Attilio Bertolucci, Alcune poesie

ATTILIO BERTOLUCCI

 

Torrente
Spumeggiante, fredda,
fiorita acqua dei torrenti,
un incanto mi dai
che più bello non conobbi mai;
il tuo rumore mi fa sordo,
nascono echi nel mio cuore.
Dove sono? Fra grandi massi
arrugginiti, alberi, selve
percorse da ombrosi sentieri?
Il sole mi fa un po’ sudare,
mi dora. Oh questo rumore tranquillo,
questa solitudine.
E quel mulino che si vede e non si vede
fra i castagni abbandonato.
Mi sento stanco, felice
come una nuvola o un albero bagnato.

*

La neve

Come pesa la neve su questi rami
come pesano gli anni sulle spalle che ami.
L’inverno è la stagione più cara,
nelle sue luci mi sei venuta incontro
da un sonno pomeridiano, un’amara
ciocca di capelli sugli occhi.
Gli anni della giovinezza sono anni lontani.

*

Verso le sorgenti del Cinghio
Volevamo risalire alle sorgenti del Cinghio
il giorno era d’aprile ventoso e celeste
ci portava via sbiancava i salici bassi
già dietro di noi perduti come la casa
in cui s’erano dimenticati di noi fuggitivi
esploratori muniti di cibo e coltellini multipli
per una lunga assenza forse per un distacco…
Non io che partecipavo all’impresa come cronista
senza la bella volontà liberatoria
degli altri senza la loro strenua fiducia
mentre attraversavamo proprietà sconosciute
seguendo l’ incantagione sinuosa, del Cinghio
avvicinandosi all’occhio lo scenario azzurro
delle colline rumoreggiando più e più
il rio amato… Ma il tempo
era passato per me che sentivo
acuta la perdita della casa e di chi
a quest’ ora forse s’era ricordato di noi
soffrendo come io soffrivo del distacco
così che con l’astuzia persuasiva del poeta
li convinsi anime pure e schiette
volte al giusto di una fantastica impresa
a desistere a volgersi come una compagnia
di soldati sconfitti verso il quotidiano il solito
il monotono – quanto io desideravo di più al mondo
e che già si svelava intiepidito di luce.

*

La rosa bianca
Coglierò per te
l’ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l’hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
È un ritratto di te a trent’anni,
un po’ smemorata, come tu sarai allora.

*

Fine d’estate
Come agosto finisce, la mattina
dopo una notte di pioggia si sente
(il cielo è più profondo ) che l’autunno
sta per venire; ci si guarda intorno
e non si sa che fare: tutto
è fresco, rinnovato da uno smalto
malinconico di perplessità!
Allora si gironzola, si sta zitti,
sappiamo che c’è tempo, ma che pure
l’anno dovrà morire, ed il bel cielo,
il verde verniciato delle piante,
il rosso delle ruote ad asciugare,
l’incudine che suona di lontano,
lento cuore del giorno, tutto parla
d’una partenza prossima, un addio.
La memoria è una strada che si perde
e si ritrova dopo un’ansia breve,
tranquilla: già nel sole di settembre
scottante sulla schiena è un’altra estate,
che le vespe ronzando sulle ceste
dell’uva bianca indorano, e si mischia
al loro volo il rumore nascosto
e perenne del grano che ventila
un vecchio attento e polveroso.

Attilio Bertolucci

 

Attilio Bertolucci

Nato in provincia di Parma nel 1911, si è spento a Roma nel 2000. Laureato in lettere, è stato un personaggio culturalmente poliedrico. Padre dei registi Bernardo e Giuseppe,  amico dei maggiori intellettuali del suo tempo, ha scritto in prosa e in versi. È considerato uno degli autori di spicco del Novecento italiano.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Una risposta

  1. Attilio Bertolucci
    Si inizia con una lirica a prima vista tranquilla, quasi ingenua, che si sostanzia di una descrizione “paesaggistica” della natura, con cenni velati di un intimismo sereno e partecipe. La natura che pare sorridere al poeta, con la “fiorita acqua dei torrenti”, per accoglierlo in un mondo incantato. Nella solitudine del luogo e dell’ora certe sensazioni acquistano spessore e lo fanno partecipe di un tutto che era già in lui.
    Il simbolismo delle cose che gli stanno intorno diviene, nella preziosa e breve lirica della “Neve”, concretezza dell’anima, con accostamenti alle stagioni della vita, alla percezione del tempo che trascorre e si carica di immagini lontane.
    E nella gita alle sorgenti del fiume Cinghio – mitizzazione di una evasione dalle certezze del quotidiano, dalla sicurezza della famiglia, per spingersi sugli ignoti sentieri del domani – c’è la consapevolezza di una fanciullezza ormai conclusa, ma dove gli affetti consolidati ancora impediscono un completo e definitivo distacco.
    Il motivo del trascorrere del tempo, che ruba forza e bellezza, ma lascia inalterati gli affetti e i sentimenti, riappare nella “Rosa bianca”: ultima rosa colta all’apparire delle prime nebbie, prima dell’inverno, metafora della donna amata, che Bertolucci vede già appassita, ma ancora attraente e vitale, proiettandola avanti nel tempo che comunque la raggiungerà. Delicatissima immagine velata di una dolce, struggente malinconia, futura promessa d’amore.
    E, in ultimo, “Fine estate”, dove è sufficiente la pioggia di un mattino a chiudere la stagione della giovinezza e dei fiori. Il tema ricorrente del mutare delle stagioni accostato sempre al passare delle fasi della vita è un richiamo che viene proposto da molti autori. Qui il poeta lo fa con delicata armonia, con una leggera incertezza che lascia una perplessità che dà modo alla riflessione, fino alla consapevole accettazione della stagione declinante della vita, ma in cui basta il semplice consueto svolgersi dei mestieri e delle faccende perché l’inverno annunciato possa vestirsi di nuova luce, di un’altra estate. Il ciclo della vita e della speranza che si riaccende e che sempre ritorna.

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