Un poeta per volta: Paolo Polvani

PAOLO POLVANI

Donne sottotraccia

a Marina Benetazzo
tra le hostess Alitalia
la più bella

Ma come sottotraccia, Marina !
ma se hai passeggiato sulla testa del mondo,
se sopra i mandorli in fiore di Nagoya,
a diecimila metri, hai fatto la pipì,
nel cielo azzurro di Nairobi
ti sei lasciata scivolare in una breve parentesi
di sonno, o sotto ti scorreva il Perù,
verde e scosceso, mentre sistemavi il trucco

ma come sottotraccia se i tuoi occhi
hanno dato la scossa all’occhio liquido,
lascivo di certi emiri con la barba
più di qualsiasi sura del profeta

ma come sottotraccia, tu hai riconosciuto la bellezza
dell’India prima di qualsiasi Beatles o finto guru
o esotico turista e porti nel cuore gli struggimenti
dell’Africa, ti trascini dentro quella nuvolaglia,
quei turbamenti, quelle dolorose vertigini
che la bellezza possiede come corollario

ma come sottotraccia, io l’ho riconosciuto il lampo
di sorriso da bambina mentre nel bosco
sfilava la corsa dei cinghiali,
ti ho vista sulle salite dei sassi Simone e Simoncello
incedere dritta sui bastoni, lo zaino rosso,
sicura sulle creste dei calanchi

e il ventotto novembre chi parte per lo Yemen ?
non io, che appartengo a quella famosa stirpe
di chi rimane a terra, mentre le donne
sottotraccia come te spiccano il volo

 

Assaggiare il vuoto

Accade che un giorno spalanchi la finestra e senza
consultare l’orizzonte,  decidi
di assaggiare il vuoto, di sperimentare
le conseguenze delle leggi gravitazionali.

E io che cosa avrei dovuto più inventare, non basta
saper sorridere, ascoltare non è una condizione sufficiente.
Ci sono congiunture e adesso la cosa mi appare nella sua evidenza.

Spalancare la finestra e dire sì al vuoto, alla sua bocca aperta,
alla fame di te che manifesta. Erano già in riserva le lacrime
e il muro bianco d’ospedale esaurita ogni possibilità.

La bellezza non è un lasciapassare. Volevi essere accolta
hai scelto il vuoto di un cortile, lo spazio
bianco di un lenzuolo.

 

Bambine in corsa

Tu conservi il perimetro di vento
di certe bambine deliziose che hanno pianto.

La tua magrezza possiede l’astuzia di una gazza.

Tu corri e il mare
sorride alla coda di cavallo che svolazza.

 

Le clarinettiste della banda

Alle clarinettiste della banda aprile
porge nuovi alfabeti sulle labbra e avvolge
la scansione degli anni al ceppo della primavera.

Le clarinettiste costeggiano le occorrenze
del vento, l’impellenza dell’amore
e l’idea stessa di una geologia del corpo,
le mani frammentarie e il farneticare
luminoso dei capelli, le promesse di una fertilità
terrena, la continuità delle gambe.

Le precede il fiume di una musica rotonda
che si sgrana in forma d’ acini d’uva,
polpa d’anguria, si dissipa nel segreto dei chicchi
di una melagrana, si allarga nel respiro
di un’erba invaghita della luce.

 

Cose che avvengono

Che buffa storia mi racconti, Anna:  la bambina
ti sistema la parrucca e a te scappa da ridere.

Per ancorarci alle cose abbiamo stilato degli elenchi,
ci siamo ingegnati di dare una sistemazione al mondo,
per quanto labile, precaria, affidata
al povero fiato di versi esigui
e tu, vedi, per esempio dici: ho tre figli, ho quattro nipoti.

Tutto questo mi ricorda il rimpianto  che affiora dalle vecchie
foto e la tua nascita nel quarantadue sotto le bombe.

Lo sai che ci vorrebbe una lingua affilata, un vocabolario
senza tentennamenti,  pur con le necessarie interferenze.

Esistono inventari, litanie di cose, avvenimenti,
e al fondo una palese incongruenza ma tutto all’interno
di un equilibrio in continuo assestamento.

È ancora qui la tua giovane voce che nel telefono si perde.

Vedo le strade coerenti di quel paese delle Marche,
le piccole mattonelle rosse che parlano di necessità
e di precisione, di come tutto s’incastoni
in un prestabilito disordine.  Il tuo tumore
percorre le stesse vie in penombra, s’affaccia in quelle piazze
che annegano nel sole.  Certi versi possiedono il sapore
di una luce ingenua e lo sguardo s’attarda al calendario.

Natale, mi dici, resta uno dei miei traguardi.

Riesco a immaginare il silenzio, la clandestinità
di quelle cellule, persino la cospirazione in atto.

Ci sono cose che avvengono, penso all’incontro della bandiera
con il vento, al fragore dei treni, alla fibrillazione del tuo cuore.

Paolo Polvani

(da Gli anni delle donne)

***

Paolo Polvani è nato nel 1951 a Barletta, dove vive. Ha pubblicato diversi libri di poesia: Nuvole balene, ed. Antico mercato saraceno, 1989; La via del pane, ed. Oceano, Sanremo 1998; Giulia, ed. Oceano, Sanremo 1999;  Alfabeto delle pietre, ed. La fenice, Senigallia 1999;  Trasporti Urbani, ed. Altrimedia, Matera 2006; Compagni di viaggio, ed. Fonema, Perugia 2009;  Gli anni delle donne, ed. del Calatino, 2012;  Un inventario della luce, ed. Helicon, 2013; Una fame chiara, Terra d’ulivi edizioni, 2014; Cucine abitabili, MR editori 2014; Il mondo come un clamoroso errore, Pietre vive 2017; L’azzurro che bussa alle finestre, Versante ripido 2018. È presente nel Quinto repertorio di poesia italiana contemporanea, edito da Arcipelago Itaca, 2021. Alcune sue poesie sono state tradotte in inglese, spagnolo, portoghese, romeno, giapponese.

È tra i fondatori e redattori della rivista Versante ripido.

***

La continua istanza analogica che incalza la concretezza visiva, gli scarti linguistici lungo l’asse selettivo/sostitutivo, il sapiente e onesto uso dello strumento retorico, e l’ormai lunga frequentazione del mondo poetico danno ai versi di Polvani genuinità e bellezza, intensità e delicatezza, novità e universalità di contenuti; ma soprattutto notevole forza pervasiva. È difficile rimanere insensibili e inerti di fronte a questa scrittura poetica, che, misurata e pudica nei sentimenti, asciutta ed essenziale nella forma, ma mai corriva, sa concedersi anche momenti di vaga dolcezza e soluzioni inedite sotto il profilo rappresentativo. (P.B.)

***

 

 

 

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6 risposte

  1. Di sicuro appartengo a un’epoca nella quale la poesia era altra cosa. Questi scritti che certo sono di valore, al mio orecchio profano suonano come una piacevole e scorrevole prosa venata di poesia, ma mi attraggono solo nella misura in cui posso sentirmi invitata a leggere un bel racconto . Mi rendo conto che i tempi sono cambiati, ma questo non mi invoglia a cercare di adattarmi…forse sarebbe necessario, ma mi manca la ” spinta”, l’interesse vero insomma. Per me la poesia è quella di poeti magari sconosciuti come certi autori di fb, ma che scrivono in quella maniera che da sempre ” riconosco” come poesia.

  2. Sicuramente quello di Polvani è un poetare libero, svincolato da lacci metrici e da esigenze armonico-fonetiche. La sua appare come una poesia aperta e chiara, esplicita e cordiale,aliena da sottintesi, paludamenti o reticenze.
    Certo, qui il confine con la prosa è labile, in certi momenti affidato unicamente allo stacco delle pause.
    Però è una scrittura accattivante che si legge con piacere.
    Basti o non basti per considerarla poesia, visto i tempi che corrono, in ogni caso non è poco.

  3. Per come la penso io – un modestissimo parere da un “rimatore” da strapazzo – la poesia, per definirsi tale ( e non sono affatto sicuro che ciò sia necessario e sufficiente), dovrebbe avere oltre i concetti espressi con cui si presenta, anche una certa musicaltà che ne spinga armoniosamente la scorrevolezza, sì da ingenerare in chi la legge – sia in rima oppure no – un piacevole e quasi naturale senso del fluire, dello svolgersi, in una narrazione che appaia non costruita, ma naturalmente e autonomamente generata e conclusa. Ovviamente non è necessaria e non basta la rima, anzi… Se usata male fa peggio che meglio, denunciando forzature e costrizioni finalizzate essenzialmente all’accordo fonetico. Ugualmente una scrittura in libera può riuscire stucchevole e artefatta, scendendo essenzialmente al livello di una prosa… ingarbugliata e non proprio spontanea. Su questo terreno scivoloso e infido si stanno alzando e muovono i passi gli algoritmi di nuova generazione dell’intelligenza artificiale, che con i big data e i metodi statistici ricombinanti sono già in grado di assemblare scritti praticamente indistinguibili da quelli prodotti da autori in carne ed ossa.
    Le Muse dovranno fare i conti con la cibernetica?
    Non è questo il caso del nuovo autore, qui presentato, per cui mi ricollego alle considerazioni attente e puntuali di Luciano e Lidia. Con la consapevolezza che, anche da sentimenti e modi distanti dai nostri, leggendo gli altri si può sempre imparare qualcosa di inedito e interessante.

  4. Dico la mia. Se si restringe l’ambito della poesia alla forma lirica, si opera in modo inappropriato e si rischia di lasciar fuori un intero mondo di realizzata creatività poetica. La poesia lirica è solo un aspetto -e oggi anche minoritario- della poesia in generale. Si può scrivere in modo diverso e far poesia al di là di formule precostituite, e del resto così mi par di capire anche dai commenti precedenti.
    In particolare, nei suoi versi Polvani mostra una notevole capacità di lettura del dato reale, che innesca la sua scrittura creativa e che egli ribalta in poesia attraverso tecniche stranianti, inconsuete se non inedite, a volte deraglianti, del tutto personali anche per scelte morfosintattiche, verbali e stilistiche. Il risultato di tutto ciò è un dettato poetico che, sotto una veste a volte quasi colloquiale, propone emozioni, suscita affetti, distribuisce grazia.

  5. Tu dici certo bene, Pasquale, ma tu sei un critico…! la tua passione per la poesia non si è limitata allo scrivere versi, ma ha compreso anche un interesse critico verso i lavori degli altri, uno studio preciso, un ” allenamento” di anni, per cui tu hai il modo di valutare dell’esperto. Certe cose che tu afferri io nemmeno le vedo, io vado a istinto rimanendo sul livello terra-terra del ” mi piace o non mi piace. Non saprei discutere sui vari motivi, non avrei nemmeno un bagaglio lessicale adatto, e questo perché ho sempre trovato poco interessante qualsiasi cosa avesse a che fare con la critica. Quindi se leggo una poesia, non so cogliere quello che coglie uno studioso come te. Ma chi scrive lo fa per tutti e ci sarà sempre chi potrà dare un giudizio di valore e motivato come fai tu e chi, come me, saprà dire solo ” mi piace” o ” non mi piace”. Chiaro che, riconoscendo la mia totale ignoranza in materia, se tu dici che questi sono versi e sono lavori poetici di valore, naturalmente io ci credo, però se tu chiedi a me, del tutto digiuna di critica, un modesto parere io per onestà mi sento di dire che per me più che versi sono frasi e che il tutto somiglia tanto a una prosa.

    1. Cara Lidia, penso che ognuno abbia il diritto di esprimere la propria opinione in piena libertà. Ci mancherebbe! Specialmente poi su questo blog e in particolare se chi esprime quell’opinione ha la tua sensibilità e capacità poetica.
      Io mi sono limitato, cara Lidia, a dire la mia idea sulla poesia di Polvani, senza alcuna pretesa di essere necessariamente nel giusto, tanto meno di imporla ad altri. Figuriamoci! Ma a difenderla quell’idea, la difenderei. Come tutte le altre di cui sono fermamente convinto. Come fai tu, del resto.

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