LUCIANO DOMENIGHINI
MOTTETTO
L’amore che salva i poeti
s’abbella di sogni segreti,
di vane divine parole
che tu, mio dolore, ripeti.
L’amore che guida le genti
è fatto di lievi momenti,
di piccole semplici cose
prescelte e libere ai venti.
L’amore che in cuor mi sorride
di canti lontani s’intride,
venuti da mondi passati,
intesi d’un rivo alle rive.
Illuso e malvagio chi vuole
mutare le vane parole,
rubare le semplici cose
che sanno di vento e di viole.
*
L’ETERNA GIOVINEZZA
Non credo appassite le rose
né a quel che mi dice lo specchio:
per tutto un complesso di cose
non son diventato mai vecchio.
Per troppo ebbi fede e speranza
e ho troppi arretrati di danza:
per tutto un complesso di cose
non vedo appassite le rose.
*
LA COMMEDIA
È priva d’ordine l’umana scena,
filodrammatica d’antica pena,
senza la musica dell’armonia,
senza la metrica della poesia,
barbara recita delle inquietudini,
corte babelica di solitudini.
*
LA LOCANDA DEI POETI
Libo felice in questa
taverna di frontiera
l’ambrosia che m’appresta
un’Ebe menzognera.
*
EPOPEA
Piccole storie ignobili,
Sofferte umane prove,
Mira dai cieli immobili
L’Amor che tutto move.
Luciano Domenighini
4 risposte
Brevi, perfette, intense composizioni sulla vita e sull’amore, unico balsamo contro le disillusioni del tempo. Luciano è maestro in questo: nella densissima sintesi che compendia un tutto. Qui senza recriminazioni, acidità, risentimenti contro la vita che scorre, ma con una accettazione serena della natura delle cose, con la tranquilla consapevolezza che il profumo delle rose, un giono fiorite in pieno sole, resterà in noi per sempre.
…
Brevità e sostanza nella poesia di Luciano Domenighini che rifugge da svenevolezze e dal prolisso. Cinque brevi composizioni sulle quali un poeta di minor talento avrebbe probabilmente “ ricamato” senza un impatto maggiore su chi legge. L’amore, la speranza, la vita la poesia sono i protagonisti di questi versi nello stile scarno e limpido di questo poeta onesto come pochi. Domenighini rifugge dai giri di parole, fedele a un modo di dire chiaro e diretto, a una maniera tutta sua di dare input per la riflessione. L’amore, così cantato dai poeti, qui è presentato nelle sue diverse manifestazioni : l’amore dei poeti, luminoso e spesso espressione di sogni mai realizzati , a volte frutto di calcolata invenzione…dovremmo credere alle pene amorose di chi piange dopo venti, trent’anni l’amore che l’ha lasciato quando l’età era in fiore? Credo che si possa apprezzare una bella forma, quando c’è, un buon ritmo, la tecnica in generale , ma non più di questo. Leggo l’inizio della prima poesia “ l’amore che salva i poeti”…non posso sapere cosa Domenighini intenda dire con quel “ salva”; potrebbe voler dire che l’amore nobilita i versi dei poeti, ma posso anche chiedermi un’altra cosa : il tema dell’amore, di sicuro eterno e sempre attuale, quando diventa la colonna sonora fissa in un poeta non è che, in qualche maniera, lo “ salva” perchè se gli levi quello quel poeta probabilmente non saprebbe più che dire? Continuando la lettura della nostra poesia ecco l’amore della gente qualunque, quello che non sparge fiumi di lacrime, che non distrugge il cuore e non dilania l’anima, ma che si traduce in piccoli gesti che costruiscono qualcosa , quello che nutre e riscalda, che unisce e conforta . E poi l’amore che viene da lontano, che rivive nei ricordi, per la famiglia, per i piccoli amici, per la nostra terra, per le cose semplici che sono quelle davvero preziose. Nell’ultima poesia, ecco uno “ spazio” dedicato al simbolo stesso dell’Amore, quello con tutte le maiuscole: l’amore di Dio. Ma qui mi rode qualcosa. “ Mira dai cieli immobili / l’Amor che tutto muove”. Che vuol dire quel “ Mira”? Quale posizione pare avere Dio nei confronti della miseria umana? Non mi pare di scorgere un Dio compassionevole, partecipe, un Dio che si china verso di noi , sollecito, che aiuta, che protegge…qui io vedo solo un Dio che mira”. E’ vero che “ tutto move”, ma una cosa è essere il Motore che fa muovere l’Universo e un’altra è essere partecipe della nostra vita e un Dio che “ mira “ e basta …!!è un’espressione casuale o vuol dire qualcosa di preciso? Mira perchè abbiamo il libero arbitrio e nessuno, nemmeno Lui può intervenire? Ma un Dio che ci ha dato il libero arbitrio ha forse rinunciato al compito, al dovere, al privilegio, chiamatelo come vi pare, di aiutarci ? Ma allora come si coniuga la rinuncia ad aiutarci con il mantenimento del diritto di punirci se sbagliamo? Insomma…su questo “ mira” mi ci sto rompendo la testa…è questa la grandezza della poesia di Domenighini : lui non arzigogola come fa certa poesia ermetica o pseudo-ermetica che pretenderebbe che tu ti arrovellassi per capire cosa voleva dire Tizio o Caio. Domenighini parla chiaro, semplice, parla a tutti; quello che dice è evidente e puoi limitarti all’apparenza …eppure con le sue poesie, così brevi, ti spinge a cercare di andare oltre. Questo “ mira” ognuno lo può interpretare come vuole e anche passarci sopra con la più totale tranquillità, ma può anche metterti in testa pensieri da ragionarci per ore.
Altra protagonista è la poesia . “ Un’ Ebe menzognera”, dice Domenighini; vuol dire che la poesia è falsità? Bisognerebbe definire cosa si intende per “ falso” in questo ambito. La poesia, dico quella vera, non l’esercizio rimico e metrico (che in sé e per sé è un’ altra cosa) , è sempre vera perché il seme della poesia galleggia nell’anima, nuota fra i ricordi, emerge dalle emozioni più diverse per cui non può essere falso. Ma le solite emozioni , potrebbero esser messe su carta così come viene, produrre una prosa, o magari un componimento in versi sciatto…il nocciolo resterebbe identico. Ma la poesia richiede un lavoro di lima e questo è inevitabilmente un fatto di tecnica che da un lato purifica dalle scorie il seme grezzo e dall’altro, nel momento stesso in cui lo lucida e lo abbellisce…inevitabilmente lo “manipola” facendogli perdere qualcosa dell’innocenza e dell’ingenuità originali. In questo senso, sì, la poesia è in parte un falso, ma truccare un po’ una donna per farla più bella non cambia la persona in sè: se è onesta così rimane e se non lo è lo stesso …insomma se sotto la “ vernice” c’è un’emozione genuina si sente e se non c’è… si sente anche meglio.
Io credo che nessuna forma anche perfetta possa da sola generare poesia se non riveste un sentimento vero.
Le due poesie “ Giovinezza” e “La commedia” sono lo specchio di due stati d’animo opposti : nella seconda una visione amara del mondo, palcoscenico vario e strambo dove si recita l’eterna tragedia della vita e della morte. E’ una poesia, a guardar bene, terribile : il mondo, la vita viste come una tragicommedia senza armonia, senza ordine, in balia di una pena atavica e irriducibile, situazione di continua barbarie, una babele di incomprensione e soprattutto un oceano di solitudine. L’ultima parola non è l’ultima a caso…ha questa posizione perchè è questa la tragedia delle tragedie : essere in definitiva, soli, monadi. Ma perchè quando si pensa a un aldilà ci immaginiamo un mondo dove siamo tutti uniti? E’ la sensazione di UNO quella che più ci attrae..perchè è questo che ci manca ,perchè quel che più ci pesa è la solitudine. E’ da qui che viene l’illusione, il desiderio,la speranza, la fede che, liberi da questa gabbia di ossa e carne, non saremo ma più soli, ma tutt’uno con l’energia universale. E cos’altro è il rapporto amoroso, la costruzione di una famiglia se non il solo tentativo concesso a noi umani di sfuggire al desolato abbraccio della solitudine? Non ci riusciremo mai del tutto, ma dobbiamo provarci. Questa è una poesia che direi scritta con l’inchiostro nero della disperazione.
“Giovinezza” fa da contrappeso: c’è luce, c’è il verde degli anni luminosi, c’è la Speranza che continua a vivere nel cuore del poeta , così come in passato, e grazie ad essa le rose non sfioriscono e la vita offrirà ancora i suoi doni. Però c’è un MA …nel senso che mi viene da chiedermi questo : “ Perché il poeta all’inizio dice “ non CREDO appassite le rose? “ perché dice “ Per TROPPO ebbi fede e speranza?” Perché NON CREDO? Questa non è un’affermazione…c’è dubbio…Che valore ha quel “ TROPPO”? E’ solo sinonimo di un semplice “ per molto, per tanto, sempre” o ha la sfumatura amara di chi si chiede “ ma chi me l’ha fatto fare?” Non lo so. Perché se è vero che in chiusura la poesia recita “ non VEDO appassite le rose “ e questo mi fa pensare che, tutto sommato, la speranza sia davvero viva e che nel poeta predomini l’ottimismo, dall’altro è vero anche che, guarda caso, proprio sotto c’è l’altra poesia “ La commedia” che parrebbe ribaltare ogni speranza. Perché fra tanti suoi lavori Domenighini ha messo sotto una poesia di speranza proprio una poesia che è la negazione di ogni speranza? Un caso? Una scelta precisa per indicare i due rovesci della medaglia , e le due maniere in cui possiamo guardare le cose: il nero e il rosa, il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto? O è l’inconscio che con questa “ mossa” viene a negare quella speranza che il poeta aveva voluto comunicare a noi…e soprattutto a se stesso?
La parola, scavata e scovata, che molto tiene e contiene, che si fa verbum /logos, e poi l’essenzialità della scrittura e infine il tono, a volte quasi definitivo, sembrano, talvolta, accostare Luciano all’area tardoermetica; mentre invece ritmi, metri e registri evocano atmosfere poetiche sette/ottocentesche. Ciò contribuisce a una resa poetica singolare e personale, con accenti di verità e bellezza.
Graditissimi ma sicuramente superiori ai miei meriti i commenti di Lido, Lidia e Pasquale che ringrazio per la loro attenzione e per la loro amicizia.
Tutti e tre concordano sulla ricerca di sintesi verbale, su un taglio epigrafico e su un tono epigrammatico, gnomico, di questi testi.
Pasquale rileva anche un’ambivalenza tra la modernità tardoermetica del tono, sentenzioso e definitivo, e il passatismo del bagaglio lessicale e dei moduli stilistico-metrici.
Io, da parte mia, posso dire che queste poesie sono degli esercizi di composizione.