Offro in lettura a chi segue questo blog un testo di difficile comprensione. “Oltranza oltraggio” è un gruzzolo di versi di Andrea Zanzotto e fa da proemio alla raccolta “La beltà”, pubblicata da Mondadori nell’aprile del 1968. Per il momento mi fermo qui.
(Avvertenza: gli spazi tra le parole sono nel testo)
ANDREA ZANZOTTO
OLTRANZA OLTRAGGIO
Salti saltabecchi friggendo puro-pura
nel vuoto spinto outré
ti fai più in là
intangibile – tutto sommato –
tutto sommato
tutto
sei più in là
ti vedo nel fondo della mia serachiusascura
ti identifico tra i non i sic i sigh
ti disidentifico
solo no solo sì solo
piena di punte immite frigida
ti fai più in là
e sprofondi e strafai in te sempre più in te
fotti il campo
decedi verso
nel tuo sprofondi
brilli feroce inconsuntile nonnulla
l’esplodente l’eclatante e non si sente
nulla non si sente
no sei saltata più in là
ricca saltabeccante là
L’oltraggio
***************************************************************
15 risposte
Dirò subito che Zanzotto non è nelle mie corde e benché abbia letto molto di lui per pura curiosità, non essendomi piaciuto, non sono ritornata sui suoi testi, il che significa sostanzialmente che lo conosco poco.
Questa poesia, che ci propone Pasquale, è criptica, sibillina, richiede una conoscenza profonda dell’autore per venirne a capo. Tuttavia, poiché io leggo quasi esclusivamente per divertimento, non mi sfiora neanche per la mente l’idea di cercare di capirne il significato.
In altra parte di questo blog si è accennato al linguaggio e alla necessità della sua immediatezza per farsi intendere e soprattutto in poesia per trasmettere emozioni. Da lunghi anni sono in contatto con poeti veri o presunti tali e ho imparato che per avvicinarsi alle anime più semplici, meno acculturate, occorrono scritti con parole e costruzioni intelligibili se no, soprattutto i giovani, si rivolgeranno ai testi delle canzoni che il più delle volte non sono dei capolavori,
Per concludere la dirò con Camilleri “fatti la fama e curcati” e poi si può scrivere quello che si vuole anche se credo, vedendo la data di pubblicazione del libro, che, proprio attraverso poesie di questo genere, Zanzotto sia giunto a farsi conoscere.
Se si riferisse a una donna ( io almeno l’intendo così), quest’ode in seconda persona singolare non mi sembrerebbe poi così criptica.
Anzi, i sintagmi ( spesso monoverbali)
mi sembrano nitidi e, a tratti, persino eleganti e comunque la scrittura poetica mi sembra molto incisiva.
Se mai è una questione di stile che qui è volutamente frammentario e disarmonico.
D’altra parte sono passati tanti anni e non si può pretendere che Zanzotto scriva come gli stilnovisti o che Picasso dipinga un ritratto di donna come faceva Rubens.
E invece, caro Lido, io ritengo che Zanzotto si riferisca alla POESIA però quando si usa il se vuol dire che non si è molto sicuri dell’interpretazione. Vedremo se Pasquale ci svelerà il mistero.
Caro Luciano, scusami dell’errore. Me ne sono accorta quasi subito ma avevo già chiuso il blog e con la lentezza del mio computer non sono giunta in tempo per la correzione. Comunque, malgrado ciascuno di noi ci tenga alla propria identità, anche Lido, come te, è una persona di grande valore. Scusami ancora.
Nessun problema Carla.
Sapessi io scrivere come Lido!
Quanto alla poesia di Zanzotto forse hai ragione tu.
Sentiremo Pasquale.
Nondimeno ribadisco che io l’ho capita come riferita a una donna (e mi è anche piaciuta!…).
In poesia d’altra parte, e in particolare nella poesia moderna, non sono rari i fraintendimenti.
Caro Luciano, ho pensato alla “poesia” in quanto in un mio recente scritto l’ho trattata come una amante con cui ho convissuto per tanti anni e che adesso al mio bacio non si sveglia più. E quindi anch’io ho dialogato con una persona che solo alla fine si rivelata non essere di carne ed ossa ma semplicemente una metafora di questo mio grande amore. E pure il sesso di colui (o colei) al quale mi rivolgo fino al termine non è ben chiaro perché essendo io una donna dovrebbe essere di genere maschile se non ci si vuole riferire a qualche deviazione che oggi fa così tendenza. Follia di poetessa agli sgoccioli! Vedremo cosa diranno gli altri.
In questo periodo non ho molto tempo libero. Intervengo per presentare il mio Zanzotto, voglio dire cioè come io lo vedo, in breve. Domani dirò della poesia, di difficile interpretazione.
Il percorso poetico di Zanzotto ha più tappe; risente –secondo i vari momenti- dell’osservazione e interpretazione della realtà e della storia, dello sforzo del pensiero teso al superamento di negatività scoperte e sofferte, come la guerra .
Comincia così l’osservazione di Zanzotto: con la scoperta del labirinto, dove si svolge l’esistenza dell’uomo. Ne è spaventato, cerca soluzioni e prospettive, anche con accenni mitici . Ma poi, rivelatrice la storia, va sempre più delineandosi ai suoi occhi il tramonto senza speranze di quella società rurale arcaica che, insieme alla contemplazione di paesaggi familiari, aveva alimentato in lui un sentimento elegiaco capace in apparenza di controllare in qualche modo la sopravvenuta constatazione che tutta la realtà sia riconducibile alla psiche insondabile, misteriosa. Ma il poeta vuole salvarsi dalla disperazione, si inventa dopo le prime raccolte un registro autoironico per bilanciare la portata sentimentale, così naturale in lui, dell’elegia. Ma senza scadere nel pessimismo, anzi trasformando l’elegia in positiva tensione a un’osservazione più attenta del mondo contemporaneo. Ecco, possiamo dunque dire che l’irrecuperabilità di una condizione di infanzia-realtà rurale-mito, la scoperta dell’abisso-psiche, magmatico e inconoscibile, insomma la disgregazione di entrambi i mondi possibili all’uomo, quello esterno e quello interiore, provoca nel poeta un’angoscia esistenziale, alla quale mai si abbandona, non almeno totalmente, opponendo le armi dell’ironia e del paradosso e una volontà di non arrendersi, ma anzi di fare i conti con la realtà a lui contemporanea. Tuttavia c’è un altro problema impellente: il progresso industriale ha prodotto il fenomeno dell’alienazione e la lingua della tradizione non ha parole per dirlo in poesia. Zanzotto, che nel frattempo è entrato in contatto con le teorie psicanalitiche e le relative posizioni filosofiche, ora sa bene quanto sia arbitrario, irrelato e convenzionale il segno linguistico; e quindi usurato il linguaggio. Eppure, nel suo testardo sforzo di trovar soluzioni o almeno spiragli, Zanzotto individua l’autenticità linguistica nel periodo in cui il bambino comincia ad articolare suoni e a organizzare il mondo circostante, riconoscendo a questo forme e funzioni attraverso la lingua. Ma, per ovvi motivi, questo percorso risulta impraticabile, mentre tutt’intorno imperversano standardizzazione e consumismo. Che rimane allora? Solo il tentativo da parte dell’individuo di creare un collegamento con l’inconscio, di confrontarcisi, tentando volta per volta le soluzioni linguistiche più vere e autentiche, più vicine al significato originario, ardimentose, capaci di attentare all’inconoscibile. Come? Attraverso la poesia.
A domani!
Qualche suggerimento per la comprensione del testo “Oltranza, oltraggio”. Testo difficile, come ben sapeva l’Autore che, per questa e per altre sue poesie, ha fornito note, postille e chiavi di lettura.
Cominciamo dal titolo, che annuncia una polivalenza semantica diffusa in tutto il componimento: “Oltranza” può voler dire la tensione verso l’oltre, il tentativo di superare la parola e i suoi limiti, magari per attingere quello che Zanzotto chiama petèl, ossia quel linguaggio tipico dei bimbi che cominiano a recepire e organizzare le prime conoscenze attraverso i suoni e le primissime espressioni verbali. L’”Oltraggio”, termine dantesco (Par., XXXIII, 57) a cui Zanzotto manifestamente si rifà, dovrebbe indicare, come in Dante, qualcosa che supera ogni limite, che è al di là del sopportabile, il risultato dell’oltranza. Maria Corti, però, sembra pensarla diversamente: oltraggio sarebbe lo sforzo, mediato dalla poesia, di trovare schegge di significato in un mondo che appare inconoscibile in quanto incomprensibile. Oltranza, invece, è il risultato dello sforzo.
Ma andiamo avanti. In questo componimento Zanzotto si sforza di rappresentare, fuori da schemi precostituiti e soprattutto fuori da un linguaggio usurato, il continuo sfuggire della realtà al soggetto. È l’alterità (il “tu” della poesia) che vive indipendentemente dall’io, allontanandosene a saltelli (saltabecchi).C’è tuttavia anche chi pensa che qui l’io poetico sia all’inseguimento di una fantomatica entità femminile, probabilmente la stessa “Beltà”, o la personificazione della poesia.
Già a una prima lettura appare evidente un’ opposizione di termini: qui-là, io-tu (dove “tu” è l’alterità). Due entità che si rincorrono, senza mai incontrarsi.
“…friggendo puro-pura / nel vuoto spinto outré /” : la prima parola, a mio parere, è voce soprattutto onomatopeica (riproduce il suono delle ali della cavalletta o saltabecca); può tuttavia anche comunicare idea di movimento, “agitandoti”, ma di fatto rimanendo “intatta, immacolata”. Ogni movimento avviene nel vuoto eccessivo (outré) e in quel vuoto (che poi è la condizione esistenziale dell’io poetico) il “tu” o alterità o realtà si sposta ancora, intangibile; ma sempre a portata d’occhio, visto che il poeta lo vede in fondo alla sua “serachiusascura”, condizione esistenziale tetra e senza sbocchi. Poi la frattura esistente tra il soggetto e la realtà sembra comporsi per un attimo (“ti identifico tra i non i sic i sigh”) nella semplicità elementare del linguaggio o in una riconquistata vera vita; salvo poi scoprire la vanità dell’impressione (“ti disidentifico”), perché la realtà possiede armi di difesa (“piena di punte”), è spietata (“immite”), fredda, si sposta, si chiude completamente in sé, se la squaglia (“fotti il campo”), si ritira in sé, si chiude a riccio, brilla beffarda, tutta intera, anche se tutto esplode in rumori e fulgori non si sente più nulla; e la realtà si è spostata ancora, è più in là, doviziosa, saltellante, là, cioè a distanza.
L’allontanamento è definitivo; lo spazio bianco ne sottolinea la gravità. Il contatto con la realtà vera e con la parola poetica autentica e pregna dei significati originari non è avvenuto. Resta solo il silenzio.
Grazie Pasquale per i tuoi due interventi che illuminano un poeta non certo semplice da comprendere.
Zanzotto, che piaccia o non piaccia, è una tappa irrinunciabile per conoscere lo sviluppo moderno del linguaggio poetico.
Trovo molto interessanti nel suo linguaggio poetico le incursioni linguistiche: esemplare a questo proposito la triade sostantivata “i non i sic i sigh” che affianca l’italiano, il latino e l’onomatopea fumettistica.
Grazie, Luciano, per aver avuto la pazienza di leggere. Sono consapevole che ne è venuto fuori un discorso un po’ lungo, nonostante i miei ripetuti tentativi di renderlo più leggero. Ma ti garantisco (e l’ho confessato a Carla per telefono) che non è affatto semplice sintetizzare la poetica di un autore come Zanzotto.
La questione che mi premeva porre quando ho pensato alla pubblicazione di questa poesia di Zanzotto è la seguente: trattandosi di un testo molto impegnativo anche per lettori esperti di poesia, mi chiedo fino a che punto possa un poeta spingersi sulla strada degli intellettualismi, delle formule oscure e degli arzigogoli mentali se poi è costretto a fornire lui stesso suggerimenti per la comprensione del testo; mi chiedo se tale operazione non costituisca barriera alla poesia; e anche se -lo dico senza alcun timore- i versi di “Oltranza oltraggio” siano vera poesia, a parte l’armamentario retorico impiegato in questo testo. Vogliamo resuscitare il “trobar clus” e scrivere versi per un’élite strettissima? Fatto salvo, naturalmente, Zanzotto di tanta altra bella poesia.
Caro Pasquale, apprezzo il tuo sforzo di conformarti al giudizio generale della grandezza di Zanzotto come poeta. Ma io, che dell’opinione degli altri spesso non mi curo, vorrei che qui sul blog mettessi una poesia di questo autore che tu giudichi, al di fuori degli altri letterati, commentatori e compagnia bella, veramente di spicco, una cioè di quelle che lasciano il segno. E naturalmente non criptica con “cipolla” che vuol dire l’io compresso o qualcosa di simile. Io ho letto molto di Zanzotto ma non mi ha colpito un solo verso dato che non ne ricordo alcuno. Invece ho in mente l’argomento di un suo testo che era “la dentiera” . Perché è spesso il conformismo, cioè il non contraddire il giudizio positivo che un autorevole esperto fa di un artista in qualsiasi campo a rendere immortale l’artista medesimo. E ricordati anche che qualche bello spirito si è inventato di sana pianta qualche autore mai esistito elogiandolo e ottenendo il consenso generale da tanti che affermavano di aver visto o letto le sue opere. Sempre per evidenziare che il conformismo e la scarsa capacità di giudizio sono alla base della critica attuale.
A volte, Carla, rasenti l’offesa in certe tue lezioncine. Ti fidi troppo delle tue prime impressioni e i tuoi pareri (=giudizi) ne risentono. Permetti che io non mi fidi delle tue elucubrazioni? Permetti che, dopo aver passato una vita tra le patrie (e non solo) lettere, abbia maturato un minimo di sapienza critica? Tu condanni Zanzotto come hai condannato la Merini. Io ti dico che entrambi hanno scritto versi di grande bellezza e altre cose meno riuscite. Io non mi permetto di discutere i tuoi gusti e tu cerca di ricambiare l’atteggiamento. Poi non credo di essere mai stato un conformista. E credo anche che dovresti leggere con più attenzione i commenti (come il mio del 14 febbraio, ore 4,01 pm) prima di rispondere.
Nel testo che segue Zanzotto dice di una nascita, la sua e/o di altri.
Vediamo se ti sembra più chiaro. Traduzione del titolo: Stolto, (ma) assolutamente credibile.
INEPTUM, PRORSUS CREDIBILE
I.
Perché questa
terribilmente pronta luce
o freddissimo sogno immenso
su cui trascende
perpetuo vertice il sole,
da cui trabocchi tu, tu nella vita?
Non ha mai fondo questa nascita
mai fondo questo squallido prodigio,
no non dici, ma stai nella luce
immodesta e pur vera
nella luce inetta ma credibile,
sospinto nella vita.
Nasci oggi col sole con la ferma
virtù che di tensioni
supreme accende
le legioni dei monti,
nella sua bocca pura
ti porta l’azzurra vita,
debole e molle stilli dall’azzurro,
debole
bianca lacrima sporgi
nel grumoso abbagliante mattino;
attraverso l’autunno
ecco il tuo segmentarti
in sale e istanti
in memoria e sapore
Sangue e forma, stoltezza e trionfo,
gemito offerto alle chiare
vagabonde uve,
occhio nuovo al geranio allo scoiattolo.
Ma freddissima e immensa
sta la gloria in excelsis
oltre il grigio spigolo del mondo;
e gode di tutto il suo peso fulgente
e avanza il sole col passo precario
e audacissimo là dove la mente
non può seguirlo che a morirne.
(da “Vocativo” )
Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco per que’ pochi “pareri” da dozzina sapevo già che mi avrebbe bacchettato e non con grande gentilezza. Caro Pasquale, quel maestrina, lezioncina che stanno per “cretina” io li incasso allegramente essendo abituata sin dall’infanzia a questo tipo di giudizio nei miei confronti in quanto, soprattutto una volta, le persone fisicamente menomate erano considerate tali anche nelle funzioni intellettive. Invece quando uno dissente solo minimamente da quello che pensi, tu ti adonti immediatamente non accorgendoti che spesso gli altri collaboratori gentilmente quando non sono del tuo parere tacciono.
Torniamo alla poesia pietra dello scandalo. Quell’OLTRAGGIO posto alla fine del testo senza alcun legame con le parti precedenti mi è sembrato molto aleatorio ricondurlo a Dante. Può darsi che lo stesso Zanzotto abbia proposto tale lettura ma questa non è metafora in quanto la parola in sé, senza una chiosa, non richiama necessariamente il verso dell’Inferno.
La seconda poesia che hai pubblicato ha immagini molto belle e che però esulano spesso dall’argomento trattato: si nota sempre una costruzione a posteriori fuori da un vero slancio emotivo da parte dell’autore e questo non mi comunica sensazioni né in positivo, né in negativo come “Poscia più che ‘l dolor poté ‘l digiuno” dove io mi raffiguro un Conte Ugolino intento – contrariamente all’interpretazione odierna – a divorare i congiunti.
Quanto alla Merini sono stata costretta a fare quella precisazione in quanto arbitrariamente hai sostituito in un mio scritto con “eclatante” la parola “immeritato”.
E infatti ho sempre considerato immeritato il successo della poetessa lombarda più volte candidata al Nobel di fronte a un Luzi e a una Spaziani vere stelle della letteratura e in quel periodo viventi. E non vado oltre.
Tu adesso hai pubblicato, forse per festeggiare in ritardo San Valentino, un Canto d’amore che la Merini fa al suo fotografo ma credo proprio che fosse “il tronco” di quest’ultimo a rimanere silenzioso dato che lei aveva vent’anni più di lui.
Per concludere mi sforzerò di non vedere il re nudo e come gli altri loderò i suoi bei vestiti.
Cosa rispondere a un commento così poco saggio? Nulla. Potrei ribattere punto per punto ma credo che non ne valga la pena.
Però ancora una volta ti esorto ad essere corretta e a non offendere alcuno nei tuoi commenti. Proprio come sono corretti tutti gli altri commentatori.