico al naso per la durata del viaggio. Ci si sedeva sul bordo un po’ buttati in fuori, anche se il mare si metteva contro e sbatteva di prua. Nicola si metteva in piedi sulla poppa e governava la barra del timone con le caviglie. Era il suo mestiere, aveva piede, nessun’onda gli impacciava l’equilibrio. Chi sapeva stare dritto su una piccola barca che andava contro mare aveva piede. Io l’avevo e qualche volta sulla via del ritorno mi faceva reggere il timone, mentre zio dormiva e Nicola rimetteva la barca in ordine, puliva i pesci.

Non era bello che un ragazzo tenesse timone. Bisognava scegliere il verso all’onda e farla passare liscia sotto la chiglia, senza farla sbattere. La barca sente i colpi, il legno soffre. Ma se il mare era quieto e niente barche in vista, allora mi offrivo per il timone e Nicola sbrigava il suo resto di lavoro.

Lui mi ha insegnato il mare grazie alla barca e al permesso di zio, che m’invitava perché me ne stavo zitto, non facevo imbrogliare la lenza, non facevo mosse se abboccava il pesce, non mi lamentavo del caldo, non facevo tuffi dalla barca, solo una calata brusca per rinfrescare. Mai chiedevo il pesce da portare a casa, il pesce era suo, poi di Nicola. Mai chiedevo se mi portava, ma era lui la sera prima a dire: vieni.

Nicola mi ha insegnato il mare senza dire: si fa così. Faceva il così e il così era giusto, non solo preciso ma bello da vedere, mai di fretta. Il così di Nicola aveva l’andatura delle onde, i suoi gesti facevano una rima che imparavo a intendere. Tagliava il tòtano a pezzi lunghi un’unghia, un taglio e uno striscio di piatto di lama per allontanarli, andava secondo un suo ritmo, assorto, uguale. I pezzi tagliati si seccavano al sole durante il viaggio verso il largo. Immorsava le esche al centro, coprendo l’amo fino all’attaccatura del nylon. E dopo la cattura, dalla bocca del pesce , dalla gola, recuperava l’esca, la riusava. E quasi senza occhi, le mani andavano da sole. Lui poteva guardare altrove, il lontano o niente, lasciando le mani a fare da sole. Quella era l’opera, il davanti, mentre il resto del corpo era solo un sostegno di pazienza.

In barca parlavano solo gli uomini, Io ascoltavo le voci, non i discorsi, e i saluti scambiati con altri pescatori:”A’ re nuost”, sei dei nostri, un grido che ho sentito solo a mare.

Erri  De Luca 

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dalla quarta di copertina

ERRI DE LUCA

TU, MIO

Il ragazzo e il mare: l’avventura estiva di un adolescente del dopoguerra, l’incontro con la pesca, e con una ragazza più grande, col suo segreto, con il suo dolore per la perdita del padre in guerra, prima della fine delle vacanze.

C’è un’estate brusca nell’età giovane in cui s’impara il mondo di corsa. In un’isola del Tirreno, in mezzo agli anni cinquanta del secolo, un pescatore che ha conosciuto la guerra e una giovane donna dal nome difficile, senza intenzione trasmettono a un ragazzo la febbre del rispondere. Qui si racconta una risposta, un eccomi, decisivo come un luogo di nascita.

Tu, mio è un racconto di superamento della cosiddetta “linea d’ombra”, centrato sul passaggio dai privilegi dell’adolescenza alla ruvidezza della maturità. Oltre le illusioni della giovinezza si apre il campo all’avventura nell’esistenza; e questa avventura, ogni adolescente lo scopre con dolore, con sofferenza, non potrà essere mai cifrata negli schemi delle consolazioni giovanili.”

                                                                                                                                 Enzo Siciliano.

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3 risposte

  1. De Luca è bravo. Pochi fronzoli. Tutto sostanza. Descrizioni di ambienti e personaggi caratterizzati sempre dal loro operare nel luogo e nell’ora della loro presenza. Qui la vita stessa e la natura, l’anima del mare, che insegna e guida. Ed io che ho trascorso nottate intere lungo le scogliere del livornese, o su uno sperone roccioso fuori della costa a pescare, ci ritrovo sensazioni ed emozioni che ancora ricordo. Come vorrei tornare!

  2. Mi viene in mente quando andavo a pescare col mio babbo . Niente pesca in mare per noi, ma sul fiume Cornia : piccoli muggini, anguille, e quelli che chiamavamo ” lustrini” e che non so che tipo di pesciolini fossero davvero. Era una pesca divertente, rilassante e poco faticosa, con una rete di proporzioni ridotte, sul ponticello, e si praticava nell’arco della giornata…era diversa da quella delle ceche che invece richiedeva più fatica dato lo squilibrio del lungo manico dello staccio, e di alzarsi anche nottetempo per prendere il posto migliore in attesa della marea. Molti bei ricordi sono per me legati proprio a questo tipo di pesca e mi piace leggere questo brano in cui il tutto è detto in maniera così semplice e lineare, senza particolari ricerche linguistiche, ma proprio alla buona come quando si racconta fra amici . Pare di esserci .

  3. Di De Luca qualunque cosa venga proposta va sempre bene, anche gli estratti da racconti già letti non dispiacciono. Questo però mi mancava e di certo non tarderò a procurarmelo per aggiungerlo alla mia modesta raccolta di questo prolifero autore. Una scrittura impregnata di sentimento, tendente al poetico che conquista sin dalle prime righe

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