Vincenzo Cardarelli, Cinque poesie

VINCENZO CARDARELLI

 

 

Il suo nome vero era Nazareno Caldarelli e nacque a Corneto Tarquinia (Viterbo) nel 1887. Fu una delle voci poetiche più notevoli del Novecento. Morì a Roma nel 1959.

“La poesia di Cardarelli è tesa –dal punto di vista espressivo, al recupero di una nobiltà e fermezza di pronuncia che tuttavia non esclude, bensì incorpora attivamente e suggestivamente spunti e modi di una colloquialità ironica e confidenziale”. (Giovanni Raboni, Poesia italiana contemporanea, Sansoni Editore 1981)

***

Gabbiani

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

*

Autunno

Autunno.
Già lo sentimmo venire
nel vento d’agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora che passa e declina,
in quest’autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.

*

Attesa

Oggi che t’aspettavo
non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice,
la tua assenza che tumultuava,
nel vuoto che hai lasciato,
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi.
Quale un estivo temporale
s’annuncia e poi s’allontana,
così ti sei negata alla mia sete.
L’amore, sul nascere,
ha di quest’ improvvisi pentimenti.
Silenziosamente
ci siamo intesi.
Amore, amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d’insulti.

*

Estiva

Distesa estate,
stagione dei densi climi
dei grandi mattini
dell’albe senza rumore –
ci si risveglia come in un acquario –
dei giorni identici, astrali,
stagione la meno dolente
d’oscuramenti e di crisi,
felicità degli spazi,
nessuna promessa terrena
può dare pace al mio cuore
quanto la certezza di sole
che dal tuo cielo trabocca,
stagione estrema, che cadi
prostrata in riposi enormi,
dai oro ai più vasti sogni,
stagione che porti la luce
a distendere il tempo
di là dai confini del giorno,
e sembri mettere a volte
nell’ordine che procede
qualche cadenza dell’indugio eterno.

*

Alla morte

Morire sì,
non essere aggrediti dalla morte.
Morire persuasi
che un siffatto viaggio sia il migliore.
E in quell’ultimo istante essere allegri
come quando si contano i minuti
dell’orologio della stazione
e ognuno vale un secolo.
Poi che la morte è la sposa fedele
che subentra all’amante traditrice,
non vogliamo riceverla da intrusa,
né fuggire con lei.
Troppo volte partimmo
senza commiato!
Sul punto di varcare
in un attimo il tempo,
quando pur la memoria
di noi s’involerà,
lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
concedici ancora un indugio.
L’immane passo non sia
precipitoso.
Al pensier della morte repentina
il sangue mi si gela.
Morte non mi ghermire
ma da lontano annùnciati
e da amica mi prendi
come l’estrema delle mie abitudini.

Vincenzo Cardarelli

 

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2 risposte

  1. Una poesia che sembra costringersi ad un autocontrollo interiore, per rimanere nei canoni di una classicità che pure avverte un po’ stretta. Una forma pulita, depurata da astrusitá, un narrare preciso e apparentemente tranquillo, da cui tuttavia traspare una inquietudine esistenziale, una certa dose di insicurezza del vivere. Tutto questo rinchiuso, guidato e nobilitato dalla profondità dei sentimenti, di una visione ritornata ad un romanticismo velato di un sotterraneo pessimismo, con la sensazione evidente, quasi fisica, della ubiqua precarietà
    delle cose e delle situazioni, nello scorrere inesorabile dei giorni. Che emerge d’un colpo, improvviso e quasi costante, nell’ultimo verso di ogni lirica. Una firma personale… inconfondibile.

  2. Io di Cardarelli ho sempre apprezzato quella che forse è la caratteristica dominante della sua poesia: il talento descrittivo.
    Questa qualità, dove la capacità pittorica è sempre calata in un clima emotivo, si potrebbe definire “descrittivismo patetico”.
    In aggiunta alle poesie postate da Pasquale aggiungo questa, forse la sua più famosa, dove le immagini, tratte dal bagaglio della memoria e sovente coagulate in icastici binomi sostantivo -aggettivo, si susseguono nitide e suggestive. Questa elementare trama descrittiva è amplificata da similitudini immaginifiche e intriganti ( il sole-serpe, le chiese-navi salpanti, la sera-fiore in decomposizione).

    Liguria
    È la Liguria terra leggiadra.
    Il sasso ardente, l’argilla pulita,
    s’avvivano di pampini al sole.
    È gigante l’ulivo. A primavera
    appar dovunque la mimosa effimera.
    Ombra e sole s’alternano
    per quelle fondi valli
    che si celano al mare,
    per le vie lastricate
    che vanno in su, fra campi di rose,
    pozzi e terre spaccate,
    costeggiando poderi e vigne chiuse.
    In quell’arida terra il sole striscia
    sulle pietre come un serpe.
    Il mare in certi giorni
    è un giardino fiorito.
    Reca messaggi il vento.
    Venere torna a nascere
    ai soffi del maestrale.
    O chiese di Liguria, come navi
    disposte a esser varate!
    O aperti ai venti e all’onde
    liguri cimiteri!
    Una rosea tristezza vi colora
    quando di sera, simile ad un fiore
    che marcisce, la grande luce
    si va sfacendo e muore.

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