DINO CAMPANA
Viaggio a Montevideo
Io vidi dal ponte della nave
I colli di Spagna
Svanire, nel verde
Dentro il crepuscolo d’oro la bruna terra celando
Come una melodia:
D’ignota scena fanciulla sola
Come una melodia
Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola…
Illanguidiva la sera celeste sul mare:
Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell’ale
Varcaron lentamente in un azzurreggiare:…
Lontani tinti dei varii colori
Dai pi˘ lontani silenzi!
Ne la celeste sera varcaron gli uccelli d’oro: la nave
Già cieca varcando battendo la tenebra
Coi nostri naufraghi cuori
Battendo la tenebra l’ale celeste sul mare.
Ma un giorno
Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
Da gli occhi torbidi e angelici
Dai seni gravidi di vertigine. Quando
In una baia profonda di un’isola equatoriale
In una baia tranquilla e profonda assai pi˘ del cielo notturno
Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
Una bianca città addormentata
Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
Nel soffio torbido dell’equatore: finchè
Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
Noi lasciammo la città equatoriale
Verso l’inquieto mare notturno.
Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
Gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
Una fanciulla della razza nuova,
Occhi lucenti e le vesti al vento! ed ecco:
selvaggia a la fine di un giorno che apparve
La riva selvaggia sopra la sconfinata marina:
E vidi come cavalle
Vertiginose che si scioglievano le dune
Verso la prateria senza fine
Deserta senza le case umane
E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
Del continente nuovo la capitale marina.
Limpido fresco ed elettrico era il lume
Della sera e là le alte case parevan deserte
Laggiù sul mar del pirata
De la città abbandonata
Tra il mare giallo e le dune. . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I colli di Spagna
Svanire, nel verde
Dentro il crepuscolo d’oro la bruna terra celando
Come una melodia:
D’ignota scena fanciulla sola
Come una melodia
Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola…
Illanguidiva la sera celeste sul mare:
Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell’ale
Varcaron lentamente in un azzurreggiare:…
Lontani tinti dei varii colori
Dai pi˘ lontani silenzi!
Ne la celeste sera varcaron gli uccelli d’oro: la nave
Già cieca varcando battendo la tenebra
Coi nostri naufraghi cuori
Battendo la tenebra l’ale celeste sul mare.
Ma un giorno
Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
Da gli occhi torbidi e angelici
Dai seni gravidi di vertigine. Quando
In una baia profonda di un’isola equatoriale
In una baia tranquilla e profonda assai pi˘ del cielo notturno
Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
Una bianca città addormentata
Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
Nel soffio torbido dell’equatore: finchè
Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
Noi lasciammo la città equatoriale
Verso l’inquieto mare notturno.
Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
Gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
Una fanciulla della razza nuova,
Occhi lucenti e le vesti al vento! ed ecco:
selvaggia a la fine di un giorno che apparve
La riva selvaggia sopra la sconfinata marina:
E vidi come cavalle
Vertiginose che si scioglievano le dune
Verso la prateria senza fine
Deserta senza le case umane
E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
Del continente nuovo la capitale marina.
Limpido fresco ed elettrico era il lume
Della sera e là le alte case parevan deserte
Laggiù sul mar del pirata
De la città abbandonata
Tra il mare giallo e le dune. . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dino Campana
3 risposte
Mi affascina questa poesia, questo insieme di quadri sfumati che si snodano lenti e ti trascinano. Campana lo fece un viaggio del genere, così pare , ma l’impressione che mi viene dal leggere questi versi non è quella di una traversata reale, ma immaginaria, alla ricerca di sé. La sensazione che provo è di avere davanti una persona che ” guarda” come attraverso i veli dell’oppio e vede se stesso alla ricerca di un mondo libero da tutto quello che non è bene. Quei verbi all’infinito, quel ripetersi di frasi uguali come a volersele fissare bene in testa…in definitiva sono discorsi slegati, visioni. Passano uccelli d’oro, risuonano azzurre melodie e la nave va lenta, scivolando sul mare… E’ come se il poeta si lasciasse alle spalle il mondo conosciuto per cercare altri lidi dove non ci sono
“le gravi matrone di Spagna
Da gli occhi torbidi e angelici
Dai seni gravidi di vertigine.
ma fanciulle dagli occhi lucenti e dalle vesti colme di vento, fanciulle della razza nuova. Una fuga da amori passionali? Un desiderio di qualcosa di diverso e di più completo? La città bianca che appare mi ricorda la montagna del Purgatorio…mi chiedo se non dovrei vedere Campana come un novello Ulisse che cerca e cerca e cerca…ma mi pare che trovi solo la solitudine. A me sembra questo : il viaggio immaginario di un uomo solo alla ricerca di un mondo diverso, o magari di un sé diverso, ma che ovunque vada, naufraga su se stesso-
Che in questi versi ci sia, a livello profondo e parzialmente inconscio, una traversata metaforica alla ricerca di sé, è cosa pienamente condivisibile. Ma non ti sfugga, cara Lidia, l’esattezza di certe descrizioni e i riferimenti a luoghi reali. Il viaggio intercontinentale certamente c’è stato ( e si sa) e le impressioni provate da Campana si diramano in tutto il componimento sintetizzandosi in immagini di inaudita dolcezza e d’ineffabile potenza comunicativa. Certo, l’esperienza si trasforma in sogno, trionfano cromie mai banali e i paesaggi sembrano offrirsi ai nostri occhi in perenne levitazione. Il lessico e la sintassi, ampi, sontuosi e deraglianti talvolta disarmano il lettore proponendogli dubbi e incertezze. Ma il nostro poeta, oltre ai colori, cerca la musica: per un mondo di bellezza, salvifico.
Illuminanti le due note di Lidia e Pasquale per rendere giustizia a quello che, con Pascoli, per me è stato il maggior poeta italiano del Novecento.
In vita fu sottovalutato e la sua poesia liquidata come il prodotto di un folle visionario.
In realtà Dino Campana possedeva una straordinaria lucidità autoanalitica. Lo dimostra il distico conclusivo di questo inedito, dove il poeta rappresenta con penetrante sintesi verbale la sua dolorosa condizione:
Sulle montagne
Dalla Falterona a Corniolo (Valli deserte)
Andare andare : l’anima divina
S’annebbia: le caligini del Fato
Premon: non dunque mai per la reclina
Fronte l’ala del tuo bacio affiorato
O bellezza o tu sola.
Andare, andare!
E il borgo apparve in mezzo a la montagna
E su le rocce torreggiava bianco
E grigio, e a lui nel mio pensiero alterno
Fluiron le correnti della vita…
O se come il torrente che rovina
E si riposa ne l’azzurro eguale,
Se tale a le tue mura la proclina
Anima al nulla nel suo andar fatale,
Se a le tue mura in pace cristallina
Tender potessi, in una pace eguale
E il ricordo specchiar di una divina
Serenità perduta, o mia immortale
Anima!…
Ma riscosso mi volsi verso il mare:
La tua pace mi punse come un serpe:
Gridai: le mie ghirlande sian conserte
Nel dolor d’infinite morti amare.