SARA GOVI
Sara Govi nasce a Biella il 4 dicembre del 1975. Le parole l’hanno affascinata fin da piccola, quando amava ascoltare le storie che narrava suo padre. Ora, da grande, ama leggere ai suoi figli ed ai suoi alunni. Laureata in Lettere Moderne, insegna in una scuola primaria di un piccolo paese delle Prealpi biellesi, dove cerca di passare ai bambini la bellezza di giocare con le parole.
Come ad un incrocio
Un tavolo rustico e tre bicchieri di Bolgheri. Non poteva esserci un inizio migliore al loro viaggio insieme. Francesca, la cameriera, distribuiva focaccia calda e sorrisi, mentre il vociare della gente diffondeva sapore di vita. La trattoria era rustica e moderna al tempo stesso, con l’accoglienza e la temperatura intima da “casa di campagna della nonna” accostate con perizia a scelte d’arredo moderne ed estrose.
Giunte da luoghi diversi del Nord Italia, tre amiche avevano scelto Firenze per raccogliere le loro vite dopo anni di lontananza, ed accogliersi, con la maturità e la nudità che si acquisiscono dopo aver varcato la soglia dei quaranta.
La vita era stata a tratti dolce a tratti amara con loro e nonostante i bocconi indigesti ingoiati nel tempo, le tre donne erano comunque consapevoli che il loro percorso era già stato una fortuna per il semplice fatto di poter pareggiare la bilancia. Gli ultimi anni in particolare erano stati per tutte una lotta. A parlarne sembrava quasi che, andando avanti con l’età, i colpi del destino diventassero sempre più affilati e taglienti, preludi alla sferzata finale. Proprio per questo era necessario partire, per creare uno stacco e dimostrare alla vita che la strada poteva cambiare, che il binario non era necessariamente a direzione obbligatoria. Ci sarebbe stato sempre uno svincolo, una possibilità per ritrovarsi e ritrovare se stessi.
Uscirono allegre dalla trattoria, con il cuore pieno di risate e di chiacchiere dense di amicizia. Da Piazza Santo Spirito si diressero verso l’Arno. Che spettacolo meraviglioso il fiume di notte, ornato dalle luci dei palazzi che si riflettevano sull’acqua! Rimasero un poco a contemplare il paesaggio, reso ancora più sfavillante dalle decorazioni natalizie.
Ida ad un certo punto ruppe il silenzio:
– Vi ricordate quando urlavo a mia madre che nella vita avrei girato il mondo con lo zaino sulle spalle? Non ho avuto mai il coraggio di farlo. Ed eccomi qui, con lo stesso desiderio di allora, solo che ora non c’è più mia madre a cui urlarglielo. –
– Puoi sempre urlarlo a noi – rispose Teresa sdrammatizzando.
– Preferirei di no – fece da contrappunto Tea, ridendo. Ripensò alla sua amica Ida, a quando ragazzina sedicenne, pacata e gentile, improvvisamente si arrabbiava. Pareva un vulcano in eruzione.
L’adolescenza è una terra di mezzo dove hanno inizio i sogni e le attitudini personali cominciano a delinearsi. Ma, come ogni terra di mezzo che si rispetti, questo reame è pieno di mostri e di pericoli da combattere. Bisogna costruirsi una buona armatura ed essere dei guerrieri ben attrezzati per attraversare indenni tale luogo. È lì che i desideri ancora informi delle tre amiche si sono incontrati un tempo. È lì che hanno iniziato il loro viaggio, tenendosi per mano per far fronte agli assalti che avrebbero incontrato. Ad un certo punto il viaggio, si sa, porta a dividere chi cammina sulla stessa strada. A volte si percorre insieme solo un tratto più o meno lungo, altre volte si rimane legati da un filo invisibile e ci si ritrova dopo anni ad un incrocio, come ad un appuntamento fissato tanto tempo prima.
Il passeggio le aveva portate in piazza della Cattedrale. Fiumi di persone vi si erano riversate. Ciò che impressionava ad un primo sguardo erano la folla e le luci. Luci e folla. Visi e luci. Luci che brillavano ad intermittenza, luci di qualche ammennicolo lanciato in aria dai venditori ambulanti, luci della festa. Visi stranieri, visi anziani, visi giovani. Visi però tutti sorridenti, leggeri.
Bastava alla fine così poco per essere felici?
Noi uomini che ci vantiamo così tanto della nostra particolarità, abbiamo tutti l’identico, viscerale, antico anelito alla felicità. Dobbiamo solo ricordacelo. Il diritto alla felicità.
Guardate un po’ che bella atmosfera! Una figata! Niente a che vedere con l’umida tristezza delle nostre cittadine – sbottò Tea.
Tea, grandi e sinceri occhi azzurri, lineamenti squadrati, nella sua femminilità quasi mascolina nascondeva una bellezza da attrice. Da una giovinezza faticosa e sbandata era approdata ad una famiglia unita e ad un lavoro stabile. Eppure sempre inquieta, come Teresa, come Ida.
Erano tre donne realizzate a vedersi, e realizzate lo erano veramente nel loro essere madri e mogli e con il loro onesto e tranquillo posto di lavoro. La famiglia, che ognuna di loro aveva costruito con fatica, era il loro ikigai, ciò per cui si alzavano dal letto e vivevano.
Nonostante questo, si erano ritrovate qui per un antico ed intimo motivo, avevano ancora qualcosa da completare, un tassello mancante, rimasto in sospeso dagli anni dell’adolescenza.
Se ritornando all’infanzia ritroviamo ciò che siamo, nell’adolescenza ritroviamo ciò che saremo e che non bisognerebbe tradire. La maggior parte delle volte però disattendiamo noi stessi, ci dimentichiamo della nostra parte più vera, che urlava, ci faceva commuovere, ci faceva tirare tardi o buttarci a capofitto nello studio o in una gara.
Si addormentarono a fatica la sera, elettrizzate dalla giornata, dal viaggio, dagli incontri, dalle parole.
La mattina seguente erano briose e pronte per una ricca colazione nella sala cinquecentesca dell’elegante hotel dove pernottavano. Sarebbero state insieme solo due giorni e ci si doveva trattare bene, regalarsi la bellezza e dei piccoli piaceri. Il tempo per le rinunce c’era già stato e sapevano che l’avrebbero incontrato di nuovo.
Era uno spettacolo vedere Teresa e Tea mangiare. Condividevano lo stesso entusiasmo bambino di fronte al cibo. Non dozzinali nei gusti, il momento dei pasti era per loro una delle gioie più grandi della giornata. Ida le amava tantissimo in questo, adorava il genuino piacere che dimostravano ad ogni assaggio, piacere che lei provava con una intensità diversa, segnata intimamente da una trascorsa anoressia. Ma loro erano così candide e coinvolgenti che non vi si poteva resistere e spesso si indugiava a lungo attorno al tavolo, sfamandosi di cibo e di parole.
– Forza! Gli Uffizi ci attendono!- le scosse Ida ad un certo punto.
La comitiva si mosse ciondolando tra la voglia di andare ed il piacere di restare.
Alla Galleria c’era coda nonostante la prenotazione. Sebbene l’umanità si impegni a disseminare orrori, la forza del bello (e del buono) sarà sempre più forte. Quella interminabile fila di gente in attesa di entrare per godere solo di arte era lì a ricordarlo.
Le sale erano davvero tante, statue e quadri attiravano in continuazione occhi e curiosità. Occorreva però scegliere, altrimenti non avrebbero avuto il tempo di fare altro durante la giornata. Partendo dalla sala dei Primitivi, dai quali ebbe origine la grande pittura italiana, viaggiarono tra le opere trecentesche per poi entrare nel secolo successivo. Una freccia indicava “Botticelli”. Il pensiero di tutte fu che non si poteva mancare a quell’appuntamento. Seguirono l’indicazione e “la Primavera” si presentò con tutta la sua maestosità e la sua bellezza. Un’emozione intensa e dirompente afferrò Ida. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Fu un moto improvviso, un semplice cambio di sguardo dalla freccia all’interno della sala.
Ida amava l’arte, amava viaggiare. Era rimasta però imprigionata nella sua città natale, imbrigliata da quegli imperativi inconsci che ti obbligano subdolamente a vivere la vita degli altri. Almeno finché non te ne accorgi.
A volte basta un semplice cambio di sguardo a produrre il cambiamento. Un giorno qualsiasi sposti la direzione dei tuoi occhi e tutto cambia. Ciò che è, appare in modo diverso e ti svela una nuova realtà. Questo fu più o meno ciò che accadde quel giorno.
Ida si commuoveva spesso. Non fu solo la palese bellezza di ciò che aveva visto, ma l’intima felicità che provava dentro quel luogo, in quel momento, con quelle persone, che aprì il suo cuore alla comprensione. Il cuore che si spalanca e si dilata è sempre un’indicazione che ci svela la direzione da seguire.
Uscirono dagli Uffizi esauste.
– Non mi entra più niente nella testa, solo nello stomaco! – Teresa fece ridere tutte. Si avviarono verso il primo punto di ristoro disponibile.
Ida sensibile ed introversa, dai modi delicati, timida intellettuale. Tea, vivace e comunicativa, ma nello stesso tempo un affascinante mix punk – nerd. Teresa, la più chiacchierona, esuberante, la donna delle pubbliche relazioni, capace di attaccare bottone anche con uno scarafaggio. Aveva sempre un sorriso ed una parola buona per tutti. Le tre amiche erano insieme energia pura, generata dalle reciproche diversità, che poi vere differenze non erano: ognuna possedeva le qualità dell’altra, se pur in minore intensità. Quando erano insieme le loro caratteristiche si esaltavano e si completavano, come in una danza.
Dopo un allegro pranzo le tre amiche si diressero verso via de’ Tornabuoni, la più lussuosa via del centro storico fiorentino. Avevano deciso di lasciarsi andare ad un po’ di leggera superficialità, guardando e commentando le costosissime vetrine della famosa strada, prima di proseguire il tour artistico che prevedeva almeno ancora la visita a Santa Croce e alle Cappelle Medicee. Quello che non sarebbero riuscite a visitare in giornata, l’avrebbero visto il giorno seguente. Nessuna di loro aveva voglia di tenere il tempo e di lasciarsi irretire dalla frenesia.
L’aria di gennaio si faceva sentire sulle labbra e sulle mani, la stanchezza aveva invece afferrato le gambe, perciò sul tardo pomeriggio decisero di non disattendere la piacevole abitudine che avevano preso di fermarsi davanti ad un bicchiere di buon vino. Entrarono in uno dei locali delle vie del centro e si sedettero. Ida e Tea si accorsero che gli occhi di Teresa si erano velati di tristezza. Che cosa era successo? Fantasmi erano comparsi improvvisamente dentro all’anima di Teresa, come ospiti inattesi, e si erano seduti al tavolo del suo cuore. Le amiche, delicatamente, iniziarono ad indagare e le parole vennero a fiumi, innaffiate da lacrime e vino.
La generosità e l’attenzione agli altri sono doti speciali, rare da trovare in un mondo perso davanti allo specchio, in cui ci si ammira mentre ci si mangia l’un l’altro, in un egoico cannibalismo. Le stesse virtù, però, portate all’estremo possono portarci ad auto-divorarci. Così era stato un po’ per Teresa, sempre così tanto attenta agli altri che si era dimenticata di sé stessa. Al vigoroso moto attivo verso l’esterno non era corrisposto un moto altrettanto forte verso l’interno. Così poi si era persa. “Ama il prossimo tuo come te stesso” aveva detto molto tempo fa Qualcuno di molto saggio. Non di più, né di meno. Se non ci si ama con forza, umiltà e gentilezza, non si può amare in modo sano gli altri. Non fa una piega. Mentre ascoltava le sue amiche parlare e sfogarsi dei loro problemi, Ida rifletteva su questo.
– Ad un certo punto perdiamo la rotta, un po’ come Ulisse tra i Lestrigoni ed i Ciclopi – pensava e le tornarono in mente i versi di Kavafis: “…In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,/ né all’irato Poseidone incapperai/se non li porti dentro/ se l’anima non te li mette contro…”. Il segreto era qui: se l’anima non te li mette contro.
Anche Tea e Ida avevano i loro mostri con cui combattere. Le ansie, le paure, la rabbia ci muovono ad azioni e a scelte che poi rivelano la loro fragilità, come giganti di terracotta. Così ciò che sembra grande e maestoso, sotto lo sguardo distorto dei nostri mostri interiori, si manifesta debole, e in ciò che pare piccolo e banale si svelano forza e verità.
In questa distorsione di sguardo sta il male, l’inganno.
– Un pomeriggio di tanto tempo fa abbiamo fatto una promessa: qualsiasi fosse stata la nostra vita, ci saremmo un giorno trovate di nuovo insieme e ci saremmo dette se abbiamo portato avanti i nostri sogni e se siamo felici. Ora siamo qui ed è il tempo della verità – disse Tea.
– I sogni cambiano, noi siamo cambiate –
– Sì, si cambia, Teresa, ma non è del tutto vero: quella che eri ancora abita in te, insieme a quella che sei ora. Questo è per ognuna di noi, per tutti.
– Bene, e cosa me ne faccio di questa me che mi ricorda ciò che non sono più o che non sono diventata? –
-La guardi, ci parli come ad una figlia e la ascolti. Ti prendi cura di lei. Se tutte noi riuscissimo a prendere per mano colei che eravamo quando ci affacciavamo alla vita e la facessimo camminare insieme a noi con la maturità e l’esperienza che ci hanno donato i nostri anni forse saremmo felici a pieno, perché saremmo veramente noi. Senza sensi di colpa né tradimenti. L’anima non mente. –
ra sfoghi e riflessioni passò il resto della sera. Ognuna con la sua battaglia e con il suo dolore. Un regalo del dolore è la condivisione e nell’abbraccio delle anime si genera vita. Si addormentarono in tempi diversi, ma con gli stessi pensieri ed un po’ di coraggio ritrovato. Quel loro incontro, le parole dette, il loro stare insieme non erano stati vani. La felicità ed il dolore condivisi in modo sincero e puro avevano generato energie nuove, anche se ora sembravano solo piccoli germogli.
Il giorno della partenza il cielo era color asfalto. E’ più difficile salutarsi con il tempo brutto, la tristezza si appiccica al cuore e pare non voglia staccarsi più.
– Ci dobbiamo rivedere presto. –
La solita frase che tutti pronunciamo quando non sappiamo bene quando sarà il tempo di incontrarsi di nuovo. Una speranza, il più delle volte.
– E adesso? Dopo questi giorni stupendi, che ne sarà di noi tre? Siamo state così bene.. –
– E dopo ci ricorderemo di noi e sarà la nostra forza. Ci ricorderemo di questi due giorni in cui non è successo nulla di particolare, in cui ci siamo nutriti di bellezza, chiacchiere, passeggiate …e cibo naturalmente. Annaffiato dal Bolgheri. –
Risata generale.
– Ci basterà. –
– Basterà? Sì, basterà a ricordarci chi siamo e dove vogliamo andare.-
L’altoparlante già annunciava l’arrivo del treno. Si abbracciarono a lungo, poi se ne andarono senza altre parole, ognuna per la propria strada.
Ida amava i treni e le stazioni. Vi aveva trascorso molto tempo nelle lunghe traversate estive Nord-Sud e poi Sud-Nord, ai tempi in cui l’alta velocità non c’era. Raggiungeva con la mamma ed il fratello, appena terminata la scuola, la casa di sua nonna e ripartiva quando il vento fresco di inizio settembre aveva già mutato il colore alle cose. L’avventura iniziava da lì, alla stazione. Anche con il passare degli anni, quando ormai adulta ripercorreva la medesima strada, ritrovava sempre in quel punto l’inizio di tutto.
Ida, seduta accanto al finestrino, pensava proprio a come nel tempo il sapore della partenza era rimasto uguale. La voce negli altoparlanti, lo sferragliare dei treni, la gente, gli odori, tutto contribuiva a metterle nel corpo un fremito che aveva il gusto dell’avventura. Questo le capitava sempre, anche quando doveva spostarsi per lavoro. Ed era bellissimo. La notte, poi, aveva un sapore particolare. Da bambina aspettava elettrizzata l’inserviente che portava le lenzuola e le federe, si sistemava il suo posto nel lettino in alto, poi mangiava il panino preparato per cena e giocava un po’ con il fratello, pregustando il piacere di distendersi su quelle inconsuete lenzuola e nel buio ascoltare i suoni delle stazioni e della gente che saliva, cullata dal ritmico e rassicurante andare del treno. Quelle lenzuola erano per lei d’oro, molto più che per l’imprenditore Graziano che in quegli stessi anni viveva un altro genere di avventura, meno pulita e meno affascinante.
Il tempo nelle stazioni e sui treni è sospeso. Pare una contraddizione per chi è sempre di fretta e rischia di perderlo, il treno. Ma se ci si distacca un attimo dalla frenesia che ci accompagna, ci si accorge che si è a mezz’aria, in attesa. Si attende il nostro treno, poi, una volta saliti, si attende di arrivare. Se usato bene questo tempo è meravigliosamente generativo. Si è in mezzo ad una moltitudine di altre persone con cui si condivide per un periodo più o meno lungo lo stesso luogo e lo stesso momento storico e nel non dover fare nulla, se non aspettare, si aprono molteplici possibilità: osservare, immaginare, aprirsi ad una condivisione con uno sconosciuto, fantasticare, prendere delle decisioni che possono anche cambiare la vita, o non prenderle, scegliere invece come occupare quel tempo scrivendo, leggendo, giocando, perdersi nei paesaggi, scegliere di non scegliere o di non fare nulla, decidere di non scendere alla nostra stazione e proseguire…
Proprio in quella sospensione generativa Ida ritrovava vitalità ed energia. Chissà se anche le sue amiche stavano sentendo ciò che provava lei, se anche per loro il semplice fatto di essersi ritrovate ed aver dato ancora voce alla loro parte zittita dal corso degli anni aveva avuto lo stesso senso. Chiuse gli occhi e si abbandonò al piacere di ritrovarsi ancora una volta adagiata sul sedile di un treno in corsa. Aveva davanti a sé una moltitudine di possibilità, ancora una volta e sempre. Non doveva far nulla di particolare ora, solo mettersi in ascolto ed attendere. La vita avrebbe fatto il resto.
Sara Govi
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Spirito delicato e sensibile, Sara Govi esprime una narratività vivace e insieme sorvegliata, attenta anche ai particolari, ma soprattutto agli aspetti psicologici dei personaggi che, proprio per questo, acquistano evidenza, ampiezza e spessore.
Il viaggio di Sara Govi è un viaggio soprattutto dentro di sé, espresso con acume, attento ai dettagli e intriso di dolcezza e apertura verso il mondo. Le tre amiche, come le Tre Grazie del Botticelli, sono simbolo dell’incedere della vita in un momento lieto e lieve.
Coinvolgente racconto introspettivo con quella particolare sindrome di Sthendal davanti all’opera di Botticelli che favorisce il viaggio a ritroso nelle terre di mezzo dell’adolescenza quando tutto è possibile. Efficace l’immagine del se stesso adolescente che ancora vive nelle tre protagoniste e l’invito a prendersene cura. Emozionante la descrizione della partenza in treno che apre nuovi orizzonti e al tempo stesso rimanda al passato per la sensibile Ida.
Ringrazio Anna e Giuseppe per i graditi commenti e Pasquale per avermi donato fiducia, attenzione e coraggio.
“Se non ci si ama con forza, umiltà e gentilezza, non si può amare in modo sano gli altri”. Queste tre qualità riassumono il senso del bel racconto di Sara Govi, narrazione del “rendez-vous” fiorentino di tre amiche che si concedono la tregua di un giorno magico, pieno di vita, d’arte e di ricordi.
È affascinante, quasi commovente, il tono, aperto ed entusiasta, di questo racconto ed è confortante per il lettore la fresca, confidente vitalità che lo pervade.
Complimenti sinceri all’autrice e grazie a Pasquale per avermela fatta conoscere.