SERGIO SOLMI
(Rieti, 1899 – Milano 1982)
Sergio Solmi, laureato in Legge, svolse la sua attività lavorativa negli uffici legali della Banca Commerciale Italiana. Studioso di letteratura francese e di letteratura italiana contemporanea, divise la sua attività di scrittore tra la poesia e la critica letteraria. Vinse il Viareggio (1963) e il Bagutta (1973). Di poesia si ricordano almeno Comete (1923), Fine di stagione (1933), Poesie (1950), Levania e altre poesie (1956), Poesie complete (1974). Di saggistica, tra gli altri: La salute di Montaigne e altri scritti di letteratura francese (1942), Giacomo Leopardi (1956), Scritti leopardiani (1970), Poesie, meditazioni e ricordi (1983).
La sua poesia, com’egli stesso dice, fu “più oggetto di pensiero che di canto”: sospesa fra l’abbandono e la vigile ironia, tra l’ozio fantastico e l’urgenza del reale, il gesto poetico di Solmi non è mai veramente libero dalla costante guardianìa del critico. (P. B.)
*
Piogge d’aprile
A queste interminabili piogge
d’aprile, si feltrano i passi,
si sfaldano le voci, si disfà
il mondo
in una nube di suoni assorditi.
L’acqua del cielo lava le muraglie
e i sonnolenti pensieri,
come le piante, le pene antiche
schiude, ma senza bruciore.
Il corpo tracolla
adagio nel grembo del tempo
che senza illuse promesse ci guida
e i desideri nutrisce
anonimi e diffusi come foglie.
Così, senza sapere,
nell’impercettibile mutamento
a un tratto, ci distacchiamo.
Fusi in creta molle
attendiamo l’onda volubile
che ci riplasmi.
La natura riscatta i nostri errori,
mali d’un frutto suo,
ci rende alle sue rive inermi e ignudi.
E anch’io alla tua insidia gentile
ai tuoi incantevoli pianti e sospiri
m’affido,
a te che improvviso all’anima
nel nimbo piovoso mi rechi
il tuo perdono,
bella stagione.
*
Giardino
L’iridato
getto che il vento obliqua e sfrangia, vela
per un istante il paesaggio
lo appanna come una memoria.
Poi di colpo s’imprimono
nella stillante acqua il fico, il nespolo
del Giappone, arde il chiaro
deliquio delle rose. A sommo
del muro gli archi del loggiato, le
persiane verdi e nere
s’inseguono, più su la fuga ilare
dei meli scende a picco, scendono
monti e ombre di monti.
Bellezza un poco cruda, non mia forse,
e troppo mia,
come una spada lampeggiante un giorno
mi feristi nel sonno adolescente,
dentro t’ebbi a non farmi più dormire.
*
Sera al parco
Gioco di lente forme tra le piante,
care, flessuose, colorite Ombre,
che mi premeste il cuore
nella notte affollata
della mia gioventù, come un lontano
oggi vi guardo, che più alcun terrore
vago mi turba, a seguitarvi. Assenti
alfine divenute
come di là da un vetro. Il vostro passo
non tocca il suolo.
Sotto il vento deluso della sera
che l’ora già densa schiarisce
anche la fame con cui sono nato
-oscuro vagheggiare di desii-
morirà insoddisfatta.
Troppo fu amore fraterno al tormento,
troppo a tutti gl’incontri
mi fulminò la gioia
di sospeso sgomento.
(Per istrada sfuggite, a voi nel tenero
ano dei sogni, furtivo
di nottetempo anelava tornare…).
Troppo mi sono illuso d’aspettarti
o fiume smemorato della vita
o selva adolescente, prodigiosa
notte che sbianchi e t’allontani, e nulla,
solo il tuo gelo estremo, in cuor mi lasci.
2 risposte
Mi piace sì, soprattutto piogge d’Aprile perché mi riporta a quella sensazione che si ha sempre a Primavera: la sensazione di un rinnovamento, di una rinascita…Col corpo che si desta dal torpore del freddo anche l’anima si risveglia alle speranze, al sole, ai progetti per l’Estate. Purtroppo questo tempo balordo rischia di portarci via tutto, anche la gioia per il bel tempo che provavamo da bambini quando giocavamo per la strada e da ragazzi quando andavamo a fare qualche scampagnata…ora il ritorno della primavera è macchiato dal pensiero che dopo ci aspetta il caldo dell’Estate che una volta desideravamo e di cui ora abbiamo paura. Ma l’immagine della pioggerella di Aprile è sempre la stessa almeno nella mia anima : le prime margherite, gli altarini alla Madonna coi fiori che trovavamo , la voglia di aria aperta, come un ripulirsi dell’anima dal grigiore dei mesi invernali, l’aprirsi di una finestra interiore che aspetta voli di rondini e musiche che escono dalle case.
Più riflessioni… poetiche, che poesia. Ma il ritmo c’è, e c’è quell’indugiare sospeso su situazioni e momenti, su luoghi ed ore, che dall’esterno si riflettono e stimolano l’animo ad una riflessione interiore che le nobilita e le accresce, le ingentilisce e le fissa in uno stretto rapporto che contiene lo spirito delle cose e “l’anima del mondo”.