Eccezionale ritrovamento da parte del Regio Archivio Loscazzo
Nota del Direttore dell’Archivio
Gioia e sorpresa per l’inattesa scoperta del sottostante reperto avvenuta circa sei mesi fa.
L’Archivio lo pubblica solo ora perché il ritrovamento, avvenuto da parte del Prof. Torquato Intralice, studioso dei documenti dell’Archivio (che nella zona del ritrovamento era andato solo per un periodo di riposo in un suo poderetto,) è stato fatto in territorio relativamente lontano da quello dell’Archivio per cui sono state necessarie verifiche per avere la certezza che tale opera fosse riconducibile a un membro dei poeti che operavano nella “ cerchia” dell’Archivio e che solo in zona marittima pensavamo avessero lasciato traccia del loro lavoro. Al fine di una sicura attribuzione, l’Archivio ha inviato altri esperti ad analizzare il sito per capire, con le dovute analisi scientifiche, il motivo di un ritrovamento così fuori zona. Il rapporto ufficiale, firmato dagli Archeologi Isaia Sovvecchio e Gino Purìo e dal restauratore di documenti Daniele Laschiappa riporta le conclusioni con minuziosa precisione:
“ Si venne, si scavò in cantina indov’era franata la parete di fondo, si levò polverume e ragnatele, si dette un par di granatate ai topi, si guardò quel che c’era da guardare e si vide che di roba ce n’era parecchia. E, siccome era vecchia e tutta sbrindellata come quella dell’Archivio, deducemmo scientificamente che era per forza la solita roba. E quindi era bona. Poi si tornò in superficie dove si unì a noi lo psicologo, Dott.ssa Rosa Lavacca, per approfondire da ogni punto di vista il motivo di un ritrovamento in tale locazione. La Dott.ssa dette un’occhiata ai dintorni, al podere e concluse che l’aria era bona, la cucina anche meglio, il vino lo stesso e approdò alla conclusione che gli autori solitamente operanti nella zona marina dell’Archivio usavano spostarsi qui, in collina, probabilmente nel periodo della vendemmia e dei funghi. Forse anche dei granocchi, ma questo punto ‘un è sicuro e andrà probabilmente ridiscusso. A seguito di ciò approntammo il presente documento da tutti firmato col quale assicuriamo la validità del ritrovamento e la relativa attribuzione .
Poi si chiamò la Rosina che faceva la torta di susine, si fece merenda e si venne via co’ un fiaschetto per regalo.”
Questa, la relazione dei nostri esperti che ci permette di pubblicare finalmente, e con sommo orgoglio, il primo dei ritrovamenti in quella che indicheremo come la Zona Collinare dell’Archivio , documento che presentiamo preceduto dalla nota introduttiva dello scopritore, l’esimio Prof. Torquato Intralice, docente di “ Scienze del ritrovamento cartaceo ed affini” all’Università di Santa Marta della Rufina.
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NOTA Introduttiva del Prof. Torquato Intralice
Sollecitato ad effettuare ricerche di testi originali nella mia zona dall’ormai plurivisitato Regio Archivio Loscazzo, mi sono imbattuto dietro un mattone di un muro della mia cantina in quella che a mio avviso è la versione originale di un sonetto del Foscolo, evidentemente cestinato da un incauto ricercatore. Naturalmente ho inviato il tutto all’equipe dell’Archivio Loscazzo per ulteriori analisi e verifiche di paternità dell’opera e ora, ottenuta conferma, ho deciso di rendere pubblica la primigenia versione del sonetto. (Ugo, notoriamente, amava tirare il collo al fiasco, come il più recente Carducci e poi traduceva in versi questa sua smodata passione.) Per confronto si riporta in primis anche il sonetto “fasullo”, quello giunto fio a noi rimaneggiato da ignoto autore e passato per foscoliano forse per evitare dileggio all’autore del primo che, imbevuto del divino liquore, non l’avrebbe neppure capito.
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“CHE STAI?”
(Versione giunta a noi rimaneggiata non si sa bene da chi)
Metro: sonetto (ABBA, ABBA, CDC, EDE).
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Che stai? già il secol l’orma ultima lascia;
dove del tempo son le leggi rotte
precipita, portando entro la notte
quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.
Che se vita è l’error, l’ira, e l’ambascia,
troppo hai del viver tuo l’ore prodotte;
or meglio vivi, e con fatiche dotte
a chi diratti antico esempi lascia..
Figlio infelice, e disperato amante,
e senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
giovine d’anni e rugoso in sembiante,
che stai? breve è la vita, e lunga è l’arte;
a chi altamente oprar non è concesso
fama tentino almen libere carte.
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Di seguito, il sonetto originale, sentito, sofferto, appassionato, personalissimo e certo di ben altro valore.
CHE FAI?
Che fai? già il fiasco vuoto ora qui lascia,
poiché col tempo morta è ormai la botte,
precipiti inciampando entro la notte,
quattro cantoni… e poi qualcun ti fascia.
Che se il trincare è error, l’ira e l’ambascia
troppo hai nel bere tuo l’ore prodotte;
or meglio vivi e con ciucciate dotte
a chi ebbro diratti esempi lascia.
Figlio infelice e disperato amante,
senza più vino, a tutti aspro e a te stesso,
giovine d’anni e ruvido in sembiante.
Che fai? breve è la vita e bere è un’arte;
a chi più gotti aver non è concesso
fama dispensi almen Venere o Marte.
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8 risposte
L’eccezionale ritrovamento dimostra – se ancora ce ne fosse bisogno – che la poesia e la letteratura in genere, compreso il teatro, non sono altro – come asseriva Solone – che menzogne. Un dire bugie con garbo, con metodo, attirando il pubblico in un’area proprietaria di sogni, illusioni, scherzi, invenzioni. Che, però, danno sapore alla vita. Si anticipa, avendo raccolto voci nella cerchia dei ricercatori di testi inediti o sconosciuti del regio Archivio Loscazzo, per bocca dell’esimio professore Torquato Intralice che, pare, altri ritrovamenti possano presto emergere da quella sua vecchia cantina, frequentata evidentemente anche in passato dai nostri Maggiori, colà attirati da bevute di qualità, con i vini di quelle ubertose colline. E la sopraccitata Rosina, dispensatrice di fiaschetti alla partenza, contribuiva non poco a far procedere nel ritorno i letterati avventori di sghembo, compreso il Torquato Intralice, che di sghembo andava già di suo.
E lo dicevo io, caro Torquato Intralice, che non avresti resistito ad intraprendere questa nuova avventura che ti pone come personaggio di spicco dello stimato Regio Archivio Loscazzo che, come vedi, ha messo in grande rilievo il tuo ritrovamento già pubblicato su questo blog. Ti auguro buon lavoro per il faticoso lavoro di restauro dei reperti magari aiutato da qualche gotto di quello bono.
Carissima Carla, a nome dell’amico prof. Intralice, che in questo momento è inabilitato a ringraziarti perché in ostaggio di un sopore etilico che lo ha sprofondato in un sonno profondo a causa di diverse gozzate di Brunello riserva 2015, ingurgitate, tra l’altro, a digiuno, ti invio i suoi più cari saluti e apprezzamenti, sperando che anche in seguito tu abbia la bontà di seguire lo sviluppo dell’Archivio medesimo, elargendo le tue competenti valutazioni e suggerimenti. Grazie ancora.
Mi si allarga il cuore a leggere tali versi…la genuinità, il pathos del testo ritrovato sono indiscutibili per chiunque si intenda di poesia ed abbia avuto a che fare con l’opera di tanto autore. Lì, nell’originale, c’è l’anima sua, lì l’inclinazione viva e vera verso il beveraggio che l’origine stessa da colui che per primo piantò la vigna ha reso sacro. Nulla di così intenso si trova più nel rifacimento, opera di un ben più modesto autore o forse del medesimo ma in preda a crisi produttiva.( Anche i migliori hanno i loro momenti no.) Un grazie di cuore al Prof. Intralice del quale ho sempre apprezzato la serietà nell’analisi dei testi , la passione per la ricerca e quella saggezza tutta particolare di ciuccicchiarsi una mezza pintetta di quello bono prima di avviarsi giocondo e rubicondo, felice ed ” in tralice” al suo tavolo di lavoro.
Se l’Archivio Loscazzo fosse un albero, si potrebbe dire che dalla sua base è venuto fuori un nuovo e ben vigoroso pollone.
sicuramente Pasquale! in effetti il Prof. Intralice porta assai bene i suoi anni ed ha un certo fiero modo di procedere a petto in fuori che lo rende fin troppo gradito a certe pollastrelle 🙂
Esimia Professoressa Adila Del Guerriero, anch’io mi sono ritrovata tra vecchie carte, durante un farraginoso trasloco, una busta conservata religiosamente da un mezzo parente – certo Balduccio Laschiappa – che collezionava autografi. Tra gli altri vi ho trovato due testi del Carducci scritti, durante le sue proverbiali abbuffate, su carta da salame unta e bisunta e quindi pressoché illeggibili. Balduccio in una sua nota personale, prima di decifrarne il contenuto, afferma che il primo fu vergato dal poeta piangente come una fontana per la tristissima sorte di quelle povere creature che egli stava ingurgitando a quattro palmenti -in pratica stava mangiando “polenta e osei” – annaffiati da numerosi bicchierozzi di Valpolicella d’annata e la poesia “La volpe agli irti colli” è già stata pubblicata su questo blog. Il secondo invece fu ispirato – sempre a detta di Balduccio che ne aveva controllato le fonti – da una fiorentina di due chilogrammi abbondanti che il Sommo stava divorando con baffi e barba che colavano sugo. La riporto qui sotto chiedendo venia per qualche imperfezione formale dovuta all’interprete che non era uomo di lettere o allo stesso Carducci già alquanto alticcio al momento della scrittura.
Il bove
T’amo pio bove e con struggimento
penso alle tue bistecche coi carciofi
sia saltate alla brace in un momento
o cotte a fuoco lento coi tartufi.
E tu del tuo destin fatto contento
e di non aver la mucca per consorte
all’uomo con un grato sentimento
affidi un poco ottuso la tua sorte.
Della tua coda cotta per benino
egli fa un piatto detto “vaccinara”
che poi accompagnato da un buon vino
lo fa sognare, sazio, nella sera
di fare a letto un dolce riposino
senza pensare alla sua vita amara.
Vivissimi ossequi
Esimia Professoressa Adila Del Guerriero, ritengo che la mancata risposta alla mia del 18 giugno sia silenzio-rigetto. Ovverosia Lei non ha ritenuto autentici i reperti che ho sottoposto al suo giudizio. Mi dispiace moltissimo in quanto Balduccio Laschiappa aveva speso un capitale- credendolo un ottimo investimento – per questa sua mania degli autografi vendendosi anche, per sopperire alle spese, la mula bianca. Ma si sa i poeti non interessano a nessuno: se avesse comprato le mutande della bella Otero queste sì che con il tempo avrebbero moltiplicato il loro valore.
Va bene che Balduccio non era uomo di lettere e neanche quella che si dice un’intelligenza brillante: ci vollero mesi perché imparasse a pronunciare correttamente il nome del padre dell’Iliade Omèro e non O’mero la qual cosa poi l’indusse successivamente a dire a tutti che si era lesionato l’omèro quando si ruppe l’osso del braccio. Però era uomo attento ed abile negli affari. Conservo ancora qualche lacerto di questi suoi investimenti sbagliati e li sottoporrò alla sua cortese attenzione prima di buttarli a mare.
Ossequi vivissimi