Un poeta per volta: Eloisa Ticozzi

ELOISA TICOZZI

     Dalla silloge inedita

“ Le foglie gridano”

*

Il buio mi ha plasmata
– non la luce-

ha piantato le sue voragini nei miei occhi,
ha dimenato le sue braccia scure sui miei capelli,
mi ha intrisa di sangue limpido e profondo,
mi ha reso figura sfuggente e cupa.

Devo molta gratitudine al buio,
alla sua capacità di resuscitare il male avviluppato all’animae calibrarlo
con forza e decisione
alla meta,

il sogno migliore per me è
combattere demoni interiori,
rendere esigua un’emozione instabile e mormorata.

*

 

Come potrebbe morire l’uomo
se non orgoglioso e fiero di vivere
in un destino avverso,

eppure la morte permette di mescolarci con il terriccio,
di avvicinarci con l’anima ai defunti,
di salire fino alle luci delle stelle per deturparci gli occhi,
di farci scorrere il sangue freddo nelle vene
con noncuranza.

La morte si avvicina all’uomo
improvvisamente, senza destare alcun sospetto.

Sono diventata consapevole della morte
fin da bambina, ma è rimasta come un mormorio
soffuso e sbiadito,

la morte si insinua dentro la pelle, dentro le ossa,
nel bianco delle sclere,

il suo pensiero mi trafigge come un insolito suono,
lontano e vicino, riposto nelle orecchie con cura,
allontanato dalla quotidianità,

in realtà la fine porta con sé la vita, la metamorfosi in altra forma,
il cambiamento a noi sconosciuto.

*

 

Ho ascoltato piangere i fiori l’altra notte
(una notte assassina di luna e di linfa).

Quando fa caldo i temporali sviano la loro presenza
dalla terra,

è assodato che la natura geme
e fa gemere il suo seme

in una preghiera mancante di riflessione
ma sostenuta dall’istinto
di procreare e di unire le radici sotto terra,

perché quello che rimane dopo la morte
sono i fianchi secchi e la pelle sbiadita,

quello che rimane sarà sempre l’anima
-ma anche il corpo suvvia-, che rinasce
nell’erba, nell’atmosfera, nel fumo
in un’evaporata idea,

è il trambusto della nascita e della morte
che genera in noi un trauma antico, mai superato.

*

 

Le foglie gridano il furore che le sovrasta,
dentro, l’ossigeno calmo,
la delicatezza dei loro riverberi di luce

nella fragilità la loro bellezza è arma spudorata,
seducono gli animali che le odorano,
avvicinano la tribalità alla civiltà e
riempiono l’aria di flora.

Calpestarle è atto sacrilego,

la loro nascita prematura dagli alberi,
i loro pianti confusi con le gocce della pioggia,
la loro carnagione cangiante con l’ombra,
sono introversioni nella vegetazione.

Le foglie amano la pace del sole,
l’umidità del clima fra le formiche,
si rivolgono al cielo in una preghiera tenace.

*

 

(Dedicata a tutte le donne)

La donna contiene in sé la creazione,
non solamente dona la vita,
ma nella sua anima possiede
il timido sesso che si vuole ricomporre
dopo un amplesso,

possiede la saggezza, la calma di un lago piano,
la fulgida e pura luce,

ha mani per accarezzare altra carne
occhi per riunire le zolle dei terremoti.

Dentro di lei,
la divinità ha immesso la sua idea primigenia
di unire la prole nel mondo con la cura,
di partorire con durezza e dolcezza,
di affrontare le avversità,
di sconvolgere i piani della terra.

Il tempo è femmineo, come le stagioni cicliche,
come la corteccia degli alberi
robusta e indomita.

*

 

Il lupo ulula di fame
il leone ruggisce di comando,
l’aquila sorvola dall’alto.
Io non ho ancora trovato la mia inclinazione a esistere.
Mi hanno consigliato di oltrepassare i limiti,
di cercare con affanno la luce dei defunti,
di essere vento che affina senza taglio,

non ho sangue nelle mie vene,
non ho coraggio che mi scuote,
ma ho la fede nell’abisso che diventa rinascita

(è difficile l’ascesa alla montagna della resurrezione).

*

 

Quando morirò
sarà un giorno di festa

le donne si cospargeranno il capo di fiori
gli uomini brinderanno col vino.

Ora vivo la mia insonnia
vigile con la mia luna nel grembo in attesa del parto
(un parto di pensieri che errano, irreali e superbi),
con le braccia incrociate dicendo
-sento meno freddo con la pelle che si mescola ad altri,
rido di più se socializzo-.

Nel frattempo le palpebre si aprono
con l’immaginazione proficua di chi ha seminato
la pazienza nell’esistenza.

*

 

Le foglie ricamano il mondo
sono verdi e rosse
gialle e disidratate,
hanno la vita dentro come un miracolo
di ossa calcificate.

La natura mi ha sempre affascinata
prima la pioggia che lascia intravedere la trasparenza,
poi il sole che fa maturare i frutti,
e il vento che sfida le guance e la fronte.

La natura gorgoglia come sputo divino
e come cacofonia di suoni melodiosi

perché in natura vige la costanza di preservare la stirpe
e di oltrepassare la genetica
tramandando la memoria nelle generazioni, scegliendo erba tenera,
imparando a cacciare,

i carnivori si affrettano a correre in velocità
gli erbivori addestrano il fiuto per la fuga,

questa è la legge che regola la vita, la crescita, la morte
e la conoscenza della natura, il perpetuarsi dall’arcaico tempo.

 

Eloisa Ticozzi

 

***

Eloisa Ticozzi è nata a Milano nel dicembre del 1984. Si è laureata in Medicina e chirurgia all’Università Statale di Milano (sede Ospedale Sacco). Ha ottenuto dei riconoscimenti letterari in alcuni concorsi: tra i più importanti, Premio Lorenzo Montano, Internazionale Indipendente, Pomezia. Finalista nel 2022 e 2023 al Premio Carrera. Ha pubblicato Figli segreti, Kolibris, Ferrara, 2019; Simili e dissimili, Oedipus, Salerno, 2021; La cura dell’Infinito, Il Convivio, Castiglione di Sicilia, 2022;  L’albero dell’infanzia, Il Convivio, Castiglione di Sicilia, 2023;  La resistenza,  Il Leggio, Chioggia, 2023. Sue poesie sono apparse su riviste on line e su e-book.

“Poesia di osservazione della vita e di scavo interiore, a volte descrittiva o meditativa, resa con immagini  spesso singolari, inedite e significative, anche per efficaci scelte verbali.” (P. B. )

 

***

 

 

 

 

 

 

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10 risposte

  1. Nasce dal buio e non dalla luce la poesia di Eloisa Ticozzi. E da lì si dipana un discorso versificatorio originale, intenso e fuori dagli schemi in voga. Da leggere, assolutamente

  2. Mi piace. E’ una poesia che affascina, che pesca nel profondo. C’è una doppia posizione nei confronti della morte, tema che, a quanto vedo, ricorre abbastanza spesso in queste poesie: la morte è vita perché il ciclo naturale si sa che funziona a questo modo, però questa consapevolezza non è che consoli tanto. Quello che scorre sottopelle è la paura, è il rifiuto della fine, al di là di ogni ragionamento più o meno autoconsolatorio. D’altra parte la poetessa lo dice apertamente in diversi punti e anche se non lo dicesse basterebbe questo verso “ma anche il corpo suvvia “, basterebbe questa esclamazione “ suvvia” a smentire la credibilità di un’accettazione serena della necessità della morte…è un’esclamazione che indica una reazione, la volontà di scuotersi di dosso una paura che invece è radicata, e normalissima! Mi disorienta quella che a me pare una contraddizione nella sua personalità…azzardo certo troppo…in definitiva io conosco solo queste poche pagine…eppure come si concilia l’amore per la natura, il verde, la luce con quello che dice nella prima poesia, ossia che l’ha plasmata il buio? E’ come se avessi davanti due persone : una solare, l’altra lunare .
    Però, se devo essere onesta con me stessa, mi accorgo che ho detto senza riflettere…anzi…proprio mentre scrivo mi rendo conto che in realtà questa contraddizione non mi disorienta per niente perché ci io vedo me stessa : il mio ripiegarmi nel buio per combattere senza molta fortuna i miei demoni , e al contempo l’amore per la luce, la tendenza all’alto…il riso e il pianto, la spavalderia e la debolezza di fondo, l’orgoglio e la sfiducia , la paura della fine e la tendenza all’oltre percepito come un ritorno a casa, la morte intuita anche se vagamente in tenera età. Sono cose che segnano. Anche la visione del femminile mi pare simile. Forse questa poetessa mi piace perché la sento simile a me, non come capacità, quello no perché lei è molto brava e io sono solo una dilettante, ma come modo di vedere e di sentire.
    .
    DONNA

    Io sono Donna, gloria del creato,
    sono la terra del seme di vita,
    colei che impasta e modella il domani.
    Io sono la sorgente;
    stilla da me il tuo nettare, e ogni dono.
    Dalle mie mani sbocciano le stelle,
    si dischiudono i fiori sul mio palmo
    e ne fisso l’incanto sulla tela.
    Sono colei che costruisce sogni
    e, inascoltata, siede
    come colomba al centro della Terra.
    Lungo il bordo di baratri cammino
    ed il mio passo rischiara la via;
    dei campi ho in me la quiete,
    del mare il seno generoso e l’ira
    imprevista e implacabile.
    Scintilla la mia mente,
    e l’ala è vasta e supera le vette.
    Io sono la pietà, la comprensione,
    la rotta, l’occhio attento,
    sono la forza e la rassegnazione.

    1. Lidia, grazie per avermi commentato. Le spiego, io vedo il buio come qualcosa di non totalmente negativo, ma come qualcosa da cui nascono l’esperienza e la vita, anche se con molta fatica , e forse alla fine la luce, quella luce che cerco da sempre; è vero che nasco dall’abisso, mi aggrappo a quello, e tramite esso ho fatto esperienza, ho compreso l’empatia per i miei simili e per tutto il creato, ma vorrei arrivare alla luce, vale a dire, la speranza, la serenità, l’equilibrio. Perché ogni evoluzione spirituale e mentale nasce dal buio, dalla lotta con i proprio demoni interiori, dalla sofferenza di esperienze molto negative e dolorose. Per quanto riguarda la natura, io ci ho visto sempre un panteismo divino, una spiritualità totalizzante, in tutto ciò che concerne la vita. Non nego che ci possa essere un Dio che consola, in alcune passate poesie ne scrivo, ma non volevo mettere l’accenno troppo su questa mia parte. La vera spiritualità è qualcosa che pervade la terra e l’universo, e penso che siamo tutti accomunati da una forza superiore che ci unisce. La morte è qualcosa di molto doloroso ma nello stesso tempo serve a completare ogni ciclo; rimane sottinteso che secondo me questo ciclo è regolato forse da un Dio, un Dio che si mescola alle forze dell’universo, della natura, delle stagioni. Forse dalle mie passate poesie si notava di più quest’ultimo aspetto, ho cambiato molto in questi ultimi anni. Io mi ritengo poetessa incolta, perché io scrivo con l’intuito, con la sensibilità, con pochissima tecnica. Il cinismo che forse traspare dalle poesie, in realtà non lo è, io credo nella resurrezione dell’anima, sia in vita, che dopo la morte. Resurrezione non in senso proprio cristiano del termine, ma come immortalità: a mio avviso, l’anima sopravvive alla morte, è quel qualcosa che non ha inizio né fine. E nella mia poesia non è esplicitato ma l’immortalità esiste in ogni creatura vivente . E anche il corpo di ogni essere serve per un nuovo ciclo. Siamo tutti incastrati in un grande disegno naturale (questo secondo me). Rispondo alla sua domanda: ho delle grosse contraddizioni dentro me, come ad esempio buio-luce, ma penso di averne parlato precedentemente; si deve arrivare alla luce attraverso il buio. Almeno questo è per me, per il mio percorso.Non ho una grande cultura alle spalle, quasi per niente. Non perché io non sia propensa ad acculturarmi, lo farei volentieri, ma perché nella mia vita non ho mai avuto occasione e tempo. Ho letto con grande trasporto però durante la pandemia “Menzogna e sortilegio” di Elsa Morante. Come ho già detto precedentemente, a me piace esprimere tutto, i miei pensieri, le mie riflessioni, tutto quello che può far pensare. Riconosco di non avere una grande tecnica, forse per niente, ma adesso va bene così. Cercherò poi di migliorarmi.
      La sua poesia è una lode alla donna, una poesia molto delicata. Arrivederci Lidia

      1. Inizio con una precisazione. Io ti darò del tu perché sei giovane, e tu mi darai del tu perché così avrò l’impressione di esserlo anch’io 🙂 Mi onora che tu abbia preso in considerazione il mio commento e al riguardo preciso che nella critica sono una frana . Il motivo è semplice : non mi appassiona il lavoro del critico , lo trovo noioso…per tutte le cose bisogna nascere con la predisposizione e io, per la critica , proprio non ce l’ho. Questo da un lato spiega perché il mio commento è così lontano da quegli studi scritti con il lessico , il rigore, l’ordine di chi è del mestiere , e dall’altro ti dimostra , anche se per questo devi fidarti solo della mia parola, quanto la tua poesia mi sia piaciuta perché se uno non mi piace o lo dico chiaro o lo ignoro. Forse mi sbaglio, ma ho avvertito nei tuoi versi un’anima che mi assomiglia. Magari i miei problemi, le mie esperienze sono diverse dalle tue, ma in quel buio di cui parli io vedo il pozzo del quale parlo io, i lunghi anni della mia depressione. Dici di non avere una gran tecnica…beh…io sono del tutto ignorante al riguardo …non ho idea di cosa si intenda per “tecnica “in relazione alla poesia . Mi intendo di metrica, quello sì, ( e se sei interessata puoi venire nel mio gruppo fb, ” Castalia-Le Pleiadi”), ma la metrica è solo uno strumento che si può o non si può scegliere e che in ogni caso non si identifica affatto con la poesia : può favorire l’espressione, ma può anche imbalsamarla e in ogni caso non farà mai diventare poeta chi non lo è per natura. Complimenti per questi versi tuoi, spero che avrai la fortuna che meriti. E spero di leggerti ancora in Glosse e di incontrarti qui anche nei commenti ad altri in modo da poterci conoscere meglio.

        1. Ciao. Si comunque c’è sottinteso un periodo anche lungo di depressione, ma non volevo esplicitare troppo nella poesia questo punto. Ho sempre pensato che il dolore per quanto forte e terribile, rafforzi degli aspetti dell’ anima e faccia percepire la vita da più angolazioni. Quando una persona è sottoposta a un grande dolore, toccandolo con mano, riesce a capire meglio di cosa si tratta. Io non voglio spiegare la mia vita, non è questo il modo e il luogo, ma mi piacerebbe sapere che nel mondo esistano persone non solo sensibili , ma capaci di comprendere fino in fondo di cosa stiamo parlando. La sensibilità chi più, chi meno, ce l’abbiamo tutti, è la comprensione che manca, l’empatia dei bisogni altrui. Grazie sei molto gentile a farmi questi complimenti. Si fa molta fatica nel mondo della poesia, e io, ancora in parte, devo sbocciare. A presto..

          1. L’avevo sospettato che anche tu avessi sofferto di depressione…ho sempre detto che noi ” ci riconosciamo a naso” . Riguardo a questa esperienza devo dire che chiaramente non ci tornerei perché è terribile, però riconosco che mi ha reso più comprensiva , in qualche maniera ne sono uscita migliore per cui, anche se pare assurdo dirlo, la considero positiva nonostante tutto il dolore che mi ha causato.

  3. In tutte queste poesie è ricorrente, anzi ne rappresenta l’elemento più importante, il motivo della morte, il senso di una precarietà dell’esistere che essa stessa si fa vita, consapevolezza, contrasto, disagio. Eppure non vi trovo disperazione, non v’è quel senso di distruzione ed annientamento che in genere si riscontra in altri poeti. La fine non è vissuta come nemica, ma come un nuovo inizio, un nuovo ciclo da cui tutto riparte. Ho la sensazione che in queste liriche l’autrice, sotto sotto, ci voglia dire che la nostra esistenza, la presente esistenza, sia una sorta di “simulazione”, di un sogno declinato… al femminile, dove la donna ospita e dona, permette la rigenerzione e il ritorno. Detto questo restano poi le leggi di una natura intesa anch’essa tutta come unica sovrana entità che, nei suoi molteplici e misteriosi aspetti e manifestazioni, continua un’opera ininterrotta nel riaccendersi ovunque e comunque. La morte come necessaria presenza per dare significato e valore a ciò che, altrimenti, sarebbe solo una condanna ad una statica, infinita permanenza dell’esistere. Tutto questo senza ricorrere alla idea di una entità superiore che guida, dispone, controlla: cioè a un Dio definito e riconoscibile. Ma prorio, invece, di quel “deus sive natura” di spinoziana memoria da cui ogni ente ed ogni aspetto dipendono, di quella sostanza infinita ed indefinibile da cui tutto si origina e svolge, compresa appunto la morte, e che noi chiamiamo vita e che assolutamente la contiene. In questo aspetto che forse contiene elementi lontanamente riconducibili all’orfismo e che ho anche troppo sottolineato, la natura “femminile” dei fondamenti delle cose e della vita emerge con orgoglio e con forza, come nella bellissima poesia che Lidia ha voluto mettere in calce al suo commento, che condivido pienamente.

    1. Sì diciamo che la morte rappresenta la fine, da un lato, ma dall’altro lato è rinascita. Non è vissuta sempre in modo angosciante. Esprime dei concetti che sono molto difficili per me; ho sempre pensato che ci sia una spiritualità latente in ogni essere vivente, qualcosa che richiama verso una forza superiore. Vorrei esprimere l’anelito verso l’Assoluto, indipendentemente da una religione o un credo, la vera spiritualità, l’intimità dell’anima, il rapporto interiore con noi stessi e con altri. Ci potrebbe essere un Dio diciamo benevolo, che vuole il bene dell’Umanità, ma nelle poesie non è un concetto predominante. Preferisco innalzare la natura e riconoscerne il valore alto spirituale, insito anche nell’umanità, non sempre ben intenzionata a offrire la propria generosità.

  4. Vita e Morte, buio e luce nel cercare e nel cercarsi fin dove l’anima chiede in quale profondità la poesia sia verso di eternità.

  5. Si dica pure quello che si vuole di questa poetessa: che indulge troppo al “noir”, alle volte con enfasi iperbolica, che tradisce un gusto per il macabro; che la sua poesia, sia intimista che realista,è troppo analitica, troppo obbiettivante, quasi da tavolo autoptico, in una sorta di espressionismo residuale; che i suoi versi mancano della leggerezza e del trasporto che solo l’ebbrezza dell’illusione può dare al poeta; che infine, fatte salve poche e brevi sortite liriche, quasi incidentali, ha un impianto prosastico, non di rado saggistico, trattatistico.
    Tutto si può dire, ma non che sia inerte e manierata.
    La poesia di Eloisa Ticozzi è carica di forza e di intelligenza, è un’elegia tragica che a tratti lascia senza fiato.

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