SIRO ANGELI
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Friulano innamorato della sua terra, Siro Angeli nacque a Cesclans (frazione del Comune di Cavazzo Carnico, in provincia di Udine) nel 1913. Fu poeta, autore di teatro ed anche critico letterario. Combatté in Russia durante la seconda guerra mondiale, poi si trasferì a Roma dove , dopo altri impegni lavorativi, svolse funzioni di dirigente Rai per circa venticinque anni. Morì nel 1991 a Tolmezzo. Tra i titoli di poesia in lingua italiana si ricordano: Il fiume va, 1937; Erba tra i sassi, 1942; Il grillo della Suburra, 1960; L’ultima libertà, 1962; Màtia Mou, 1976; Da brace a cenere, 1986; delle sillogi in friulano: L’Âga dal Tajament, 1976; Barba Zef e jò, 1985. Scrisse anche per il teatro.
“Siro Angeli si muove nel solco della tradizione, con qualche attenzione all’ermetismo ma distendendo il flusso poetico in una pacata narratività (soprattutto nelle poesie in friulano) e tentando il recupero di dimensioni e modelli antichi allo scopo di rinnovarli. Questa operazione gli consente l’acquisizione di un linguaggio poetico assolutamente personale e fuori da ogni scuola o tendenza del suo periodo, e di uno stile sobrio, asciutto, nitido.”(P. B.)
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da L’ultima libertà (Mondadori, 1962)
Che a me venisse amore
Che a me venisse amore
con i tuoi occhi alfine
tanto creduto avevo
che a me è venuto, amore.
Che amore non finisse
per me dentro i tuoi occhi
tanto temuto avevo
che a morte egli lo disse.
E morte, perché amore
non avesse mai fine,
fermò solo il tuo cuore;
e il verde dei tuoi occhi
divenne il suo colore.
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Volevi essere mia
Volevi essere mia
come nessuna è stata
ad uomo in terra mai:
Lilith, Eva, Maria.
Come nessuna amata,
facevi una mattina
di ogni mia giornata,
quando di stanza in stanza
un passo adolescente
andava, di bambina
cresciuta troppo presto,
e un ridere di niente
bastava alla speranza.
Poco durò. Non era,
vivere, solo questo.
Almeno più leggera
la terra del mio strazio
io prego che ti sia,
ora che in breve spazio
ti accoglie, a lei tornata
per rimanere mia
come nessuna è stata
ad uomo o sarà mai:
Lilith, Eva, Maria.
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Rasente i muri andando
Rasente i muri andando
per strade ed ore vuote
a tarda notte, quando
si spegne ogni finestra,
ogni porta si chiude,
e tu indugiando tra gli ultimi
tram guardi frettolosi
su cigolanti ruote
ritornare al deposito –
anche uno che ti insulti
ringrazieresti, in questa
quiete di palude.
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Dicembre nella stanza
Dicembre nella stanza
vuota mi inoltra. Duole
agli occhi quel riflesso
di sole che si insinua
dalle persiane. Sole
sul bianco soffitto
due mosche immote stanno.
Ma la vita continua
dicono. Il raggio fruga
inquieto l’ombra, sfiora
il letto intatto. Dentro
lo specchio c’è una fuga
di oggetti che ti ignorano.
Rigermina, all’inganno
del raggio, una precaria
estate. Ed ebbre, adesso,
le mosche in una danza
d’amore e morte vanno.
La vita è così varia.
D’oro per un momento
palpitano nell’aria;
poi giù sul pavimento
scendono a capofitto
come la mia speranza.
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da Da Brace a cenere (Lacaita, 1986)
Rosa sapiens
Una rosa
nascendo nuova
e ignara
di sé, si perde
a cercare che cosa
è. Sul confine
tra il rosso
e il verde
lo impara
dalle spine
che si ritrova
addosso.
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Rosso di sera
Fino a quando i momenti buoni
non saranno venuti, tu spera
che un giorno o l’altro la vita
di essere vita si perdoni
come in questo rosso la sera
si perdona di essere finita.
Siro Angeli
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6 risposte
La poesia di Siro Angeli procede per strofe monometriche o polimetriche di versi di lunghezza media ( settenari-novenari,decasillabi) o breve ( ternari, quaternari, quinari).
C’è quindi un certo ritmo e anche un gioco di rime, specie a fine strofa. Frequente la disposizione sintattica latineggiante del verbo a fine periodo
L’impressione complessiva che se ne ricava è quella di un dettato descrittivo-meditativo-giocoso.
Concordo con quanto fatto notare da Luciano. Una poesia apparentemente semplice. Spesso, specialmente nelle composizioni più brevi, dalla struttura e contenuto di aforisma. Rara la rima, che non sembra intenzionalmente cercata. In certe parti evanescente e leggera; in altre un ridondare giocoso e invertito del verso, piacevolmente gestito.
Caro Luciano, Siro Angeli è nato in terra di confine e anche la lingua tedesca -se non ricordo male – dispone il verbo a fine periodo. Quindi nessun artificio in questo poeta ma solo l’uso di una forma verbale che gli è consuetudinaria.
Per il resto è ben vero che un po’ di metrica eleva il testo sempre ad un grado superiore di quello raggiunto da quelli che la evitano. Queste poesie – anche se talvolta un po’ contorte nella sintassi – sono gradevolissime nella loro semplicità e nella delicatezza dei sentimenti. Anche il metro breve è trattato con molta sapienza evitando ritmi troppo insistiti.
Grazie cara Carla per l’illuminante precisazione linguistica.
Ma tutto il tuo commento è molto interessante.
Grazie a te per il tuo apprezzamento.
Ora sì, ora ci siamo 🙂 Questo è un altro dei molti autori che non conosco ed è uno di quelli che sono contenta di aver incontrato. Versi brevi, chiari, semplici; immagini limpide che ti si presentano così, senza involucri ermetici che potranno suscitare con le loro” oscurità” l’ammirazione degli intellettuali , ma che in me fanno nascere solo la voglia di “ levarmeli di torno” presto e definitivamente. Un autore così ti si presenta come un amico, una persona disposta a comunicare, che ti apre la sua anima… ed io ascolto volentieri chi vedo che mi si accosta con semplice “ normalità”. Bellissima “ Volevi essere mia” : un amore che ha riempito la vita e che è finito presto, un’immagine femminile dolce e leggiadra, un sorriso adolescenziale, un affetto sincero, una passione ardente. Lilith, Eva, Maria: la donna completa. La sua presenza luminosa, il suo cammino troppo breve hanno lasciato dietro di sé un’anima dolente, strade deserte in inquiete passeggiate notturne, una stanza muta …. Con tutto ciò il mondo va avanti, due mosche si affaccendano nelle loro cose…per gli altri nulla è cambiato…la fragilità dei momenti d’oro…l’osservazione che la vita dovrebbe perdonare se stessa per quello che ci fa. Ci vuole un vero poeta per dire poco e farti intuire tutto… così, in maniera semplice, umana e vera, senza rigirii di parole, senza ricorso a maschere ermetiche che poi …ma a che servono? All’ufficio complicazione affari semplici? La realtà, l’amore, il ricordo di una risata, l’immagine di due occhi che nulla può cancellare, e il dolore ,e il vuoto…!chi ha provato davvero il dolore, l’amore, la perdita, non ha nemmeno voglia di arrovellarsi a studiare forme complicate per dire di sé…parla come il cuore detta, vuole essere capito per trovare conforto nell’idea che altri possono comprendere la sua pena e stargli vicini. Quando si scrive si cura la forma, certo, non è che uno butta là i pensieri in maniera sgangherata, il cosiddetto lavoro di lima c’è per questo, no? ma io non credo che chi sente davvero quello che dice abbia voglia di studiarsi maniere “troppo” particolari che tanto, inutile chiacchierare, sono costruzioni ..insomma… quanto sono sinceri quei sentimenti in cui la spontaneità è del tutto soffocata?