Leonardo Sinisgalli, Tre poesie

 

 LEONARDO SINISGALLI

 

A MIO PADRE

L’uomo che torna solo
A tarda sera dalla vigna
Scuote le rape nella vasca
Sbuca dal viottolo con la paglia
Macchiata di verderame.
L’uomo che porta così fresco
Terriccio sulle scarpe, odore
Di fresca sera nei vestiti
Si ferma a una fonte, parla
Con l’ortolano che sradica i finocchi.
È un uomo, un piccolo uomo
Ch’io guardo di lontano.
È un punto vivo all’orizzonte.
Forse la sua pupilla
Si accende questa sera
Accanto alla peschiera
Dove si asciuga la fronte.

*

ELEGIA ROMANA

Ecco l’agro, il verde stento, il fiume
che ha preso il colore dei cocci.
Da anni io non guardo che lapidi
sui lembi delle facciate e delle grotte:
scritte nel vano bianco
dalla mano di un angelo calligrafo
ricordo le belle maiuscole, le eterne
parole, e un solo nome, Prisca
che dorme giovinetta con le Muse.

Accatastati sui muri di una chiesa
davanti alla Fontana di Trevi
(il Tempo ha le zampe di gatto,
ha i denti dei gatti romani)
chi ha deposto i cuori dei Pontefici?
Santa Teresa ha il manto che trasuda
quando a settembre lo scirocco
risale dalla costa africana
e dà un timbro diverso alle campane.
La città ruota come una meteora
alla luce del tramonto: i tarli
crepitano nei soffitti delle dimore
dei vescovi, scendono dai muri
delle case d’affitto gli scarafaggi.
Michelangelo tra queste macerie
cercava la testa bianca di Apollo.

Chi conosce le tue estati, Roma,
sa di aver toccato la luce
fino all’osso, ricorda i capestri,
i catafalchi, le camere di tortura,
l’odore di strame che colpisce
il pellegrino alle tue porte.

Tra questi quartieri io fui
ragazzo pieno di sonno e di appetito.
Fui un giovane letargico
che si nascose a leggere nei tuoi giardini
in compagnia delle statue.
Cercai le funebri siepi del Celio
per pascere il mio tedio
di mussulmano avido di odori.
Chi avrebbe potuto battezzarmi
alla tua fede, frustare i miei panni,
quale Vergine poteva carezzarmi i capelli,
quale Benedetto, quale Pio
avrebbe accettato il dono dei galli
ch’io portai nel paniere?

Ho ignorato per anni la tue cattedrali.
Mi ricordo una sera
che vidi spaccare in Via Baccina
un agnello sul tagliere.
Oggi cammino più lesto sui tuoi ponti
in compagnia di Raffaello.
So quando fioriscono al Pincio
le mimose, quando gelano i carrubi,
conosco la forma delle tue rose,
delle tue nubi. Ho visto i cavalli
scintillanti guardare il cielo
sui terrazzi, i santi sui parapetti,
le donne dai petti mostruosi, le rondini,
i ragazzi sulle rive dell’Aniene.
Conosco il bene di tanta bellezza.
Sono questi i mirti
che scrollano polvere se li tocco,
sono queste le pietre della giovinezza.

*

POESIA PER UNA MOSCA

Della tua ala laboriosa
Si consolano i vespri delusi
Se pure senza pudore tu abusi
Dell’innocenza d’una rosa.
Nel tuo tremore si riposa
La mia noia; fiduciosa
Ronza attorno a un’immagine chiusa.
La pazienza è forse rischiosa
Ché talvolta si spegne un fiore
Nella notte e il fradicio odore
Ti eccita curiosa.
Ma susciti dentro la stanza
L’aria di tanta vacanza
Amica pungente e pia.
Così cara è la tua molestia
Che stasera con me ti fa festa
La mia effimera poesia.

Leonardo Sinisgalli

 

Leonardo Sinisgalli  nacque a Montemurro ( PZ) il  9 marzo 1908 e morì a Roma il 31 gennaio 1981. Laureato in ingegneria, fu  personaggio di ampia versatilità: poeta, narratore, saggista, critico d’arte, traduttore e tanto altro. Fu autore molto prolifico e apprezzato.

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Una risposta

  1. Nelle prime due liriche, una atmosfera morbida, ovattata, ricca di visioni trascorse (o intuite…) che si riaccendono con il ricordare, in maniera spontanea e semplice, senza costruzione posticcia di orpelli che ne decorino o ne ingigantiscan9o la misura. Così l’esile figura del padre, o la descrizione di una Roma che attraversa il tempo e la storia.
    Emerge, nella terza, un tedio nascosto delle cose, di un tempo… senza tempo, dove il futile ronzio di una mosca attenua e rende accettabile, in modo alquanto oscuro e misterioso (almeno per me…) la noia dell’attesa.

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