ALESSANDRO PARRONCHI
Nato a Firenze nel 1914, vi è morto nel 2007, dopo una vita trascorsa in fervida attività culturale. Laureato in Storia dell’arte, fu soprattutto critico d’arte e poeta, ma anche saggista e traduttore. Insegnò prima in istituti superiori, poi all’Università, frequentò gli ambienti letterari e artistici della sua città, dove fu in contatto con moltissimi poeti, scrittori e artisti di quel periodo. Tra le opere di poesia si citano: I giorni sensibili, 1941; I visi, 1943; Un’attesa, 1949; L’incertezza amorosa, 1952; Coraggio di vivere, 1956; La noia della natura, 1958; L’apparenza non inganna, 1966; Pietà dell’atmosfera, 1970; Replay, 1980; Climax, 1990.
*
A mio padre, in sogno
Sorridi un poco e te ne vai pensoso.
E ad un tratto con lacrime mi chiedo
quanto tempo è che al petto non ti stringo
non afferro da amico quelle braccia.
La memoria ha insensibili naufragi.
Scolora come il cielo di settembre
sotto il vento si popola di nubi.
Te ne vai. Quante cose all’improvviso
mi ritrovo da dirti… E resto muto.
Ma perché nell’istante che mi volto
non sei più là? Ci sono tante cose
da dirsi… Ed io ti chiamo ancora, e credo
che non può certo, questo, essere un sogno.
*
Gatti
Quando una volta libero dai lacci
d’un’esistenza troppo a lungo spintasi
queste ossa liberando in volo eterno
io ritrovi la pace, come vivere
un mondo senza quelle meraviglie
che a quando a quando allietarono in vita?
Così sedendo assorti nel respiro
scambievole di un universo amico
che sorpresa sentirsi accanto il pelo,
le fusa di uno, o tanti che ci amarono,
gatti, cari compagni avvicendatisi!
Non i soli, ma i più discreti, i soli
a salvare fresche oasi di silenzio
e di concentrazione.
*
Alle Marche
Sempre mi sarai estranea
dolce terra delle Marche non mia.
Non sono quei forestieri
che subito familiarizzano
impadronendosi di abitudini e intrighi.
Io non conosco i tuoi morti.
So poco della tua gente.
Solo m’incanta l’aspetto
delle tue valli e mura, il raro verde
che interseca il giallo dei grani,
e negli inverni il bianco della neve
che a notte sul Nerone alla luna lampeggia.
Con ciò non posso dire di conoscerti.
La tua storia mi manca alle spalle.
Sono straniero, abito in poco spazio.
A me basta un quartiere e una campagna
lontani da qui e diversi
da amare e detestare in questa vita.
Ma mi accade talvolta di fuggire
col pensiero ai meandri delle Marche,
al frastaglio che creano ombre di nuvole
ai confini dell’orizzonte, al vento
che ora li accarezza ora li sferza.
Ed alle volte tanto mi c’interno
che dopo a malincuore torno via.
*
Un anno
Mi vellica il vento dell’estate
scorsa con un motivo di canzone
e mi avvicino al davanzale il volto
di te che te ne vai, sicuro
di veder riapparire.
Per quante estati ancora? Forse l’ultima
è questa. O forse qualche altro anno il fato
di vita ci serba…
Ma allora non decada
questa già tanto, per stanchezza o ignavia,
debole umanità.
Quello che abbiamo in noi
tutto e presto s’esprima.
Dopo vivremo giorno giorno
non più per noi, per gli altri.
Ma anche l’arte non è inutile, quando
non è chiudere gli occhi. Poesia
non è voltarsi indietro ma discernere
tra quel che all’uomo è di necessità
primaria, imprescindibile,
tra la fame la sete il sesso il sangue
e le cose di cui non può far senza,
la nostra cecità mascherata di scienza,
un rimpianto, un ricordo,
un sospetto di sopravvivenza,
un futuro già presente…
*
Balcone fiorentino
Primi taciti voli, primi fuochi
s’accendono: vediamo scolorare
i veli d’una sera alta e tremante,
mentre adagio nel rosa intente squadre
di donne s’allontanano
con le nuche presaghe già di notte.
E adagio i venti vengono sull’Arno,
a un tocco di neve
s’appannano i verdi pavimenti
già s’ascolta
ciechi passi disperdere nell’ ombra
l’oro d’un usignolo inaridito.
D’una donna nel passo accentuato
s’incammina l’inverno e appena il viso
accosta un qualche dio d’onice intriso
al viso della luna incipriato.
È primavera, e ignote voci sperdono
dove un più luminoso albero chiama
la notte amica, l’albero più verde
nel vento che lo muove di lontano.
Alessandro Parronchi
7 risposte
Commovente il contrasto tra finito e infinito. Una lezione di respiro
“Poesia dell’assenza”, questa di Parronchi. L’assenza della figura paterna ritrovata nel sogno, a cui il poeta vorrebbe raccontare di sé, dire le cose non dette quando avrebbe potuto. Poesia dell’assenza rivissuta con malinconica rassegnata dolcezza, con una misurata mestizia che si ritrova nelle descrizioni delicatissime dei paesaggi, delle stagioni, del cielo e delle nubi: panorami sentiti e vissuti nell’animo, più che luoghi esternamente e ralmente presenti. Una metafisica impregnata di sentimento e di delicata dolce sofferenza. Mi piace.
Mi siano scusati i refusi. Scrivendo con il cellulare commetto errori di battitura. Grazie e un caro saluto a tutti i frequentatori del Blog.
È l’endecasillabo sciolto il verso dominante della poesia polimetrica di
Alessandro Parronchi. Poesia calata in una dimensione esclusiva, transcronica.
Narrativa, meditativa, autoanalitica , a tratti persino visionaria ma soprattutto descrittiva, in un eloquio sorvegliato e fluente.
Ci si imbatte non di rado in acute similitudini, risolte con sintetica, intensa inventiva verbale:
“La memoria ha insensibili naufragi”
Caro Pasquale, questo tuo rispolverare poeti, alcuni molto talentuosi come appunto Parronchi, caduti nel dimenticatoio, mi mette una grande malinconia. Inoltre spesso e volentieri i testi che pubblichi parlano di morte.
I nostri avi concepivano la poesia non così a senso unico: “La signora Cattareina”, Trilussa e tanti altri che la mia ignoranza non mi permette di elencare erano e sono molto godibili. E allora, ogni tanto, se proprio non hai materiale del genere da postare che sia d’Autore, rivolgiti alla bravissima Lidia che ci farà ridere di gusto. Ne abbiamo tanto bisogno.
Ma vedi, cara Carla, che io pubblico ciò che i poeti hanno scritto e lo faccio perché, in qualche modo, continui ad aver voce chi non ha più voce. Poi, se i poeti sono spesso tristi e parlano di morte e di altre tristezze, non posso farci nulla. Ma vedrò di dare spazio anche alla poesia umoristico-satirica.
Vorrei dire, di Parronchi, che forse quello che mi colpisce di più è la sua capacità di sintetizzare, nell’operazione poetica, stimoli, spunti, suggestioni e sensibilità derivanti da un più ampio e complesso mondo artistico, segnatamente da quello pittorico. Si spiega così quella verbalità fluida e insolita, spesso inedita, che veste e manifesta il ribollire del suo mondo interiore. Mi è venuto da pensare, per un attimo, all’école du regard, ma non in senso stretto, canonico; perché sono comunque gli occhi a svolgere un ruolo non secondario nella poesia di Parronchi che, più che “visionaria” -come pur afferma Luciano nel suo pregevole commento- è visiva, anche se il poeta impiega davvero poco a sollevarsi dalla quotidianità per tentare l’infinito.