Giovanni Raboni, Quattro poesie

GIOVANNI RABONI

 

Il rimorso di San Giovanni Battista


Silenzio. Udite. Io annuncio la sua morte
perché sono di fronte a voi l’autore
della sua venuta e dei suoi giorni
disastrosi. Oh fossi morto prima,
nel deserto, come muoiono i cammelli
che si fidano troppo del proprio gozzo! Io così
della mia memoria, della memoria
che Dio mi concede sulle cose future.
Io non volevo ucciderlo
ma la mia fede si è tramutata in pietra o coltello,
–——[ il mio battesimo
in violento scorpione. Mi perdoni
se troppo poco ho peccato! Io fiorisco di colpa
come la Vergine è fiorita in lui
nel grembo involontario.

*

Notizia

Solo qualche parola,
solo una notizia sul rovescio del conto
sbagliato dal padrone.
Forse è tardi, può darsi che la ruota
giri troppo in fretta perché resti qualcosa:
occhi squartati, teste di cavallo,
bei tempi di Guernica.
Qui i frantumi diventano poltiglia.
E anch’io che ti scrivo
da questo luogo non trasfigurato
non ho frasi da dirti, non ho
voce per questa fede che mi resta,
per i fiaschi simmetrici, le sedie
di paglia ortogonali,
non ho più vista o certezza, e come
se di colpo mi fosse scivolata
la penna dalla mano
e scrivessi col gomito o col naso.

*

Vivi, io e te, per quanto? Non facciamola,
non ha senso questa domanda. Vivi
finché è stasera, fino a quando
continua sullo schermo la partita
e ancora si può sperare che uno
dei nostri, magari in extremis,
magari nei minuti di recupero,
riesca a segnare. Non c’è tempo
che non sia questo tempo
qui dove siamo, nella casa
che è la tua casa e che ogni tanto
la domenica sera
diventa anche la mia casa,
in questo labirinto
di secondi dove tu mi precedi
dei soliti quattro anni e cinque mesi
che una volta davano le vertigini
(tu un ragazzo e io un bambino
tu un padre e io ancora un figlio)
e adesso non sono più niente
meno della durata di un’azione
meno del tempo che ci vuole
a un mediano di spinta
per raggiungere l’area di rigore.

(a mio fratello nell’ultimo inverno)

*

Canzone della nuova era

Bisognerà riabituarsi
a contarli per numeri romani
(di sicuro qualcuno
si ricorda ancora come si fa)
gli anni che son passati
e quelli ahinoi che passeranno
in questa nuova era
della nostra tragicomica storia.
Il problema è da dove, esattamente,
far partire il conteggio:
dalla discesa in campo
o dall’ascesa al trono,
dalla prima vittoria elettorale
o dall’ultima, quella
che ha segnato di sé il nuovo millennio?
O sarà invece il caso
d’andare più indietro, molto più indietro,
per esempio all’ingresso nella loggia
o a quando la coscienza del paese
ha cominciato a modellarsi
sui palinsesti di canale cinque?
Sarebbe gia più d’un ventennio, allora,
più d’un ventennio…

Giovanni Raboni

***

Giovanni Raboni (Milano 1932 – Fontanellato, Parma 2004), è certamente voce poetica tra le più significative e autorevoli  della poesia del Novecento e dei primi anni Duemila. La sua opera in versi è interamente racchiusa in Tutte le poesie (1949-2004), Einaudi, 2014. Oltre che poeta,  è stato traduttore, critico letterario,  cinematografico e teatrale, ma anche acuto osservatore e commentatore della politica e del costume, in particolare italiani, di cui si trova evidente traccia anche nei suoi versi.

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2 risposte

  1. E’ proprio vero…è impresa ardua definire cosa sia la poesia. E infatti davanti a questi…come chiamarli? Versi? Frasi? …davanti a questo scritto mi chiedo quale sia la differenza fra prosa e poesia. In generale, dico. Dov’è il confine fra queste tre…chiamiamole ” categorie” o sottocategorie: prosa-prosa poetica-poesia? Perché esiste, credo, anche qualcosa che si può definire ” prosa poetica”…Chiedo per ignoranza, ma al contempo mi prendo il diritto di dire come semplice , e per di più “ignorante” lettore , che, ora come ora, per me fra questi scritti e quella che suona al mio orecchio come ” poesia” c’è una bella differenza…. Mi piacerebbe però conoscere il punto di vista, motivato, di chi la vede diversamente e che certo oggi è quello che va per la maggiore tant’è che questo è un nome famoso, capire quali sono gli elementi per cui queste pagine hanno il diritto di essere chiamate ” poesia”…ascolterei volentieri per rendermi conto di come ragiona chi se ne intende… potrei restare del mio parere o magari cambiare opinione, essere ” illuminata”, rendermi conto più che mai dei miei limiti e porvi rimedio, , …tutto è possibile . Certo è che sarebbe interessante se mi si aprisse un nuovo mondo.

  2. In queste di Raboni, scritte con apparente e ingannevole semplicità, nelle quali appaiono affrontati aspetti banali della quotidianità o rimandi al passato più o meno lontano, si avverte – almeno così sento – una fragilità del “vivere”, una precarietà che tutto pervade, una critica ed una insofferenza per questa “nuova era e tragicomica storia”, dove palesemente il poeta si trova a disagio e soffre il suo tempo. Quasi che ognuno rechi sopra di sé peccati inemendabili, difetti congeniti che la società non riesce a metabolizzare e attenuare, in un Novecento privo di certezze e di limiti. Una poesia che si può apprezzare o no, ma che certamente si mostra per la sua singolare originalità.

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