Passioni politiche e civili a confronto
Dante Alighieri e Farinata degli Uberti
Questa mattina di domenica diamo il via a piccoli assaggi di capolavori o, comunque, di grande poesia o prosa. E da chi cominciare se non dal Sommo?
Scelgo un ampio brano del canto X dell’Inferno; e un personaggio, che la penna del poeta fiorentino ha destinato all’immortalità, Farinata degli Uberti.
Manente degli Uberti, detto Farinata, apparteneva a una nobile e ricca famiglia ghibellina di Firenze. Nato nei primi anni del Trecento, divenne capo della sua fazione nel 1239. Dopo vari scontri tra guelfi e ghibellini, con alterne fortune, si giunse alla battaglia di Montaperti (1260) dove prevalsero i ghibellini toscani che rientrarono a Firenze. Farinata esiliò i guelfi. Però quando i ghibellini pisani nel congresso di Empoli proposero agli alleati di radere al suolo Firenze, Farinata fu il solo ad opporsi, fermamente e tenacemente (“a viso aperto”) e, insieme, con prudenza e saggezza, salvando così la sua città natale; proprio come riferisce il Villani nella Nova Cronica ( VI, 81): “per uno buono uomo cittadino scampò la nostra città di Firenze da tanta furia”.
Ma andiamo nello specifico. Qui Farinata – in linea con il personaggio che la storia ci ha tramandato – irrompe nella scena, ex abrupto, quasi con gentile prepotenza, interrompendo il colloquio tra Dante e Virgilio. Ha urgenza di parlare con un concittadino, quale Dante si è rivelato dall’accento.
Personaggio di rara potenza, quello di Farinata, che Dante sbozza con la penna come e meglio di quanto uno scultore avesse potuto fare con scalpello e martello. Brucia, Farinata, non per le fiamme infernali (perché ha in disprezzo quel luogo e non se ne cura – “com’avesse l’inferno a gran dispitto”-), ma per la passione politica che ancora lo divora e per l’ingiustizia non solo della mancata riconoscenza per aver salvato Firenze, ma anche per la persecuzione a cui sono sottoposti i suoi discendenti (“perché quel popolo è sì empio /incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?). Il colloquio tra i due fiorentini a tratti è concitato, con chiari accenni di tensione, sempre però nei limiti della correttezza. Dopo l’episodio di Cavalcante, il dialogo riprende, mosso e fervido, per perdere di intensità, ma non di vivezza, al termine della puntuta e risentita, e anche dolorosa, rivendicazione di Farinata che si chiude al v. 93.
Non provo neppure a fare un’analisi del brano. Non è mia intenzione. E poi occorrerebero pagine e pagine. No, qui offro poesia.
E ora vi invito a una lettura a voce, partecipe. Emozionatevi.
«O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco. 24
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria natio
a la qual forse fui troppo molesto». 27
Subitamente questo suono uscìo
d’una de l’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio. 30
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ’l vedrai». 33
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’avesse l’inferno a gran dispitto. 36
E l’animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: «Le parole tue sien conte». 39
Com’io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?». 42
Io ch’era d’ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;
ond’ei levò le ciglia un poco in suso; 45
poi disse: «Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fiate li dispersi». 48
«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,
rispuos’io lui, «l’una e l’altra fiata;
ma i vostri non appreser ben quell’arte». 51
(Qui l’episodio di Cavalcante, omesso)
Ma quell’altro magnanimo, a cui posta
restato m’era, non mutò aspetto,
né mosse collo, né piegò sua costa: 75
e sé continuando al primo detto,
«S’elli han quell’arte», disse, «male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto. 78
Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell’arte pesa. 81
E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?». 84
Ond’io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio». 87
Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,
«A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo
sanza cagion con li altri sarei mosso. 90
Ma fu’ io solo, là dove sofferto
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
colui che la difesi a viso aperto». 93
«Deh, se riposi mai vostra semenza»,
prega’ io lui, «solvetemi quel nodo
che qui ha ’nviluppata mia sentenza. 96
El par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,
e nel presente tenete altro modo». 99
«Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,
le cose», disse, «che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce. 102
Quando s’appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano. 105
Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
che del futuro fia chiusa la porta». 108
Allor, come di mia colpa compunto,
dissi: «Or direte dunque a quel caduto
che ’l suo nato è co’vivi ancor congiunto; 111
e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
fate i saper che ’l fei perché pensava
già ne l’error che m’avete soluto». 114
E già ’l maestro mio mi richiamava;
per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio
che mi dicesse chi con lu’ istava. 117
Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è ’l secondo Federico,
e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio». 120
***
4 risposte
Grazie Pasquale, per avermi fatto rispolverare questo bellissimo brano di Dante. Di Farinata ricordavo quasi esclusivamente il nome in quanto, essendovi qui a Ferrara un avvocato Degli Uberti, in famiglia lo abbiamo sempre chiamato scherzosamente Farinata.
E l’episodio dantesco mi ha anche rasserenata. Viviamo in un’ epoca in cui gran parte delle persone sembra “fuori di testa” ma anche a quei tempi non se la passavano molto bene in quanto a salute mentale se si era deciso di distruggere Firenze e due salme – quella di Farinata e sua moglie furono esumate dalla Chiesa di Santa Reparata per un processo postumo di eresia.
In definitiva ” chi scappa da matto fa buona giornata”!
Siamo abituati a vedere in Dante il Cristiano e un cristiano condanna l’eresia. Non per nulla Farinata è fra gli eretici, in un avello infuocato che ricorda il rogo. Eppure Dante lo ammira e questo ha fatto pensare ad alcuni, fra gli altri Maria Soresina, la maggiore esperta di catarismo in Italia, che Dante simpatizzasse per questa dottrina. Tutto è possibile, il catarismo anche da noi era diffusissimo, ma, come per tutte le dottrine, c’erano sfumature e anche l’accusa rivolta a Farinata vai a sapere quanto avesse di fondato e quanto di dettato da vecchi rancori o da interessi ! Quando i corpi del grande condottiero e della moglie vennero riesumati e fu fatto un processo postumo con relativa condanna, cosa che se non fosse tragica, disumana e macabra, sarebbe ridicola, mentre si sottoponevano i poveri resti alla “ giusta punizione”, ci fu bene chi si ricordò di mettersi in tasca anche un bel po’ della roba che era stata della famiglia per cui..!.Forse Farinata era solo uno dell’idea che il Papa dovesse fare il pastore di anime e dunque pascolare solo in territori spirituali e non in altri! E questo lo pensava anche Dante. Era Cataro anche lui? Ci sta…ma credo che per parlare davvero di eresia ci vorrebbe di più e a quanto ne so né Farinata né Dante hanno mai cercato la purezza assoluta magari digiunando o rinunciando ai piaceri della carne. Dante avrà anche trovato duro, amaro, salato il pane mangiato in casa altrui, ma intanto l’ha mangiato… e non è andato a morire di fame sotto un ponte per avvicinarsi a Dio. Sarebbe come definire cataro San Francesco solo perché, lui sì, cercava la povertà, senza tener conto della sua visione del mondo con tutte le sue creature come opera di Dio e non del Male. Voglio dire che un elemento non basta per classificare chicchessia. Senza tanti discorsi su cataro-non cataro, credo che il giovane Dante ci abbia dato di Farinata un’immagine nobile e fiera semplicemente perchè ai suoi occhi era uno che alla resa dei conti aveva salvato Firenze. E non è cosa da poco. E mi piace pensare anche che il giovane Dante sia rimasto scosso dalla triste sorte postuma di quest’uomo, esempio di quanto in basso si possa scendere per interesse o per fanatismo religioso. In Farinata Dante ritrova il suo stesso amor patrio , il dispiacere di Farinata per l’allontanamento dalla città della propria famiglia è il dispiacere di Dante per il proprio esilio e nel grande condottiero il Poeta vede quel modello di cittadino forte e generoso che non trova più nella Firenze del suo tempo.
Analisi certamente plausibile.
In Farinata, al di là della vicenda che l’ha posto nell’Infermo, Dante riconosce la grandezza dell’animo, l’orgoglio delle proprie opere e convinzioni, il restare se stessi anche nella sorte più cruda. Farinata si erge dal proprio sepolcro “come avesse l’inferno in gran dispitto…”, poiché sa di essere “più grande” dell’inferno medesimo, del destino che gli è toccato, avendo fatto tutto per salvare la sua Firenze. Dante ha relegato i peccatori nei vari gironi, a seconda della gravità delle colpe commesse. Ma la gravità del peccato di alcuni non sminuisce la loro grandezza, anzi ne esalta la ferma consapevolezza. Farinata è uno di questi, a cui il Poeta medesimo riserva attenzione e rispetto. Si può essere e restare grandi nelle grandi colpe, e divenire miseri e insignificanti negli atti meno importanti e più vili.