LIBERO DE LIBERO
Libero De Libero nacque a Fondi nel 1906. Compì studi classici tra Ferentino e Alatri, poi si trasferì a Roma, dove conseguì la laurea in giurisprudenza. Intanto l’amore per la letteratura -segnatamente per la poesia- e per l’arte, fiorito negli anni dell’adolescenza, si intensificò e si affinò con la frequentazione degli ambienti culturali e artistici romani. Fondò e diresse alcune riviste, tutte di vita piuttosto breve ma intensa, a cominciare da “L’Interplanetario” che durò otto numeri, dal febbraio al giugno del 1928, e che ebbe tra i collaboratori Alberto Moravia, Corrado Alvaro, Massimo Bontempelli e Leonardo Sinisgalli, per citarne alcuni. Dal 1941 insegnò Storia dell’arte in un liceo artistico romano. Morì a Roma nel 1981. Ricordiamo tra le opere di poesia Solstizio (1934), Proverbi (1938), Eclisse (1940), Epigrammi (1942), Il libro del forestiero (1945), Banchetto (1949), Ascolta la Ciociaria (1953), Sono uno di voi (1963), Madrigali (1967), Di brace in brace (1971), Poesie (1980); e tra quelle di narrativa Malumore (1945), Amore e morte (1951), Camera oscura (1952), Il guanto nero (1959), Racconti alla finestra (1969).
In suo onore l’Associazione “Confronto” di Fondi ha organizzato un premio di poesia che da lui prende il nome.
Relativamente alle prime raccolte di poesie G. Contini scrisse:” Nessi di immagini eccentriche espressi in ritmi sincopati (…) si svolgono attorno al mito d’un io compiaciuto e selvaggio, incorniciato d’un’Italia arcaicissima e la loro vera natura è di epigrammi (al modo greco), anche quando composti in più estese elegie e melopee”
*
Elegia alla nipote Paola
Troppo ardente correvi a perdifiato
e il premio hai perduto della vita,
tu più ansiosa del seme che la terra
rifiuta, a te nemica la tua gioventù.
Tu eri già pianta, evento di frutti,
ora sei più che una lama nel petto
di tua madre e nella mente del padre
una stilla di fuoco, stanza chiusa
per la famiglia e smarrita è la chiave.
Tu dormi coi tuoi allegri amuleti
e la tua bellezza sterile come
vittoria rimasta senza trionfo:
braccia strette al compianto di te stessa
tu vai sfogliando in sogno libri amari,
in eterna pace ormai laureata.
Se le lagrime fossero usignoli
amorosa sarebbe la tua notte,
e non fanno che un povero fiume
intorno alla tua pallida collina,
tu d’una pietra sei prigioniera.
*
Vecchiaia, fermati
Tu gonfia di geloni cammina più lenta,
non affrettarti, il cuore ti minaccia,
il fiore che sta per sbocciare lasciami
godere e tutte le botti del mio vino.
Vergognati d’inseguirmi così nuda,
sfasciata all’inguine e in cenci i tuoi seni,
addosso ti cucirò una bella gioventù
e per allegro marito la mia ombra.
Fermati, vecchiaia, riposa laggiù,
contentati di strappare i miei ritratti
e io attenderò che passi tutto il fiume
della vita per venire alla tua riva.
*
da Ascolta la Ciociaria
O Ciociaria, mio racconto d’inverno,
non sono i tuoi occhi quelli dell’alba
alla finestra e non è tuo lo sguardo
che alluma fuochi al mio orizzonte.
Ogni tua pietra è una fetta di pane
da mangiare nella stanza cittadina,
e chi mi attende è una donna di pelle fina,
l’amata che si sciupa a dirne il nome.
*
Non so se di notte o un inverno
se a luce d’agosto p un’alba desolata,
forse nell’ora che al rimpianto piace
alla fontana di Patrica ho bevuto:
ero un ragazzo che andò soldato
per essere nemico a chi me la tolse,
della sua corona volevo essere fiore,
c’è sempre un altro più fiore di me.
Libero De Libero
3 risposte
Una poesia che può apparire, alla prima impressione, fondata su un ostinato… descrittivismo, ma che rivela, ad una più attenta lettura, un consapevole e doloroso sentimento della vita e della morte, un guardarsi allo specchio, in una interrogazione costante, come di un altro se stesso, in cui l’autore compare come giudice contemporaneamente esterno e partecipe, con tratti di un ermetico surrealismo, attraverso una analisi che lega tra loro i motivi suoi principali: il tempo, il disagio, il sentirsi inadeguato alla vita. Una continua incertezza, un continuo domandare, senza risposte chiare e definitive.
Interessante l’andamento metrico della poesia di De Libero, che si configura come una variante della composizione in endecasillabi sciolti.
È una modulazione tramite versi lunghi, sia per sottrazione ( novenario, decasillabo) che per addizione ( dodecasillabo, tredecasillabo) della misura dominante degli endecasillabi, presenti in larghissima maggioranza sebbene non sempre canonici.
L’eloquio poetico, seppure a tratti icastico e immaginoso in illuminanti sortite ora epigrammatiche, ora liriche, ora di sintetica descrittivita’, resta sostanzialmente narrativo-discorsivo ed è comunque apprezzabile per nitidezza e forza comunicativa.
Mi piace, mi piace molto perché esprime sentimenti veri, non ci sono pose. Il dolore per questa nipote te lo senti scivolare come una lacrima fredda giù per le spalle e lo stesso nell’ultima poesia di condanna alla guerra che costringe la gente a lasciare il suo paese per andare a farsi ammazzare o ad ammazzare qualche altro povero diavolo che sarebbe stato meglio a bere anche lui l’acqua della sua fontana. Bella “Ascolta la Ciociaria”, poesia d’amore per una terra e per una donna ; delicatissima quell’espressione ” l’amata che si sciupa a dirne il nome”…semplice, senza altisonanti laudi a tutto spiano…solo ” l’amata che si sciupa a dirne il nome” 🙂 E non è più bello e più misterioso e più intimo e più toccante di certi paroloni? La poesia della vecchiaia meglio che me la scordi sennò se penso che ci sono anch’io mi sento male 🙁