Giovanni Raboni, da Canzonette mortali

GIOVANNI  RABONI

 

Giovanni Raboni (Milano 1932 – Parma 2004) è stato   traduttore, critico letterario, cinematografico, teatrale, politico e voce poetica  di grande rilievo della poesia del Novecento e dei primi anni Duemila. La sua opera in versi è integralmente raccolta in Tutte le poesie. 1949-2004, Einaudi, 2014). Si è sentito, sotto il profilo poetico, interprete della “linea lombarda”.

 

Giovanni Raboni, da “Canzonette mortali”

***

Io che ho sempre adorato le spoglie del futuro
e solo del futuro, di nient’altro
ho qualche volta nostalgia
ricordo adesso con spavento
quando alle mie carezze smetterai di bagnarti,
quando dal mio piacere
sarai divisa e forse per bellezza
d’essere tanto amata o per dolcezza
d’avermi amato
farai finta lo stesso di godere.

*
Le volte che è con furia
che nel tuo ventre cerco la mia gioia
è perché, amore, so che più di tanto
non avrà tempo il tempo
di scorrere equamente per noi due
e che solo in un sogno o dalla corsa
del tempo buttandomi giù prima
posso fare che un giorno tu non voglia
da un altro amore credere l’amore.

*
Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno
dopo l’altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di vecchio, per paura
di perderti – o perché
avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo, intanto,
come sta fermo un ramo
su cui sta fermo un passero, m’incanto…

*
Non questa volta, non ancora.
Quando ci scivoliamo dalle braccia
è solo per cercare un altro abbraccio,
quello del sonno, della calma – e c’è
come fosse per sempre
da pensare al riposo della spalla,
da aver riguardo per i tuoi capelli.

*

Meglio che tu non sappia
con che preghiere m’addormento, quali
parole borbottando
nel quarto muto della gola
per non farmi squartare un’altra volta
dall’avido sonno indovino.

*

Il cuore che non dorme
dice al cuore che dorme: Abbi paura.
Ma io non sono il mio cuore, non ascolto
né do la sorte, so bene che mancarti,
non perderti, era l’ultima sventura.

*

Ti muovi nel sonno. Non girarti,
non vedermi vicino e senza luce!
Occhio per occhio, parola per parola,

*

Penso se avrò il coraggio
di tacere, sorridere, guardarti
che mi guardi morire.

*

Solo questo domando: esserti sempre,
per quanto tu mi sei cara, leggero.

*
Ti giri nel sonno, in un sogno, a poca luce.

*

Giovanni Raboni

***

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7 risposte

  1. “Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno
    dopo l’altro ti lascio, anima mia.
    ….”
    Io trovo la poesia di Raboni piuttosto faticosa, provvisoria e incompiuta, una poesia per tentativi, imbastita ma non finita, come un abito in prova, come perennemente alla ricerca di uno slancio e di una forma.
    Però ogni tanto qualche buon momento ce l’ha: i due versi in vocativo che ho riportato e virgolettato sono ragguardevolissimi, sostenuti da un empito lirico autentico, intrisi da una tristezza sconfinata.

  2. Belle e delicate poesie d’amore queste di Raboni, assai in contrasto con quelle della sua amante Patrizia Valduga (che pure ammiro) in cui il sesso è sempre una cruenta partita di boxe.
    Li ricordo entrambi quando venivano a Ferrara per uno di quegli incontri organizzati da Roberto Pazzi, a spese del Comune, in cui lo scrittore ligure tentava di promuoversi come poeta. La Valduga, piccolina e insignificante, Raboni un vecchio, capelli e barba bianchi a onta dei suoi soli cinquant’anni, apparivano come un padre che esibisce orgoglioso la figlia.
    E infatti quei vent’anni di differenza di età fra di loro permeano molte delle poesie postate da Pasquale, nelle quali si avverte il rammarico dell’uomo di non essere più adeguato ad una donna nel fiore degli anni, o meglio di una femmina lussuriosa che ha sempre amato presentarsi come ” una mangiatrice di uomini”.
    Comunque sia, le poesie sono belle e non ha importanza da quale corda del cuore scaturiscano.

    1. A differenza di Raboni che ha una poesia composita e costruita, Patrizia Valduga è un talento poetico autentico e magistrale è la sua gestione delle rime e dei ritmi.
      La scrittura poetica delle sue quartine, Carla, è sorgiva e lampante, una meraviglia di sintesi verbale e di corrispondenze fonetiche.
      Detto ciò, è illuminante la tua testimonianza diretta su questa celebre coppia di poeti- amanti.

      1. Caro Luciano, come critico sei molto più ferrato di me, tuttavia ritengo non sia giusto bollare tutti quelli che non scrivono in metrica perfetta. Anche a me, come sai, piace la metrica però spesso ritengo sia sufficiente una buona musicalità senza raggiungere la perfezione e questa non va mai disgiunta dai contenuti che talvolta possono essere molto pregnanti pur senza armonia formale. Tu assai spesso scrivi di un testo che è “prosastico” anche se la prosodia c’è sebbene non molto ritmata. Che cosa vorresti dire con quel termine? Perdonami, Luciano, non è per contraddirti, è solo per capire, io ho fatto studi scientifici e anche il buon Pasquale spesso mi insegna qualcosa. Ciao, aspetto tue delucidazioni.

  3. Quando, parlando di un testo esibito come “poetico”, uso il termine “prosastico” , Carla, non mi riferisco al suo valore contenutistico intrinseco, che in qualche caso può essere anche ragguardevole, ma alla sua struttura sintattica.
    Quindi, riferendomi a testi poetici, non do a priori a questo termine un significato negativo.
    È insomma una valutazione di ordine puramente formale.
    D’altra parte scrivere in metrica perfetta non vuol dire necessariamente scrivere delle buone poesie.
    Anzi, spesso accade che i poeti scrivano delle brutte poesie proprio perché vogliono restare negli schemi metrici prefissati.

  4. Per me uno scrivere spezzato e… spiazzante. Lo confesso: non so cosa dire. È un mio limite.
    I miei strumenti di lettura e di critica qui… falliscono. Sono inadeguati. Leggo volentieri le due diverse opinioni di Luciano e di Carla, che ha conosciuto personalmente i due protagonisti. Leggo, ma non so esprimere un giudizio compiuto. Unica cosa che mi sento di dire é che questi versi li avverto carichi di una fisicità morbosa, quasi patologica, ove la ricerca del piacere resta tutta sul piano del godimento fisico, della ricerca spasmodica dell’orgasmo, per esorcizzare le ingiurie del tempo e la morte.

  5. Io non l’ho letto volentieri e non lo leggerò mai; a tratti mi fa quasi pena perché sentirlo così agitato e sgomento e inquieto per questa passione per una più giovane, povero diavolo 🙂 mi dispiace per lui!! la paura della perdita, il sentirsi
    inadeguato dev’essere duro a sopportarsi; c’è anche della dolcezza, per esempio dove dice ” di aver riguardo per i tuoi capelli”, ma a tratti non mi fa pena per nulla perché lo trovo volgare. Nelle prime due non è che le racconta velate… Famoso o no mi importa poco. Da non critico e non esperto dico che per me faceva meglio se queste smanie se le teneva per sé. E non perdete tempo a ricordarmi che va guardata la capacità di scrivere perché lo so da me.

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