Lidia Guerrieri attinge dall’Archivio Loscazzo
L’Archivio Loscazzo affidò il restauro di questo reperto al Prof. Nuncio Capìto dell’Università La Sorbona, il quale ricompose il manoscritto ma non l’intera firma, che restò incerta fra : Pascolo, Foscolo, o Discolo, finché il Prof. Ioàn Keméno , dopo studi di comparazione stilistica, concluse che l’opera era da attribuirsi a Foscolo: di certo una poesia su commissione richiesta da una donna illetterata(-madre o moglie o sorella-) dolente per la perdita del proprio congiunto e desiderosa di onorarlo con un lamento degno del suo affetto.
Di mio, aggiungerei che forse fece male il Poeta a rimaneggiare, per “comodità di nome”, un lavoro per cui era stato pagato e che dunque non gli apparteneva.
A GIACINTO
Né più mai butterai a mar le bombe
poi che al Signore a Sé tirarti piacque
Giacinto mio, che al gran botto nell’onde
fra un “ porco boia” e un fier tonfo, per l’acque
misero, i denti infino all’altre sponde
cospargesti, ed in fosse orride giacque
chi fu da Bacco di pampinee fronde
cinto e toccò sol l’acque donde nacque
ai dì vitali. Eppure in tal periglio,
in sì grave e bizzarra congiuntura,
in mente quel che val par ti venisse:
lesta al fiasco la mano diè di piglio :
“ menomale ‘un s’è rotto !” il cor ti disse
“ qualcuno, su ,magari me lo stura.”
Lidia Guerrieri
4 risposte
Grazie per l’onore che mi fai, Pasquale,…c’è chi si scandalizza …ma la parodia non è mai un voler prendere in giro la poesia che la ispira…è indice di ammirazione, la trasposizione giocosa di un’opera che si riconosce come grande. E’ un po’ come quando un attore viene imitato…nessuno imita chi non è già apprezzato, conosciuto, famoso…l’imitazione è segno di un successo raggiunto e così nessuno si ingegna a scrivere parodie di poesie insulse. Quelle dell’Archivio Loscazzo sono il risultato di un lavoro metrico non indifferente fatto sulle rime e sul ritmo che viene ripreso punto per punto tranne rari casi in cui uno spostamento di accento costringerebbe ad una scelta lessicale inadatta a mantenere il tono scanzonato.
In questo sonetto, davvero ammirevole per l’abilità di riprodurre metro e ritmo del foscoliano “A Zacinto”, il ritratto del pescatore di frodo-bombarolo-ubriacone, venato di accenti chiaramente realistici, trova il suo punto più alto e felice in quei versi finali, dove il protagonista, in tanto scempio del suo corpo dilaniato, constata con sollievo che almeno il fiasco non si è rotto e che qualcuno lassù glielo sturerà. Lidia ha il dono di una sapida vena scherzosa che si esprime in parodie vivaci e spigliate.
In questo sonetto, falsacopia foscoliana, Lidia rivela tutta la sua capacità umoristica e satirica. Non con greve mano, ma con animo leggero e giocoso. Il “rifare” un celeberrimo scritto di uno dei nostri Maggiori, mantenendone il ritmo e la musicalità, volgendolo e ribaltandolo da un malinconico sentimento di privazione e di lontananza ad una scherzosa rappresentazione di una pratica sciagurata di bombarolo marittimo, non è per niente facile. Ma Lidia ha adoprato sapientemente la sua innegabile conoscenza dei metri e dei ritmi per regalarci un momento di autentica… giocosità. Ci fa sorridere, ci rende partecipi di quella vena umoristica che i toscani del popolo hanno innata in grande misura. E sappiamo tutti che in questi sciagurati tempi di tristezze e di preoccupazioni il sorriso e l’ironia sono gli antidoti più efficaci contro le pene del nostro vivere.
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