Il tema della sortita notturna nel poema epico – Eurialo e Niso

 

 

IL TEMA DELLA SORTITA NOTTURNA  -2 –

Virgilio riprende il tema omerico della sortita notturna. Protagonisti della vicenda sono Eurialo e Niso. Di guardia alle porte, visto che i Latini, i Rutuli e i loro alleati stanno avendo la meglio, mentre i Troiani sono costretti  a una strenua difesa, decidono di chiedere ad Ascanio e agli altri capi il permesso di uscire dal campo per andare ad avvertire Enea, nel Pallanteo, dove egli  si era recato in cerca di aiuti militari; e per fare strage nel campo nemico.

 

Eurialo e Niso

Eneide, IX, (257 – 340; 485 – 520; 574 – 693)
Traduzione di Annibal Caro

***

… Un de’ più fieri in arme,
Niso d’Ìrtaco il figlio, ad una porta
Era proposto. Da le cacce d’Ida
Venne costui mandato al troian duce,
Gran feritor di dardo e di saette.
Eurïalo era seco, un giovinetto
Il più bello, il più gaio e ’l più leggiadro,
Che nel campo troiano arme vestisse;
Ch’a pena avea la rugiadosa guancia
Del primo fior di gioventute aspersa.
Era tra questi due solo un amore
Ed un volere; e nel mestier de l’armi
L’un sempre era con l’altro, ed ambi insieme
Stavano allor vegghiando a la difesa
Di quella porta. Disse Niso in prima:
“Eurïalo, io non so se Dio mi sforza
A seguir quel ch’io penso, o se ’l pensiero
Stesso di noi fassi a noi forza e dio.
Un desiderio ardente il cor m’invoglia
D’uscire a campo, e far contr’a’ nemici
Un qualche degno e memorabil fatto:
Sì di star pigro e neghittoso aborro.
Tu vedi là come securi ed ebri
E sonnacchiosi i Rutuli si stanno
Con rari fochi e gran silenzio intorno.
L’occasïone è bella, ed io son fermo
Di porla in uso: òr in qual modo ascolta.
Ascanio, i consiglieri e ’l popol tutto,
Per richiamare Enea, per avvisarlo,
E per avvisi riportar da lui,
Cercan messaggi. Io, quando a te promesso
Premio ne sia (ch’a me la fama sola
Basta del fatto), di poter m’affido
Lungo a quel colle investigar sentiero,
Onde a Pallanto a ritrovarlo io vada
Securamente.” Eurïalo a tal dire
Stupissi in prima; indi d’amore acceso
Di tanta lode, al suo diletto amico
Così rispose: “Adunque ne l’imprese
Di momento e d’onore io da te, Niso,
Son così rifiutato? E te posso io
Lassar sì solo a sì gran rischio andare?
A me non diè questa creanza Ofelte
Mio genitore, il cui valor mostrossi
Negli affanni di Troia, e nel terrore
De l’argolica guerra. Ed io tal saggio
Non t’ho dato di me, teco seguendo
Il duro fato e la fortuna avversa
Del magnanimo Enea. Questo mio core
È spregiatore, è spregiatore anch’egli
Di questa vita, e degnamente spesa
La tiene allor che gloria se ne merchi
E quel che cerchi, ed a me nieghi, onore.”
Soggiunse Niso: “Altro di te concetto
Non ebbi io mai, né tal sei tu ch’io deggia
Averlo in altra guisa. Così Giove
Vittorïoso mi ti renda e lieto
Da questa impresa, o qual altro sia nume
Che propizio e benigno ne si mostri.
Ma se per caso o per destino avverso
(Come sovente in questi rischi avvène)
Io vi perissi, il mio contento in questo
È che tu viva, sì perchè di vita
Son più degni i tuoi giorni, e sì perch’io
Aggia chi dopo me, se non con l’arme,
Almen con l’oro il mio corpo ricovre,
E lo ricuopra. E s’ancor ciò m’è tolto,
Alfin sia chi d’essequie e di sepolcro
Lontan m’onori. Oltre di ciò cagione
Esser non deggio a tua madre infelice
D’un dolor tanto: a tua madre che sola
Di tante donne ha di seguirti osato,
I commodi spregiando e la quïete
De la città d’Aceste.”  A ciò di nuovo
Eurïalo rispose: “Indarno adduci
Sì vane scuse; ed io già fermo e saldo
Nel proposito mio pensier non muto.
Affrettianci a l’impresa.”  E, così detto,
Destò le sentinelle, e le ripose
In vece loro; e l’uno e l’altro insieme
Se ne partiro, e ne la reggia andaro.
Tutti gli altri animali avean, dormendo,
Sovra la terra oblio, tregua e riposo
Da le fatiche e dagli affanni loro.

(…)

Il permesso viene accordato. Anzi Ascanio promette ricchi doni ai due. Eurialo parte senza neppure salutare la madre, unica donna troiana ad aver seguito questo figlio adolescente fin nel Lazio: egli teme, infatti, che lei, con le sue lacrime, possa vincere la sua resistenza, forzandolo a non partire.

 

Escono alfine. E già varcato il fosso,
Da le notturne tenebre coverti
Si metton per la via che gli conduce
Al campo de’ nemici, anzi a la morte.
Ma non morranno, che macello e strage
Faran di molti in prima. Ovunque vanno
Veggion corpi di genti, che sepolti
Son dal sonno e dal vino. In carri vòti
Con ruote e briglie intorno, uomini ed otri
E tazze e scudi in un miscuglio avvolti.
Disse d’Ìrtaco il figlio: Or qui bisogna,
Eurïalo, aver core, oprar le mani,
E conoscere il tempo. Il cammin nostro
È per di qua. Tu qui ti ferma, e l’occhio
Gira per tutto, che non sia da tergo
Chi n’impedisca; ed io tosto col ferro
Sgombrerò ’l passo, e t’aprirò ’l sentiero.
Ciò cheto disse. Indi Rannète assalse,
Il superbo Rannète, che per sorte
Entro una sua trabacca avanti a lui
In su’ tappeti a grand’agio dormia,
E russava altamente. Era costui
A re Turno gratissimo, ed anch’egli
Rege e ’ndovino; ma non seppe il folle
Indovinar quel ch’a lui stesso avvenne.
Tre suoi famigli, che dormendo appresso
Giacean fra l’armi rovesciati a caso,
Tutti in un mucchio uccise, ed un valletto
Ch’era di Remo, e sotto i suoi cavalli
Lo stesso auriga. A costui trasse un colpo
Che gli mandò giù ciondoloni il collo:
Indi al padron di netto lo recise
Sì, che ’l sangue spicciando d’ogni vena,
La terra, lo stramazzo e ’l desco intrise.
Támiro estinse dopo questi e Lamo,
E ’l giovine Serrano.

(…)

I due amici uccidono molti nemici, pieni di vino e di  sonno. Poi razziano oggetti preziosi, tra cui l’elmo, fin troppo fulgente, di Messapo. E cercano di allontanarsi.

 

Intanto di Laurento eran le schiere
Uscite a campo, e i lor cavalli avanti
Precorrean l’ordinanza, ed a re Turno
Ne portavano avviso. Eran trecento
Tutti di scudo armati; e capo e guida
N’era Volscente. Già vicini al campo
Scorgean le mura; quando fuor di strada
Videro da man manca i due compagni
Tener sentiero obliquo. Era un barlume
Là ’v’era l’ombra, e là ’v’era la luna,
Agli avversi suoi raggi la celata
Del male accorto Eurïalo rifulse.
Di cotal vista insospettì Volscente,
E gridò da la squadra: O là fermate.
Chi viva? A che venite? Ove n’andate?
Chi siete voi? La lor risposta incontro
Fu sol di porsi in fuga e prevalersi
De la selva e del buio. I cavalieri
Ratto chi qua chi là corsero a’ passi,
Circondarono il bosco; ad ogni uscita
Posero assedio. Era la selva un’ampia
Macchia d’elci e di pruni orrida e folta,
Ch’avea rari i sentieri, occulti e stretti.
E gl’intrichi de’ rami e de la preda
Ch’era pur grave, e ’l dubbio de la strada
Tenean sovente Eurïalo impedito.
Niso disciolto e lieve, e del compagno
Non s’accorgendo ch’era indietro assai,
Oltre si spinse. E già fuor de’ nemici
Era ne’ campi che dal nome d’Alba
Si son poi detti albani. Allor le razze
E le stalle v’avea de’ suoi cavalli
Il re Latino. E qui poscia ch’un poco
Ebbe il suo caro amico indarno atteso,
Gridando, ah disse, Eurïalo infelice,
U’ sei rimaso? U’ più (lasso) ti trovo
Per questo labirinto? E tosto indietro
Rivolto, per le vie, per l’orme stesse
Di tornar ricercando, si rimbosca.
Erra pria lungamente, e nulla sente:
Poscia sente di trombe e di cavalli
E di voci un tumulto: e vede appresso
Eurïalo fra mezzo a quelle genti,
Qual cacciato leone. E già dal loco
E da la notte oppresso si travaglia,
E si difende il poverello invano.
Che farà? Con che forze, e con qual’armi
Fia che lo scampi? Avventerassi in mezzo
De’ nimici a morir morte onorata?
Così risolve, e prestamente un dardo
S’adatta in mano; e vòlto in vèr la Luna,
Ch’allora alto splendea, così la prega:
“ Tu, Dea, tu de la notte eterno lume,
Tu, regina de’ boschi, in tanto rischio
Ne porgi aita. E s’Ìrtaco mio padre
Per me de le sue cacce, io de le mie
Il dritto unqua t’offrimmo; e se t’appesi,
E se t’affissi mai teschio nè spoglia
Di fera belva, or mi concedi ch’io
Questa gente scompigli, e la mia mano
Reggi e i miei colpi.” E ciò dicendo, il dardo
Vibrò di tutta forza. Egli volando
Fendè la notte, e giunse ove a rincontro
Era Sulmone, e l’investì nel tergo
Là ’ve pendea la targa; e ’l ferro e l’asta
Passògli al petto, e gli trafisse il core.
Cadde freddo il meschino; e con un caldo
Fiume di sangue, che gli uscío davanti,
Finì la vita e col singhiozzo il fiato.
Guardansi l’uno a l’altro; e tutti insieme
Miran d’intorno di stupor confusi
E di timor d’insidie. E Niso intanto
Via più si studia; ed ecco un altro fiero
Colpo, ch’avea di già librato, e dritto
Di sopra gli si spicca da l’orecchio,
E per l’aura ronzando in una tempia
Si conficca di Tago, e passa a l’altra.
Volscente acceso d’ira, non veggendo
Con chi sfogarla, al giovine rivolto,
Tu me ne pagherai per ambi il fio,
Disse, e strinse la spada, e vèr lui corse.
Niso a tal vista spaventato, e fuori
Uscito de l’agguato e di sè stesso
(Che soffrir non poteo tanto dolore)
“Me, me, gridò, me, Rutuli, occidete.
Io son che ’l feci: io son che questa froda
Ho prima ordito. In me l’armi volgete:
Chè nulla ha contro a voi questo meschino
Osato, nè potuto. Io lo vi giuro
Per lo ciel che n’è conscio e per le stelle,
Questo tanto di mal solo ha commesso,
Che troppo amato ha l’infelice amico.”
Mentre così dicea, Volscente il colpo
Già con gran forza spinto, il bianco petto
Del giovine trafisse. E già morendo
Eurïalo cadea, di sangue asperso
Le belle membra, e rovesciato il collo,
Qual reciso dal vomero languisce
Purpureo fiore, o di rugiada pregno
Papavero ch’a terra il capo inchina.
In mezzo de lo stuol Niso si scaglia
Solo a Volscente, solo contra lui
Pon la sua mira. I cavalier che intorno
Stavano a sua difesa, or quinci or quindi
Lo tenevano a dietro. Ed ei pur sempre
Addosso a lui la sua fulminea spada
Rotava a cerco. E si fe largo in tanto
Ch’al fin lo giunse; e mentre che gridava,
Cacciògli il ferro ne la strozza, e spinse.
Così non morse, che si vide avanti
Morto il nimico. Indi da cento lance
Trafitto addosso a lui, per cui moriva,
Gittossi; e sopra lui contento giacque.
Fortunati ambidue! Se i versi miei
Tanto han di forza, nè per morte mai
Né per tempo sarà che ’l valor vostro
Glorïoso non sia, finché la stirpe
D’Enea possederà del Campidoglio
L’immobil sasso, e finché impero e lingua
Avrà l’invitta e fortunata Roma.

***

Nell’Iliade la spedizione notturna di Ulisse e Diomede ha esito del tutto felice. Qui, invece, assolutamente nefasto.

 

 

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6 risposte

  1. L’episodio di Eurialo e Niso riprende il tema dell’amicizia indissolubile che si rivela tale solo nel momento del bisogno e del pericolo. Niso, più anziano e più prudente e saggio cerca di dissuadere l’amico dall’impresa di raggiungere Enea, che si trova nella città di Evandro, per informarlo dei fatti avvenuti, ma non ci riesce e va con lui incontro alla morte.. Anche nell’Iliade c’è il tema dei due amici che escono per un’impresa notturna : Ulisse e Diomede, con la differenza che mentre Ulisse e Diomede sono due capi, Eurialo e Niso sono due semplici soldati in cerca di gloria. Odisseo e Diomede, simboli dell’astuzia e del coraggio sono guerrieri navigati e riescono a portare a buon fine l’impresa e a tornare sani e salvi nel campo acheo, mentre la spedizione di Eurialo e Niso è l’alzata di testa di due ragazzi di cui uno, Eurialo, azzardato e inesperto come sono spesso i giovani. Niso, già più grande, percepisce i rischi, mentre in Eurialo preme l’incoscienza della giovinezza , e in definitiva anche Niso non si può considerare un modello di saggezza perché non sa imporsi e, se è vero che l’affetto per l’amico lo spinge a tutto pur di cercare di proteggerlo, è vero anche che si lascia trascinare. E’ anche lui un ragazzo . Spedizioni notturne di due amici se ne trovano anche altrove; basta pensare a Cloridano e Medoro : anche loro fanno strage di nemici, anche loro fuggono sotto la luna, anche loro si sbagliano credendo di avere accanto l’amico che invece è rimasto indietro , ma per motivi diversi : l’uno perché appesantito da tutti i trofei che non ha potuto far a meno di portarsi dietro con la scarsa lungimiranza e l’innocente ingordigia dell’adolescenza, e l’altro per un motivo più nobile: perché appesantito dal peso del corpo di Dardanello; e qui entra il tema dell’affetto-ammirazione per cui si rischia tutto, del rispetto che diventa quasi adorazione e spinge ad affrontare ogni rischio.  Diversa è anche l’atmosfera che in Cloridano e Medoro perde di epicità e sfuma nel tragicomico : i due non conoscono la strada, si perdono nel buio, e la strage viene compiuta non contro eroi magari addormentati ma in possesso delle loro facoltà, bensì in un campo di ubriachi.

  2. Tra i due episodi – al cui esame conviene per il momento limitarsi-fino ad ora presentati su questo blog, sono pochi i punti in comune: la sortita dal campo, il numero dei guerrieri (due), le tenebre della notte, una missione da compiere, la strage compiuta nel campo avverso. Molte di più le diversità: Ulisse e Diomede, come ben dice Lidia, sono due capi; Eurialo e Niso, due soldati; i primi sono eroi e fortissimi in battaglia, pieni di esperienza, e Ulisse è astutissimo; i secondi sono giovani, anzi Eurialo è poco più di un ragazzo, entambi inesperti, perfino del cammino da fare per giungere da Enea; i primi sono solo compagni di battaglia; i secondi sono legati da profonda amicizia; Ulisse e Diomede sanno quando conviene interrompere il massacro dei nemici, tornando al campo sani e salvi, carichi di preda; Eurialo e Niso sbagliano i tempi, commettono vari errori, appesantendosi con il bottino, specialmente l’inesperto Eurialo il quale, per di più, indossa l’elmo di Messapo che riluce sotto la luna e svela ai guerrieri di Volscente la sua presenza. Niso intanto è riuscito a sfuggire all’accerchiamento, credendo di avere dietro di sé il compagno. Quando si accorge dell’errore, torna indietro e, visto Eurialo in mezzo ai nemici, fa quello che gli riesce meglio: impugna l’arco e comincia a saettare. Le sue frecce non perdonano, sicché Volscente, infuriato si getta su Eurialo e lo trapassa con la spada. Allora Niso, impugnata la spada, si apre un varco fra i nemici, fino a raggiungere Volscente e a ucciderlo. Poi cade trafitto da più lance. Così la sortita -e questa è l’ultima differenza- si conclude in un disastro. Qui Virgilio ci ha voluto raccontare una bella storia di affetto e di amicizia totale.

  3. “Cloridan, cacciator tutta sua vita,
    di robusta persona era ed isnella:
    Medoro avea la guancia colorita
    e bianca e grata ne la età novella;
    e fra la gente a quella impresa uscita
    non era faccia più gioconda e bella:
    occhi avea neri, e chioma crespa d’oro:
    angel parea di quei del sommo coro.”

    (Fur., XVII, 166)

  4. Gli episodi della sortita notturna di Ulisse e Diomede (Iliade) e di Eurialo e Niso (Eneide), ambientati ambedue in un contesto di guerra tra due popoli, pur nella somiglianza dell’argomentazione poetica e narrativa sono, a mio parere, di un colore molto diverso. Nella descrizione omerica prevale un timbro…. più maschio, guerresco, come si conviene a due figure di primo piano, a due eroi del mito nell’epico scontro tra Greci e Troiani, e dove l’intervento delle divinità protettrici è una costante presenza, condizionante quasi sempre le azioni più truci e vigorose. In definitiva nell’Iliade è il “mito” che guida e racconta. In Virgilio, nell’episodio di Eurialo e Niso, pur nella crudezza dell’epilogo, si avverte un più leggero e pacato discorrere, dove il sentimento dell’amicizia e dell’affetto dei due protagonisti prevale su ogni altro aspetto, divenendo archetipo immortale di un sentimento che va oltre la morte. Omero descrive e narra con potenti pennellate che segnano il destino degli eroi: ci stupisce e quasi atterrisce; Virgilio cesella i sentimenti e ci invita alla riflessione, alla partecipazione ed al pianto…

  5. Lidia, Lido e Pasquale hanno bene evidenziato le differenze fra i due episodi di incursione notturna nel campo nemico e la fatale sprovvedutezza di Eurialo e Niso rispetto ai più anziani ed esperti Ulisse e Diomede, così come è stato sottolineato il diverso tono poetico, più epico in Omero, più dolce in Virgilio.
    Virgilio tuttavia qui canta un tema dolorosissimo: la fine prematura della vita.
    Un celebre musicologo scrisse che nella Bohème di Puccini, Mimì muore perché la giovinezza non può sopravvivere a sé stessa.
    Così è anche per i due giovani eroi virgiliani, la cui tragica vicenda ci riempie di commozione perché assume un valore simbolico universale.

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