GAIO VALERIO CATULLO
La proposta odierna è un carme catulliano, il quinto, di grande impatto, non solo emotivo. Appartiene ai primi tempi dell’amore tra Lesbia e Catullo, quasi tracotanti di passione e di certezze che sfidano le insidie della vita e non si curano neppure della nox perpetua, apparentemente ancora così lontana!
Un inno all’amore pieno e compiuto; al godimento della vita totale e, forse, anche stordente.
CATULLO (V)
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum,
Dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.
Dai, su, viviamo, mia Lesbia, ed amiamoci,
e i mugugni dei vecchi ben severi
meno d’un soldo stimiamoli tutti.
Tramontare e risorgere può il sole:
a noi, cui già è caduta breve luce,
resta, una, eterna, notte da dormire.
Tu dammi mille baci, ed altri cento
poi altri mille, poi ancora cento,
e poi ancora altri mille, poi cento.
E quando tante migliaia saranno,
per ben celarli li mescoleremo
ché l’incanto un malvagio non ci faccia
scoprendo il giusto numero dei baci.
( trad. Pasquale Balestriere )
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11 risposte
Bellissima traduzione, Pasquale.
Questo carme mi ha fatto ritornare ai tempi dell’adolescenza quando ce lo recitava il nostro insegnante di lettere Bruno Cavallini, zio di Vittorio Sgarbi. Cavallini era, come il nipote, molto miope ma per l’occasione si toglieva gli occhiali e declamava ispirato Catullo o Ovidio. In classe silenzio da tagliare con il coltello.
Cavallini faceva parte di un trio di docenti di scuola superiore, all’apparenza molto vispi, e sempre insieme – io li chiamavo i tre moschettieri – che rappresentavano l’intellighenzia cittadina ma uno solo di loro – scapolo e impenitente Casanova – “cuccava”. Il nostro invece – a detta della sorella – doveva supplicare la moglie perché si concedesse.
Questo per dirti che, anche in amore, con la poesia si fa poca strada.
Grazie, Carla. Aggiungo che il termine “basium” pare usato per la prima volta proprio da Catullo nella lingua latina. E proprio qui, nei Carmina. “Basium” sembra essere termine medio tra “osculum”, che in genere è un bacio di puro affetto, familiare, e “savium” che è un bacio d’amore a forte valenza passionale. finanche lussuriosa.
Al di là della bellezza della traduzione, io cerco Catullo e mi chiedo chi fosse. Mi chiedo cosa abbia potuto portarlo ad amare in maniera così cieca una donna che non valeva nulla. Sarà stata bella quanto vi pare, avrà anche posto lo splendente piede sulla consunta soglia…ma…e ci credo che era consunta la soglia!…con tutti quelli che si passavano!…La grandezza di Catullo come poeta è sotto gli occhi, la fiamma di questo amore ci trascina, ma lui, lui come persona…chi era? Un eroico amante? Un debole che non aveva la forza di levarsela di torno con un par di calci ben assestati? C’è gente che se non soffre non si sente bene…era questo Catullo? In tal caso fortuna che almeno sia stato poeta…perlomeno tutto quel patire che a lui non è servito a nulla e a lei solo a lisciarsi le penne, è servito a lasciare a noi versi stupendi. Amori così estremi non sono normali; credo che un innamoramento fulmineo e bruciante non sia raro, ma che possa durare a lungo e nonostante troppe cose secondo me dimostra che chi è disposto a sopportare una tortura del genere, ha qualcosa che non funziona. Catullo sarebbe stato quello che noi conosciamo se non avesse incontrato Lesbia? Non lo so, nessuno può saperlo. Forse certi geni hanno bisogno di qualcosa che li accenda, che li bruci fino a consumarli…o gli accade questo o la genialità resta in letargo….forse una vita tranquilla, un amore sereno avrebbero fatto di lui un poeta più pacato e magari sbiadito o forse l’avrebbero reso più sereno, diverso ma ugualmente grande…forse senza una Lesbia, una qualsiasi Lesbia Catullo non sarebbe mai emerso. Ci vorrebbe Freud 😀 Mah…le cose sono andate così. Il mondo ha avuto ed ha un grande poeta, lui ha sofferto quanto ha voluto, lei se l’è spassata quanto le è parso e io dico che se l’avesse presa a randellate avrebbe fatto proprio bene….
Cara Lidia, ma ti rendi conto che Clodia aveva dieci anni più di Catullo, il quale morì a trent’anni? Quindi Catullo già preso dalla poesia se la chiama Lesbia – ho sempre detto che la poesia fa male – era un bamboccetto con le labbra ancora sporche di latte che si imbatte in una donna molto esperta nelle arti amorose. A quell’età è molto più facile invaghirsi e per propensione mentale e per chimica. Senza andare troppo lontano una mia compagna di scuola, – non certamente molto bella e neppure ammaliatrice – divenuta insegnante di matematica, irretì un suo scolaro – da cui ebbe un figlio – e se lo sposò. Però, maturando, il fanciullo ritenne molto riprovevole questo suo errore giovanile e tenne nascosta la vicenda a tutti tanto che, divenuto mio collega, poiché si mostrava piuttosto supponente, lo “sputtanavo” allegramente raccontando i suoi trascorsi.
Tornando a Catullo, essendo un talento, avrebbe mostrato ugualmente la sua bravura magari scrivendo ricette di cucina. Mi ricordo una imperdibile poesia di Alfonso Gatto sull’aceto…
Sì, lo so che aveva dieci anni di più , che quando si conobbero i versi di lui già godevano di una certa considerazione e che lei da volpona qual era pensò bene di prendere due piccioni con una fava: l’amante giovane e la vanità di essere cantata. Lei era quello che era: una donnetta belloccia, colta, spregiudicata e lui c’è cascato come un allocco. Veniva dalla provincia, non dal Burundi…!!e lo sapeva che lei non era suora. Cosa si aspettava!? L’ha voluta e si è preso le conseguenze. Poeta eccelso e cagnolino di una donna indegna. Vere tutt’e due le cose. La sola cosa buona è che noi abbiamo poesie stupende e la cosa peggiore è che il nome di lei sia stato immortalato … Non voglio per niente aver ragione …ma la sostanza, piaccia o no è questa. Amen
Cara Lidia, io ammiro la tua sicurezza, le tue certezze e la volontà di andare a fondo in tutte le cose. Io invece sono superficiale, mi accontento, se mi piace, del prodotto finito di uno scrittore senza indagare il perché e il per come.
Tu parli di Catullo e Lesbia, a circa duemila anni di distanza, come se fossero i vicini della porta accanto, lei belloccia – quando il concetto di bellezza è molto relativo – che si è data a lui solo per passare ai posteri. Non ti sfiora nemmeno l’idea che a Lesbia possa essere veramente piaciuto l’ingenuo giovincello o che lui abbia enfatizzato sulla carta i propri sentimenti a imitazione di Saffo a cui si ispirava. Oppure, come al solito , ti piace scherzare e io non ho capito il gioco. Comunque ritengo che il concetto di attendibilità di quanto troviamo asserito in qualsiasi poesia debba essere molto approfondito e fare parte del dibattito che ora si sta instaurando sul blog.
Resta il fatto che Catullo, dopo l’iniziale innamoramento -esperienza semidivina non solo per lui- è costretto a fare i conti con la realtà: Lesbia-Clodia è quella che è, una mangiauomini, una lupa. Il giovane se ne rende conto ( cc. 37 e 58) ma, perdutamente preso, non sa fare di meglio che scagliarsi contro gli amanti di Lesbia, con particolare crudezza nel c. 16. Catullo è solo un giovane provinciale abbastanza inesperto, caduto nella rete di una donna vissuta e viziosa, esperta delle arti della seduzione. Questo per la cronaca. Per fortuna su tutto trionfa la poesia.
Ho cercato una risposta alla tua domanda , Lidia, e penso che, senza l’amore per Lesbia, non avremmo avuto il meraviglioso ” gioiello ” che Catullo, con le sue Nugae, ci ha regalato.
Mi hai fatto ritornare con la memoria alle mie lezioni su Catullo, e non ho potuto non ricordare l’espressione trasognata dei miei studenti , anche di quelli che durante le ore di latino , spesso, trovavano mille modi per distrarsi. Come per magia , si scoprivano innamorati del latino , al suono di ” Ille mihi par esse deo videtur” ” Odi et amo ” ” Vivamus, mea Lesbia, atque amemus” con quel che segue, tanti altri . I versi dei Carmina brevia diventavano preludio per inoltrarsi nei miti ( scelti dal nostro tra quelli che cantavano amori immensi, anche se infelici) dei Carmina docta , che riuscivano ad affascinare , oltre ogni previsione ,i miei ragazzi, che si cimentevano addirittura con esametri, distici elegiaci, endecasillabi faleci e perfino con alcaiche e saffiche, pur di continuare a leggere i versi di un poeta che sentivano così vicino al loro sentire, nonostante i due millenni trascorsi . Questo perché , a mio parere, in Catullo, nonostante non manchino gli evidenti segni della romanità e dell’influenza della lirica greca, nel suo cantare vibrano i sentimenti che porta con sé la giovinezza, in ogni tempo , quei sentimenti che, almeno una volta nella vita, tutti noi umani sentiamo e che Catullo ha reso eterni con i suoi versi .
Benvenuta, Rosa Chiricosta! Ogni contributo arricchisce. Grazie.
Grazie . E’ un arricchimento anche per me leggere e, qualche volta, scrivere, riflettendo e approfondendo tematiche letterarie .
Vi siete già conosciuti!!!! Bene! Rosa è preziosa: poetessa eccellente e volenterosa, persona colta e sempre pronta a scoprire cose nuove, e col gran dono della modestia, cosa rara su fb. Il tuo commento, Rosa carissima, mi incanta senza sorprendermi troppo perché quello che vali lo so da tempo 🙂