Cesare Pavese
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Cosí li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Cesare Pavese
(da Poesie edite e inedite, Torino, Einaudi 1962)
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La morte è la nostra più fedele compagna. Dall’inizio è con noi, accanto alle prime cellule del nostro essere. La morte è in noi. Ne temiamo il manifestarsi poiché sappiamo che con lei ritorneremo nel nulla. Nulla eravamo prima, nulla ritorneremo. Eppure la condizione più diffusa ed estesa nel tempo e nello spazio è ll non essere, la non esistenza, il massimo entropico che tutto pareggia e mette a riposo. La vita è solo un incidente di percorso, un momentaneo riconoscersi – al nostro livello – nella materia che pensa se stessa. Il vincolo della vita nel suo meraviglioso estrinsecarsi di rapporti reciproci con ciò che ci crconda e con le sensazioni che ne derivano è, però, sostanzialmente un limite. Uno specchio che ci guarda e intimidisce con gli occhi della morte. Quando quegli occhi non vedranno più noi torneremo completamente liberi. La morte ha gli occhi di ognuno di noi. Bella poesia che riguarda tutti e che ci coinvolge profondamente.
Certo la poesia più celebre di Pavese.
Un addio alla vita in forma epistolare, desolato, sconsolato, al confine del surreale, dell’onirico, del delirio profetico, eppure lucidissimo.
Un testo che invoca remissione nella morte e dove in un memorabile verso ossimorico e regressivo
la donna è speranza, vita, nulla ( “O cara speranza…”.).
Del “vizio assurdo” che è la vita, nell’estremo addio, rimane alla fine solo lo sguardo dell’amata.
Apparentemente sembra una prosa lirica ma in realtà la poesia composta da due stanze (12,7) di novenari sciolti che scandiscono un ritmo insistito, monotono, estenuato, come una campana a morto.
Un’elegia intensa e struggente ma ormai distaccata dal mondo.
Ammiro il Pavese narratore ma devo dire che Pavese come poeta non è affatto inferiore. Poesie come quelle qui proposte, oltre a far toccare con mano la sofferta umanità del loro autore, hanno il potere di coinvolgere (come dice Lido) il lettore, offrendogli una visione della vita assolutamente pessimistica , sì, ma trepidamente partecipata.