GIANGIACOMO  AMORETTI

 

(Tre poesie)

 

I morti come ancora
ci sovrastano, come
si addensano, lontani,
sopra di noi, e immobili. Ci guardano

senza capire, inebetiti. Osservano
i giochi di ombre e luci sopra i muri
delle case, le strade solitarie,
i filari di alberi

a sera, lungo i fiumi.
E non parlano. Ascoltano
le nostre voci, insieme
al fruscio delle foglie, ai più attutiti

brusii adesso della notte – i morti,
i nostri morti, pallidi,
silenti, così esili
e smateriati ora, così stanchi

di resistere al vento, di non cedere
nuovamente al morire.

 

*

 

Tu ascoltala. È una voce
che sale dal silenzio
e dal silenzio è
tutta fasciata. Pare

sia svanita e risuona
ancora, fioca, appena
come indugiando, come
tentennando. Non sai

che cosa dica né
da dove giunga. Ascoltala
soltanto. Parlerà,
forse, domani – o mai.

Di te parlerà, forse,
che l’accogli da sempre –
o non di te, di altro
e ancora di altro, sempre –

e sarà eco e oblio – e annuncio, annuncio altissimo.

 

*

 

Il suo volto ha la stessa consistenza
della nebbia che appena si dirada
ora sul mare e sulla spiaggia. Io
la guardo, la riguardo, stupefatto
e di lei e di me, a lungo. Poi
distolgo gli occhi, lentamente. Che
non la copra di nuovo e non la chiuda
alla vista l’albedine, in silenzio
prego, forse piangendo.
Io non io
e tu non tu – sussurra, non visibile
già più il suo volto nel biancore senza
fine del cielo – e tu e io, più nulla…
Mi guardo attorno, desolato. Un’ala
di luna ancora trema, o sembra, diafana,
sul mare in lontananza. – Ti sia grazia
memoria, finché duri…
mormora, la sua voce
svanente come un’eco nel fruscio
lene della risacca sulla sabbia.

Giangiacomo Amoretti

***

 

 

 

 

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2 risposte

  1. Uno stesso motivo muove queste tre liriche: la malinconica consapevolezza del tempo che passa e tutto spinge nell’oblio, in una nebbia che offusca i contorni e li porta sull’orizzonte del sogno. Di un sentire fatto memoria, di una ubiqua incertezza che resiste nel ricordo, nel flusso continuo del nostro esistere, del nostro morire. E non è solo il dissolversi dei corpi, il trapassare dei sentimenti, ma è la natura tutta che partecipa, che muore con noi, con le nostre speranze e con le nostre pene e svanisce “nel fruscio lene della risacca”. Ogni vita che passa lascia altra vita che di quella si nutre, finché anche la voce dei nostri morti svanirà sull’ultimo confine del nulla. Belle liriche!

  2. Ricevo da Lidia Guerrieri e pubblico.
    “Che devo dire…Amoretti non è per me una scoperta : conosco e seguo il suo lavoro da almeno dieci anni. Come si fa a trovare le parole per commentare in maniera degna un poeta di questo livello!? Se dicessi che è bravo chiunque penserebbe “ …sai che sforzo! E hai scoperto l’America!” E allora…!? E allora cosa dico ? Lo so io…dico quello che mi pare … Amoretti è unico: un poeta fantastico, moderno e classico al contempo perchè la sua metrica è “flessibile” : non tradisce le regole, ma si fa elastica, non si lascia imbrigliare, si modella sul pensiero e rende il discorso libero, così che il verso fluisce naturale, armonioso e leggero. Vaghe le atmosfere, spesso impalpabili, soffuse di una malinconia che ti avvolge come una nebbia lieve e non ti soffoca. Mi colpisce la poesia sui defunti. Non tanto per quello che dice , ma per quello che mi rivela: non c’è né ora né mai dolcezza né conforto per noi esseri umani, né c’è fine al dolore. La morte non è oblio, non è serenità e pace, ma è disorientamento, incertezza, e non mette fine a dubbi, pene, ricerca di qualcosa che non si trova mai. E’ strano…non ci sono quelle esternazioni di disperazione che a volte si trovano in poesie del genere, non ci sono lacrime, grida, lamenti, rimpianti, paura…non c’è nulla che accomuni questi versi a certe poesie “ strappacapelli e strappalacrime” che sanno di “ scena madre” costruita ad uso e consumo di un pubblico alla buona. C’è una pena vera. C’ è un’anima che soffre senza voler riversare sugli altri il peso della propria sofferenza…c’è la traccia di un dolore continuo, sordo, contenuto per nobiltà e compostezza di temperamento, quel genere di pena che quando mette radici profonde soffoca ogni grido. Perchè il dolore vero è muto.”
    Lidia Guerrieri

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