Lido Pacciardi, Quattro poesie

LIDO PACCIARDI

 

Quattro terse e umanissime poesie del nostro Lido. (P. B.)

 

  Fine del giorno

Ed anche la luce più viva
si spegne nell’ora che viene,
si sveste silente ogni riva,
si spengon del giorno le pene.

Su tutto si posa assopita
la labile nebbia incantata,
ricopre di un velo la vita:
la corsa di un sogno è passata.

Ritornano i passeri ai tetti,
si chiudono i bocci dei fiori,
reclinan gli steli, più stretti,
gelosi dei loro colori.

Un mutolo ondare remoto
dilaga d’intorno, ogni cosa
si priva di slancio, di moto,
s’ammanta di sonno, riposa.

E l’ultimo raggio nel mare
annega nel proprio rossore.
Il giorno ch’è stato scompare:
è un giorno – si dice – che muore.

*

Memorie di Maremma

Si spengono pupille della notte
verso il mattino, con la veste pura;
vanno nell’ore antelucane, a frotte,
annitrenti cavalli alla pianura.

Lungo le strade contornate d’ombre
campi di spighe come scaglie d’oro;
in questa piatta ubiquità le sgombre
distese fiammeggianti dell’alloro.

Indomate dilagano le macchie
lungo spiagge vestite di smeraldi,
con lo strido gracchiante di cornacchie
che annuncian giorni soffocanti e caldi.

Nell’ultimo respiro dell’estate
il residuo frinir delle cicale,
un vento basso porta le folate
dell’ingordo grifare del cinghiale.

Calpestio di vaccine alle fontane
che s’abbeveran lente digrumando,
e nei meriggi, candidi di lane,
ozianti greggi aspettano, belando.

Maremma, coi tuoi butteri e i pastori
sempre diversa t’apri al tuo domani,
fanciulle colorate di rossori
con chiarori di lacrime alle mani.

Io ti rivedo, labbra di rugiada,
ancor dei baci sento il tuo sapore
mentre tornavi, per l’usata strada,
lieve ancheggiante, con la bocca in fiore.

Sull’orme che hai segnato al mio passato
m’inviti, ora, Maremma, a ricordare
questo mio ieri mai dimenticato:
ondar di canne e palpiti di mare.

^

La campana

Batte a martello, sola, una campana
e sparge ripetuto il suo lamento,
si distende affiochito sulla piana
nel suo morire inesorato e spento.

E va la voce sempre più lontana,
perduta dentro un’eco di tormento,
e trema l’aria, trema la fontana
a quel singulto che s’estingue lento.

Infine tace; resta sol l’accento
d’una preghiera flebile, che vana
si chiude in cuore, gelida, nel vento.

Nella silente chiarità montana
resta prigione il brillo dell’argento
di un’alta solitudine silvana.

*

Una volta, la luna d’autunno.

Si posa sui prati lucenti,
bagnato di stelle, il mattino;
privato di gelidi venti
s’appoca l’autunno bambino.

Discioglie le fertili zolle
un raggio di sole, le invade
di mille frementi corolle,
squillanti d’accese rugiade.

Già l’alba rifugge nel giorno
d’un cielo ormai spento, coperto;
non voli, non gridi d’intorno,
nel vuoto solingo ed incerto.

Fu un giorno lontano, poi tacque;
esilio di tenebre accolse
la fertile corsa che giacque
e solo illusioni raccolse.

Accima nell’ansia di sera
un palpito appena, remoto;
ritorna, s’accende, s’annera
nell’attimo oscuro, già vuoto.

Vendemmia d’autunno per gli anni
che giovani e freschi, fioriti,
lasciarono un cesto d’affanni,
remoti profumi appassiti.

Tornare vorrei dove nacque
il primo tremore mai spento:
lontano scrosciare dell’acque,
frusciare di canne nel vento.

In questo appressare alla sera,
ancora mi spinge e accomuna
un vano aspettar primavera,
la tenera voglia di luna.

 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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7 risposte

  1. Le “Memorie di Maremma” sono uno dei vertici della poesia di Lido Pacciardi.
    Qui il poeta, rifacendosi al modello pascoliano, sa coniugare l’intenso pathos della nostalgia con l’eccellenza di un linguaggio poetico particolarmente appropriato e ricercato.
    A sé stante è la penultima strofa, improvvisa e sorprendente sortita epistolare in seconda persona, leggera e possente a un tempo, vero colpo d’ala di poesia amorosa.
    Qui, mi si passi la similitudine prosaica, Lido Pacciardi cala l’asso e fa saltare il banco.
    Raramente mi sono commosso così leggendo dei versi.

    “Io ti rivedo, labbra di rugiada,
    ancor dei baci sento il tuo sapore
    mentre tornavi, per l’usata strada,
    lieve ancheggiante, con la bocca in fiore.”

    1. E’ vero, Luciano, codesta quartina è proprio bella; di quella bellezza che viene dalla semplicità . Spesso i versi migliori sono quelli meno arzigogolati, quelli che non sanno di studio, ma che sembrano nati da sé , e che probabilmente lo sono davvero. Capita nei momenti più felici di un poeta che un verso si scriva da solo, come se fosse venuto a galla da qualche parte dell’anima. Da codesto traspare tutto lo splendore di una donna giovane , piena di vita, solare, vista con gli occhi dell’amore . E’ bellissimo .

  2. La poesia di Pacciardi è un esempio fulgido del genere di poesia che piace a me. Il perché è semplice : perché Pacciardi scrive bene, perché gestisce la metrica in ogni sua misura con padronanza e sempre in modo che il ritmo non generi monotonia. E mi piace perché parla chiaro; insomma….non sono la mia passione certi scritti ermetici che si intuisce vogliono esserlo a tutti i costi nella speranza di apparire più profondi di quel che sono. E comunque, anche se lo fossero, non è nella mia natura scervellarmi per interpretarli. La mia “ filosofia” è terra-terra: quando leggo una poesia io voglio capire cosa dice : se al poeta interessa poco farsi comprendere subito figuriamoci se interessa a me. Con Lido questo problema non c’è : i suoi versi sono chiari ma non elementari perché il lessico s’infiora di espressioni preziose, vibrano suoni, squillano colori e tu vedi e senti e sei parte del “ quadro”. La natura ha un peso notevole nella poesia di Pacciardi così come lo scorrere del tempo e tutt’e due i temi si intrecciano spesso con il rimpianto e con i ricordi. Nella prima poesia il ritmo pacato del novenario dattilico ci accompagna mentre il giorno che muore ed ogni creatura, avvolta nel silenzio della sera, si prepara al riposo della notte; e il giorno è specchio della vita . Già la prima quartina si può vedere nell’ambito di un’intera esistenza… :alla fine anche la luce più viva si spenge- ( anche per le persone più attive, brillanti, intelligenti, amanti della vita, arriverà la vecchiaia che spengerà la loro luce : la luce della memoria, della vista, della ragione, del mondo)- come la sera porterà il riposo e la fine delle pene del giorno, così l’ultima sera cancellerà nel silenzio ogni dolore terreno…E’ una poesia malinconica più di quanto possa sembrare se ci si lascia catturare dalla dolcezza delle immagini del passero che torna al nido e del fiore che chiude il boccio. Non per nulla c’è l’espressione “ ogni cosa…priva di slancio”, quello slancio che viene dall’energia della giovinezza e della salute. “ Maremma” è bellissima: c’è tutto il nostro mondo, dico quello di noi Maremmani : l’oro delle nostre distese di grano, il verde delle nostre macchie, cornacchie, cinghiali, vacche, pecore, i nostri butteri…non manca nulla: gli ” ozianti greggi “ “candidi di lane”, e l’ultimo, splendido verso “ :” ondar di canne, palpiti di mare”. Il nostro mare palpita, è vero…sotto il sole e il maestralino si infrange in mille e mille specchi, respira, palpita appunto! E le canne sono tipiche delle nostre zone…tutte straordinari maestri d’orchestra che fischiano, zufolano, arpeggiano, sotto la direzione del vento. Torna la natura e lo scorrere del tempo anche nell’ultima, meravigliosa poesia. Anche questa si snoda sul ritmo del novenario, mentre le altre due su quello dell’endecasillabo magistralmente usato : difficilmente si susseguono ritmi uguali, più spesso si alternano incipit dattilici, giambici, anapestici e questo non è solo conoscere la metrica, questo è avere dentro, innato, il senso della musicalità. Tutti siamo capaci di scrivere in metrica corretta, ma non tutti siamo in grado di gestire il ritmo in modo che il verso suoni nella maniera migliore. E non mi metto certo a dire che Lido questo l’ha “ imparato”…non è cosa che si impara…è istinto, o nasci col senso dell’ armonia o non ce l’avrai mai. Chiaramente se leggo Maremma mi si invita a nozze , è come invitare la lepre a correre …. e metto anche la mia
    .
    MAREMMA
    .

    Terra di colli ricca e di vigneti,
    dove s’ingrassa Bacco in oro e in rosso
    volgendo il viso rubicondo a piane
    d’ondose greggi e pallide erbe magre
    in albeggiar di lane. Greve spazia
    lo sguardo lacrimoso di Scirocco
    per ruvida ramaglia, dove fossi,
    che in rapida rovina il pieno Inverno
    iroso trascinava fino a valle,
    la mazza dell’estate crepa e smaglia
    nei greti rosicchiati fino agli ossi.
    Da liquidi orizzonti si disnoda,
    in fradicio verdore la giuncaia
    dove tra canne e rive di lombrichi,
    s’annida il falco e in acqua si riappaia
    il cinerino degli aironi e il rosa.
    Campi di biade e grano
    con testarde radici cinge acacia
    tra fiordalisi e rosolacci in fiamme;
    passa la brezza e, fresca, s’inodora
    di nepitella e menta
    e svelta corre via, ridendo, al mare.
    E corre verso rive d’alghe brune,
    a bianche dune che orla, salmastrina,
    la tamerice, tra pini vetusti,
    dalle riarse chiome in cui Libeccio
    con sbruciacchiate dita indulge, fruga
    scuotendo bronzei cembali, e ne fuga
    gli spiriti dormienti degli Etruschi.
    Dirada sopra coste a precipizio
    la macchia bruna in fulgide ginestre
    e s’apre al cielo chiaro in ampie vele,
    uscendo luminosa dall’oscuro
    di foglie marce e rivoli lagnosi
    dove s’accoglie e perde
    l’ultimo, arreso pianto di Nefele.
    Scende, giù, per scogliere
    aspre di vento e sale
    fin dove l’acqua inciela,
    fin dove la corrente più traspare
    in placidi torrenti a pelo d’onda
    e dove a notte,
    quando la volta scura è tutta un fiore,
    s’apre la luna
    e si vela di sogni il nostro mare.

    1. Cara Lidia, ti ringrazio del bel commento. Ma ti ringrazio di più per la bella lirica alla tua Maremma che hai messo a chiusura. L’hai scritta ricercando le giuste parole, le peregrine espressioni. Tu ti definisci “costruttrice di versi” e dici di non essere poeta… Come fai a dire questo? Le espressioni e le preziosità usate in questa lirica (come in altre), le puoi cercare quanto vuoi, ma se non le hai dentro non le troverai mai. Grazie ancora.

  3. Caro Luciano, ti ringrazio per il tuo bel commento ai miei versi. Sono versi semplici, non costruiti. Che tu li abbia apprezzati mi fa un grande piacere. Grazie ancora.

  4. Sembra una poesia dipinta stile impressionista, questo vuol dire che il poeta sa dirigere i versi e descrive in modo lirico, senza essere troppo descrittivo, la natura, il paesaggio e gli abitanti. Io non sono colta come voi, ma attingo da delle intuizioni che sono mie. Amo molto questi versi: “fanciulle colorate di rossori
    con chiarori di lacrime alle mani”, questo vuol dire secondo me che le mani possono avere sentimenti, come ogni parte del corpo. Il corpo dunque sente, percepisce e soffre.

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